Dopo “Non lo chiamano veleno”, uscito qualche anno fa con la casa editrice Avagliano, Non sono mai partito editore Cento Autori è il secondo romanzo di Pietro Treccagnoli (questo è il link di una significativa intervista), giornalista del Mattino di Napoli e presenza importante sul social network Facebook.
Questo libro lo comprai a suo tempo alla Fiera + Libro a Roma, due volte.
Mica per piaggeria, la prima copia la persi o forse me la fregarono la sera al ristorante.
Comunque sia, mi toccò ricomprarlo e come prevedevo, perchè avevo già letto “Non lo chiamano veleno”, non furono soldi buttati.
Lo divorai in una serata e peccato sia finito presto.
La trama non è il caso raccontarla, non voglio togliere il gusto della scoperta.
Si tratta di una ricerca del passato, la seconda metà degli anni ’70, che forse non è mai passato e come a Proust il sapore della madeleine fa recuperare ricordi, per Pietro Treccagnoli questa funzione, in un certo frangente, viene esercitata dalla braciola di zizza, dal sanguinaccio, dal samurchio e da ‘o pere e musse.
In questo mi sento vicino all’autore.
Molto interessante è la play list riportata in calce al romanzo. E’ un libro che va letto con l’accompagnamento musicale.
Da gustare l’uso molto personale della lingua napoletana e l’abile tecnica del mutamento dell’io narrante.
Mi ha commosso, ma anche divertito, vi sono anche gag imperdibili come e-mail annurc che nasce dalle origini giuglianesi di Treccagnoli. Forse non tutti sanno che Giugliano è la patria della mela annurca.
In questa frase c’è la sintesi di tutto: “Qualche volta andavamo pure, via. Ma poi tornavamo. Tornavamo a sederci su quelle panchine verdi tutte scassate a parlare e a farci le canne… eravamo alla periferia della rivoluzione”
Un consiglio finale: Accattataville.
Magari evitando di dimenticarlo sul tavolo di un ristorante cinese come ho fatto io.
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