Ne avrei tante da raccontare. Una volta feci un conto delle ore che ho passato in treno. E all’epoca erano molte ore anche in percentuale che adesso è calata perché ho smesso di prendere il treno.
Tante ore in treno e tanti libri letti.
Estate del 1974.
D’estate a Bolzano si muore dal caldo e la moglie con pargola e con il secondo nella pancia scappa via, verso le nostre terre.
Mi brucio le ferie in luglio e all’inizio di agosto torno a Bolzano.
Agosto a Bolzano non è il massimo della vita: si muore ancora di più dal caldo, è una conca dove l’aria non circola e si frigge. Allora non c’erano le manifestazioni per chi non andava in ferie e l’unica, per vincere l’afa e la noia e per non arrivare a parlare con i mobili di casa, era passare la serata nei pochi locali con l’aria condizionata, a farsi durare quando più era possibile un boccale di birra grande e a parlare di nulla con i pochi avventori. La depressione psichica e meteorologica arrivava a livelli insostenibili la domenica quando la città si svuotava ancora di più: la soluzione era prendere il treno e farsi 861 km fino a Napoli.
E per farmi compagnia in treno c’era La Storia di Elsa Morante, uscito proprio quella estate.
L’essenza di questo libro è palesata esplicitamente dal titolo e dalla copertina: La Storia, infatti, è concepita come «uno scandalo che dura da diecimila anni».
Per la Morantela storia è cieca e immutabile, non si svolge secondo una legge superiore di progresso né secondo un piano provvidenziale, ma si sostanzia di gravi ingiustizie, odiose prevaricazioni e follie omicide, destinate a travolgere i più deboli e gli indifesi.
In quell’anno e in quell’estate ci fu la strage dell’Italicus, nella galleria di San Benedetto Val di Sambro; la notte del 4 agosto, una domenica, qualcuno mise una bomba sul treno Roma-Brennero.
Quella domenica non ero sceso, ero arrivato da poco.
Ma la settimana successiva mi feci coraggio e presi il treno.
Gli eventi del romanzo, le distruzioni cieche dei bombardamenti si sovrapponevano con la carcassa dell’Italicus che vidi nella stazione di San Benedetto, anche se il treno passò a tutta velocità.
Per oltre un mese tutti i treni erano pieni di poliziotti in cerca di bagagli abbandonati e di sospetti.
E anche io guardavo il viso dei viaggiatori intorno a me: mi chiedevo che faccia potesse avere un terrorista che mette una bomba in un treno.
Nessuno aveva la faccia da terrorista.
E quando l’anno dopo arrestarono Tuti e compagnia, capii che non esiste la faccia da terrorista.
Anche queste sono le ingiustizie della Storia nei confronti di 12 morti e 48 feriti con l’unica colpa di trovarsi nella carrozza n. 5 di quel treno.
Ringrazio Maria Laura Villani per l’editing
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