Dal Codice Da Vinci alla Storia e leggenda dell’ordine cavalleresco dei cavalieri mazzieri, ovvero da Pipino il breve al Grande Papino.
Come ogni rivista letteraria che si rispetti per le vacanze dovremmo fornire l’elenco dei libri da leggere per l’estate.
Beh non amo questo rituale cotto e stracotto.
Piuttosto voglio consigliare non un libro da leggere, ma da comprare per usarlo come sgabello aggiuntivo sotto l’ombrellone, quando nei week end arrivano in visita ospiti non graditi.
Molti sono i mattoni che possono validamente aspirare alla mansione di sgabello, ma il mattone dei mattoni per me è il Codice da Vinci di Dan Brown.
Eppure la mattonata del III Millennio ha per me un merito: mi ha ispirato a scrivere il seguente cazzeggio sui Cavalieri che menavano la mazza.
1.Premessa
I cavalieri che menavano la mazza, a differenza dei cavalieri ospedalieri che a un certo momento cercarono di far risalire le proprie origini a San Giovanni, non tentarono mai di ricostruire una loro “leggenda”. Nonostante ciò, a secoli di distanza, nacque, progressivamente arricchendosi, la leggenda dei Mazzieri.
Ciò non finisce di meravigliare gli storici più seri dell’Ordine, come Nadine Pernod, che pubblicò anni or sono una validissima sintesi nella collezione: “Que cazz tu sais?”
Col consueto impeto etilico la Pernod scrive: “Succede che per i cavalieri che menavano si sono diffuse una serie di ingiuste e assurde dicerie quale quella della mazza moscia derivante da una interpretazione del giudizio universale di Michelangelo, nella parte delle due dita che si toccano: questa ingiusta accusa definita il Codice Michelangelo è totalmente demenziale.
I documenti così semplici, così probanti, così tranquillamente irrefutabili, costituiscono la storia vera e in essi non v’è traccia alcuna di mosceria dei Cavalieri che menavano la mazza. Insieme ai catari, a Giovanna d’Arco e ai cavalieri templari, i Cavalieri che menavano la mazza alimentano uno degli inesauribili filoni di quella pseudo-storia che ha l’unico scopo di offrire ad avidi lettori la loro razione di misteri e segreti”.
Qui, molto semplicemente, come contributo alla dissipazione di eventuali nebbie che ancora persistono, vogliamo raccontare la storia dell’Ordine dei Cavalieri che menavano la mazza così come ci è nota dai documenti. Con inevitabile eccessiva rapidità, ma col desiderio di offrire un panorama sufficientemente articolato e, a grandi linee, completo.
2. Le origini dell’Ordine della Mazza
Nei manuali di storia condizionati dalla morale bigotta, normalmente si omette un aspetto importante che determina la nascita dell’ordine.
Nella risposta a questi problemi bisogna trovare la motivazione immediata della nascita dell’ordine, pur se essa non può essere completamente compresa se non inquadrandola nella storia della cavalleria e, più in generale, del puttanesimo del Medio Evo.
Il fondatore dell’Ordine è Pipino III, meglio conosciuto come Pipino il Breve figlio di Carlo Martello e padre di Carlomagno.
Di Carlo Martello conosciamo le imprese guerresche e amorose tramandate da Fabrizio de Andrè, di Pipino figlio indegno di cotanto padre, non si conosce molto tranne il nome e il soprannome il breve che senza dubbio si riferisce alle dimensioni non eccessive dell’attrezzo.
Tale sputtanamento storico risale al periodo in cui Pipino scese in Italia e occupò le terre da Forlì ad Ancona, insomma tutta la costa romagnola e sin da quegli anni quelle terre erano famose per la bellezza e la passionalità delle donne. Qualcuna conobbe il povero Pipino e la notizia delle dimensioni dell’attrezzo reale si diffuse in tutta la Cristianità. Questo rimase nella storia e oscurò il merito di Pipino che quasi come una sorta di contrappasso alle ridotte dimensioni pensò di fondare un ordine cavalleresco con cavalieri che avessero dimensioni over-size.
Solo l’anno dopo la morte di Pipino nel 769 il sogno si realizzò e un piccolo gruppo di cavalieri capeggiati da tale Pascalotto Lattarulo da Mondragone detto Pascalone miezz metro, si misero insieme con lo scopo dichiarato di consacrare la propria vita alla soddisfazione carnale: insomma di menare la mazza.
Il sigillo dell’ordine è stato a lungo considerato come recante l’immagine del Castello di Pipino a Rimini, ma recentissimi studi fanno pensare che si trattasse piuttosto della nota casa di appuntamenti “la Rotonda sul mare” del celebre mignottone la Gradisca.
Sull’altro lato del sigillo figuravano due cavalieri che montavano… una giumenta: la spiegazione più probabile è un riferimento simbolico alle dimensioni dell’attrezzo simile a quello equino.
Nel 769 Pascalotto, accompagnato da cinque suoi compagni, rientrò in Francia per incontrare l’imperatore per ottenere l’approvazione della regola. Ma Carlomagno invidioso delle dimensioni dell’attrezzo li accusò di eresia. Pascalotto e i suoi compagni amareggiati e incerti per le critiche mosse al nuovo ordine, toccati, anche, da qualche dubbio sulla validità delle misure si accusarono di colpe mai commesse e finirono sul rogo.
E fu la fine dell’ordine solo in apparenza.
3. L’ordine dormiente
Gli studi di Michelle Mabelle Charteuse e di Dranko Sliwowitz, cultori attenti e puntuali di storiografia del Puttanesimo dal basso medioevo ai giorni nostri, dimostrano in maniera incontrovertibile che l’ordine sogno di Pipino si è perpetuato nei secoli. I componenti vincolati dal giuramento di segretezza, pena il taglio dei “santissimi” non potevano manifestarsi.
Il gran maestro dell’ordine denominato fino alla Rivoluzione Francese con il titolo di Gran Pipino aveva diritto di letto e divano su tutte le componenti di sesso femminile delle famiglie dei componenti dell’Ordine.
Alcuni documenti reperiti attribuiscono al Gran Maestro Pierre Louis Papin, in carica dal 1799 al 1823, il mutamento del titolo in Gran Papino, che richiama il cognome del maestro, ma allude anche alla numerosa schiera di figli illegittimi disseminati dal maestro in tutta Europa.
La Chartreuse e lo Sliwowitz hanno proseguito le ricerche al mondo contemporaneo, ma numerosi ostacoli sin son frapposti ai loro studi.
Ci domandiamo chi sia oggi il Grande Papino?
Una domanda destinata a restare senza risposta.
Si ringrazia Maria Laura Villani per l’editing
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