Ogni tanto, di colpo, senza una ragione precisa, mi tornano in mente fotogrammi di tempi passati. Mi piace pensare che dipende da tutte le esperienze fatte nella mia vita, i viaggi, le avventure e non dall’età (che mi ritengo ancora giovane, dai…).
Oggi per esempio, mentre stavo progettando una macchina un po’ particolare per la costruzione di un viadotto in Kuwait, mi è tornata di colpo in mente la facciata del Teatro di Aalborg.
Semplicemente è saltata fuori così, puff, come se nulla fosse.
Come se un salvaschermo partisse all’interno della mia testa: tutte le foto immagazzinate in qualche piega del cervello saltano fuori e per un breve tempo occupano il mio pensiero andando ad aprire porte chiuse e impolverate: le porte dei ricordi.
Come sempre si aprono le porte più belle, i ricordi più dolci: l’estate di Aalborg, il cielo azzurro, il fiordo che taglia la città a metà, dove andare a pescare granchi armati di un calzino riempito di formaggio.
Sì, lo so, il “i ricordi che ti tieni sono sempre i più belli, dopo un po’ tutto il brutto che hai passato svanisce” è una frase trita e ritrita.
Però è vera.
È una protezione che il nostro corpo, il nostro io mette in funzione per permetterci di andare avanti e di guardare al nostro passato con la sensazione che abbiamo fatto qualcosa di bello.
Immaginatevi se i ricordi che vi restano in mente fossero solo quelli brutti! Immaginatevi come potrei tirare avanti se i ricordi che mi riaffiorano in mente fossero quelli del poco tempo passato con i miei figli mentre crescono? Delle feste e delle ferie mancate, delle notti da solo io e mia moglie, a 10000 chilometri di distanza. Se l’unica cosa che ogni giorno mi tornasse in mente fosse tutto quello che non ho fatto e tutto quello di cui non ho parlato con mia madre, prima che lei si spegnesse?
Abbiamo bisogno, fortemente bisogno, di avere un’ancora di salvezza nel nostro passato. E quest’ancora sono i ricordi dolci. O addolciti.
Il rovescio della medaglia è che i ricordi dei bei tempi andati fanno sembrare triste e grigio il quotidiano, ti fanno pensare che oggi tu non vali quello che valevi, non fai quello che facevi e tutto il meglio lo hai dato, sprecato, sperperato combattendo mulini a vento o perdendoti dietro falsi traguardi.
Senza renderti conto che questa è la stessa sensazione che avevi ogni volta prima che succedessero tutte le cose belle che ora ricordi con piacere. Prima di ognuno di quei momenti ti sei sentito inerme, indeciso. Mentre quei momenti passavano, nell’attimo in cui li vivevi tante volte hai sentito che non era sufficiente, che non ti bastava. Che qualcosa ancora mancava.
Eppure oggi vorresti riviverli. Riviverli come nei tuoi ricordi.
Certo, certo: non tutti. Molti ricordi belli sono belli e basta, molti momenti belli li hai vissuti assaporandoli al massimo.
Ma molti momenti li devi assorbire, si devono calmare le acque, si deve diradare la nebbia prima di poterli giudicare nel modo giusto, prima che possano diventare immagini da salvaschermo del nostro cervello.
E ricordiamoci che ne scatteremo ancora tante di immagini: ogni giorno, click, un nuovo ricordo.
Ogni giorno una nuova avventura, una nuova ricerca, un nuovo tesoro da cercare.
Certo, sarebbe più bello se alla ricerca di questo tesoro partissimo armati di una bella mappa, magari aiutati nel viaggio da un avventuriero esperto, qualcuno dalla scorza dura che ti prende sotto la sua ala protettrice senza abbandonarti nemmeno quando dovrebbe tradirti.
Jim Hawkins ha vissuto tutto questo. È partito alla ricerca di un tesoro con la mappa di un vecchio marinaio, protetto da un pirata con una gamba sola di nome Long John Silver. Ce lo ha raccontato per bene Stevenson, nel grande “L’Isola del Tesoro”.
Ma mentre di Jim sappiamo quasi tutto, nulla o poco sappiamo del vero protagonista del racconto, quel Long John Silver che con una gamba di legno protegge Jim dai suoi stessi compari, rischiando la vita e perdendo il tesoro.
Per fortuna Long John ha voluto lasciarci tutti i suoi ricordi, dolci e meno. E grazie a Bjorn Larsson ora li possiamo leggere, e capire cosa ha passato e come si è indurito il cuore di quest’uomo. Scopriamo anche come ha perso la gamba e perché lo chiamano “Barbecue”.
“La vera storia del pirata Long John Silver” ci butta in mezzo al mare e ci fa sentire gli spruzzi di salso e la polvere da sparo. Ci fa vivere un’avventura che vorremmo avere tra i nostri ricordi, ma non vorremmo mai veramente aver vissuto (credetemi, e poi leggete il libro per credermi ancora!).
Nel mentre, continuiamo a vivere le nostre avventure, anche senza mappa, ma con qualcuno al fianco. A volte ci vuole un sostegno per sopportare meglio i ricordi più neri.
Con affetto
IK
All’abbordaggio! Ma mai senza Elvira e Paola!
httpv://www.youtube.com/watch?v=SpwSxHiiNSw
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Insisto… i ricordi per me non sono un salvaschermo, ma a volte salvano proprio la cpu della mia testa. anche quando tornano quelli brutti. In fondo mettono le cose in prospettiva. Ammetto anche di avere delle prospettive un po’ stortine, ma non me ne lamento. Comunque piacere di aver letto anche questa “avventura”. Fa riflettere, quindi grazie.
Schopenahuer sosteneva che “I ricordi sono l’unico veleno di cui vale la pena di morire”. Non era certo un allegrone, ma è vero. I ricordi, belli e brutti, sono parte di noi, vanno accettati, condivisi a volte, a volte tenuti segreti dentro di noi.
Il bello dei ricordi belli è raccontarteli e raccontarli e sai chi è che ti sta accanto?
I libri, quelli sono i compagni di viaggio nella vita, grazie ad essi i ricordi non svaniscono.
E strada facendo ti accorgi che dei momenti brutti ricordi qualcosa che li fa persino diventare belli: quella forza che hai avuto, il coraggio che ci hai messo e la felicità che ti ha invaso quando ne sei uscito.
Diventano quelli da raccontare.