InkKiller, il racconto. Parte quarta: Funerale

La terza parte la trovate qui

Arrivo al convento dopo una serie infinita di tornanti. Tornanti che io ho preso da provetto pilota di rally, ma che lo stomaco di Dario sembra aver preso meno bene, almeno a giudicare dalla faccia.

Vado verso una luce sul fianco della chiesa, un prete grosso come Bud Spencer e con una bella barba bianca aspetta sotto il lampione, davanti a una porta. Assieme a lui due persone, una giovane coppia.

Mentre mi avvicino, noto il suo sguardo passare dal sollevato al sorpreso per finire con il preoccupato, appena vede Dario, sbiancato, sul sedile del passeggero.

«Che è successo? E tu chi sei ragazzo?»

Barba bianca parla con voce dura, profonda. Calma. Mette in soggezione, ma non per paura. Una di quelle voci delle quali ti puoi fidare. O devi, considerando quanto grosse ha le mani!

Va dal lato di Dario, apre la portiera e lo aiuta a scendere.

«Mi chiamo Davide. Dario è ferito, perde sangue.»

«Se non mi fate scendere da qui, tra poco perdo anche le paste della prima comunione, non solo il sangue!»

«Senti, ma non si era detto che finivi di morire in silenzio, te?»

«Vedo con piacere che avete fatto amicizia. Anna, Mattia, aiutate Dario, portatelo dalle sorelle, all’asilo. Che lo tengano nascosto, mi raccomando»

Dario passa un braccio attorno alle spalle dei due. Guarda barba bianca e gli dice:

«Sono nel sedile posteriore.»

Il prete sposta il sedile anteriore e si china dentro la macchina. Ne esce con una cartelletta di cuoio marrone, coperta di pezzi di vetro, che fa cadere tutti diligentemente dentro il coupé.

«Grazie Dario.»

«Ci stanno inseguendo Don Romeo. Saranno qui fra poco.»

Don Romeo si ferma un attimo. Poi si rivolge alla coppia.

«Fate in fretta, per piacere. Mattia, appena finito nascondi l’auto.»

Mattia fa un cenno con la testa. Don Romeo si avvia verso la porta sotto il lampione. Io prendo lo zaino e lo seguo, quando sento Dario.

«Ehi Davide.»

Mi giro a guardarlo

«Grazie.»

Siamo vivi.

«Quando vuoi, Dario.»

Dario alza la mano sporca di sangue. Io alzo la mia, poi mi giro e seguo Don Romeo.

Entriamo in chiesa, in quella piccola stanza posta dietro l’altare. Una stanza semplice, spoglia. Un vecchio cucinino dove fanno bella mostra i piatti sporchi della giornata, un tavolo quadrato con 4 sedie tutte diverse. Alcuni mobili e appoggiato al muro, a sinistra, un grosso baule.

«Che succede Don Romeo?»

Don Romeo è girato, la cartelletta tra le mani, la testa bassa. Restiamo cosí per qualche secondo, poi si gira e mi guarda dritto negli occhi.

«Hai il giubbotto e i pantaloni macchiati di sangue. Toglili in fretta, prima che arrivino. Ti cerco qualcosa da metterti.»

Don Romeo appoggia la cartellina sul tavolo e comincia a rovistare nel baule. Metto giù lo zaino e lo riempio con quanto ho nelle tasche di giacca e pantaloni. Sfilo il giubbino e nel farlo mi si slaccia il braccialetto che mi ha dato mia madre.

Don Romeo lo raccoglie e lo osserva con attenzione. Io intanto mi tolgo anche i pantaloni.

Passo giubbotto e pantaloni a Don Romeo, che in cambio mi restituisce il braccialetto.

«Chi te l’ha dato?»

«Mia madre. Mi ha detto che apparteneva a mio padre. È tutto quello che ho di lui, il braccialetto e una lettera. Perché?»

In quel momento si sente un’auto affrontare gli ultimi tornanti a tutta velocità.

«Non c’è tempo. Seguimi Davide.»

Don Romeo prende la cartelletta e va verso la chiesa, verso l’altare. Io prendo lo zaino, mi rimetto in fretta gli scarponcini e lo seguo. È così che mi ritrovo in mutande, sull’altare davanti a una quarantina di occhi che mi osservano incuriositi.

