Anche io guardo passare i treni, ma non solo, parto, ritorno e ragiono.
A differenza di Kees Popinga, il personaggio del romanzo di Simenon, che i treni li guardava passare, sognando la vita che si nascondeva dietro i finestrini.
Solo una volta l’ha preso e quella volta ne poteva fare a meno.
Ho conteggiato le ore che ho passato in treno. Sono tante e tante sono le storie che avrei da raccontare. E non sono come quella di Popinga.
Estate del 1975, mia madre viene ricoverata a Roma per un intervento serio, per questa ragione riesco ad ottenere un’assegnazione temporanea del mio ufficio a Roma per sei mesi.
All’inizio, quando la situazione medica di mia madre era molto grave, trovai un alloggio in un residence a Roma, ma le spese erano alte per cui, quando mamma stette un po’ meglio, decisi di abitare a casa dei miei e iniziai a fare il pendolare Frattamaggiore/Roma e ritorno, tutto in giornata.
Il mattino partivo con un locale alle 5 per Aversa da dove, alle 5.20, con arrivo previsto a Roma alle 7.50, partiva un treno molto particolare: il treno delle scarpe.
Un treno catalogato espresso con diverse fermate dopo Formia, che serviva i pendolari del basso Lazio per Roma.
In questo treno le prime 5 carrozze erano riservate ai corrieri degli scarpari di Aversa e zone limitrofe che ogni mattina portavano ai grossisti romani di Piazza Vittorio la produzione del giorno prima.
In ogni scompartimento venivano ammassate scatole di scarpe e c’erano in ogni carrozza alcuni corrieri di scorta per impedire furti e per scaricare le scarpe a Roma.
L’uso di queste carrozze era interdetto ai viaggiatori normali, ma feci amicizia con alcuni corrieri e mi permisero di usare il loro spazio e così potevo distendermi e dormire fino a Roma in compagnia delle scarpe, senza essere disturbato dai viaggiatori che salivano dopo Formia.
Appena si partiva da Aversa, allungavo due sediolini e dormivo fino a Roma dove venivo svegliato da uno dei corrieri con una tazza di caffè caldo dal loro termos, altro che la Wagon Lit!
Mi sono informato: oggi gli scarpari di zona, quei pochi che sono sopravvissuti all’assalto dei cinesi, usano i corrieri della Defendini, quelli con i furgoni rossi, dove certamente non ci sarebbe posto per far dormire un pendolare assonnato.
Credo proprio che al Signor Popinga un viaggio del genere non sarebbe piaciuto.
Troppo banale, poco avventuroso e poi che cattivo odore hanno le scarpe per i grossisti di Piazza Vittorio.
Egli sognava di fuggire per arrivare chissà dove per poi scoprire che era fuggito solo da se stesso.
I miei treni, invece, partono e ritornano.
E non convengo con l’explicit del romanzo: “Non c’è una verità, ne conviene?”
La mia piccola verità l’ho trovata, anche nei viaggi in treno.
Ringrazio Maria Laura Villani per l’editing
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Bel racconto, semplice eppure fa sentire l’atmosfera, la si respira insieme all’odore delle scarpe…sembra di esserci. Complimenti Raffaele.