Don Romeo si dirige verso la bara posta ai piedi dell’altare. La stessa bara che ho visto prima, sul carro funebre.

«Svelto, vieni qui.»

Lo raggiungo cercando di coprirmi al meglio. Don Romeo apre la bara.

«Coraggio Davide, dentro.»

«COSA????»

«Dai, muoviti.»

Lo guardo negli occhi. Non riesco a muovermi.

«Davide, SVELTO!»

Mi giro per guardare la bara e..

«Vuota?»

«E cosa credevi, di starci pure tu se era occupata? Entra. C’è un chiavistello tra la bara e il coperchio. Appena sei dentro, chiudilo. E non ti preoccupare, ci sono dei buchi per permetterti di respirare.»

Mi dice tutto questo mentre m’infilo nella bara. Metto lo zaino ai miei piedi. Don Romeo mi pianta la cartelletta sul petto e richiude la bara mentre sento una macchina frenare fuori, sul selciato della chiesa.

Faccio appena in tempo a trovare e chiudere il chiavistello che sento il portone aprirsi, e di colpo, si fa silenzio.

Dentro la bara è buio pesto. Sento salire la paura, il terrore. Rivedo le scene dei film visti da bambino: lui sepolto vivo che cerca di scavare la sua via fuori dalla tomba.

Sento dei passi, lenti ma decisi, il battere di tacchi sul corridoio della Chiesa. Si avvicina qualcuno.

“Toc Toc”

Sento battere sulla cassa.

«Buonasera Padre Romeo. Mi sarebbe dispiaciuto disturbarla, ma vedo che è ancora in piedi. Come mai celebriamo i funerali così tardi?»

Una voce stridula, antipatica. Una voce di qualcuno potente, qualcuno abituato a far paura agli altri.

«La Chiesa non ha orari, Avvocato. Lei lo sa bene.»

Sembra che Don Romeo abbia poca voglia di farsi spaventare, comunque.

«Chi è il morto?»

«Un poveraccio che viveva di poco, un reietto della società.»

Va bene Don Romeo, ora non esageriamo però. Ho pochi amici, d’accordo, ma reietto…

«Una bella bara, per un poveraccio.»

«Abbiamo fatto una colletta, nella comunità.»

«Bella comunità la sua, Padre. Li vedo qui tutti riuniti. E li riconosco tutti.»

Quel “Li riconosco tutti” suona come una minaccia. E chissà perché, credo lo sia.

«La apra, Padre.»

«Guardi Avvocato, non è un bello spettacolo. Il poveraccio è stato devastato da una brutta malattia.»

E il poveraccio finirà ancora più devastato se ora aprono la bara.

«Su Padre, non crede che abbia lo stomaco per resistere?»

Oddiooddiooddio. Ora sono finito

«Come vuole avvocato. Carissimi, vi prego di accomodarvi fuori per un momento. Mi scusi Avvocato, vado a prendere i guanti e il camice protettivo.»

«Il camice protettivo? Perché?»

«Non vorrà mica che mi prenda la peste andina, spero. Lo sa che continua a trasmettersi anche dopo che il portatore è morto.»

Pure questa ora. Reietto e appestato. E diamoci una calmata, Padre!

«La peste andina?»

«La peste andina. Stavamo giusto per portarlo al crematorio. Questi infetti li bruciano solo a tarda notte.»

Silenzio.

«Ha ragione Padre. Questo buon uomo ha bisogno di preghiere per la sua povera anima. Forza, caricatelo. Vi accompagnerò fino al crematorio e pregherò per lui.»

O cazzo. Forse era meglio sottoterra.

«Grazie Avvocato. Dio gliene renderà merito. Fratelli, accompagnamo il nostro fratello Angelo al suo ultimo destino.»

Altri passi. Altra gente si avvicina. Sento la bara muoversi, scorrere lungo la navata. Ora mi alzano, scendiamo gli scalini. Ecco, la botta sorda della bara appoggiata sul retro dell’auto. Sento che scorre dentro. Le portiere si chiudono e si accende il motore. Ci muoviamo.

Lo avevo pensato diverso il mio ultimo viaggio.

 

Continua la prossima settimana

httpv://www.youtube.com/watch?v=rOyj4ciJk34

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