InkKiller, il racconto. Parte seconda: Una vecchia Coupé


La prima parte la trovate qui


Si fa inesorabilmente buio, e qui non passa nessuno. E fa freddo, altro che primavera!

Dai che forse ho fortuna: si avvicina un bel corteo di macchine, vedo i fanali. Dai che una mi prende.

Allora: in piedi, sotto la pensilina ma bene al bordo, braccio destro teso, pollice alto e preghierina della sera: “madonna fa che si fermi qualcuno o se non lo fa che vada dritto alla prossima curva”

«O MERDA!»

Mi giro subito, mi siedo e mano sulle palle! Altro che passaggio da questo! Un corteo di macchine sì… aperto da un bel carro funebre! Solita fortuna.

Però poveracci. Guardo le facce tristi dietro ai vetri. I funerali non sono mai belli, è sicuro. Ma a volte ad alcuni ci vai perché era un vecchio amico di famiglia, un parente alla lontana, quel vecchio zio che non vedevi da dieci anni. E il funerale è quasi più una riunione di famiglia, parli, ti scambi le ultime informazioni, i pettegolezzi, ti aggiorni, e ti rimandi al prossimo morto.

Qui invece vedo solo facce tristi, nessuno che parla dentro le macchine. Volevano bene al morto. Tutti. Mi spiace, veramente.

Torniamo ad aspettare, a leggere, pensando al senso della vita. E non quello dei Monty Python.

Leggo un buon capitolo prima che si avvicini un’altra macchina.

Ci riprovo? O è solo un parente in ritardo? Meglio non rischiare va, aspetto qualche altro minuto. Poi sono ad un punto intrigante del libro.

Ma guarda: è una vecchia Beta Coupé, come l’aveva mio zio. Ho imparato a guidare su quella.

Certo che va proprio piano. E rallenta ancora: così il corteo non lo raggiunge più. E ora si ferma? Qui davanti e in mezzo alla strada? Non si vede neanche chi c’è dentro: Beta Coupé con vetri oscurati. Più tamarro di così solo uno con Alfa Sud e volante col pelo.

«Peeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee»

E si mette anche a suonare il clacson questo! Ma allora si è fermato proprio per me!

«Basta con il clacson. Arrivo arrivo!»

Carico lo zaino e corro per bagnarmi il meno possibile. Cerco di aprire la portiera, ma è bloccata.

«Peeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee»

Ma Cristo, sono qui, la vuoi piantare con il clacson?

«La portiera è bloccata! Può aprirla per cortesia?»

«Peeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee»

Anche se urlo il clacson copre il rumore. E io intanto mi inzuppo tutto. Meglio fare il giro dal suo lato e battere sul finestrino.

«Peeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee»

E battiamo allora. Ma nessuna risposta.

«Hey? Allora?»

O mi spacco le nocche o spacco il vetro se continuo a battere. Proviamo ad aprire la porta. Ok, questa va.

«Peeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee»

E basta con questo clacson!!!!

«Mi scusi ma la port…»

Appena guardo dentro, mi si bloccano le parole. Il guidatore sta suonando il clacson con la testa! È svenuto, la testa sul volante. Lo sposto indietro sul sedile e vedo la sua mano sinistra sulla pancia. E vedo la macchia rossa, il sangue.

«Piano»

«Non parli, coraggio. Ora sistemiamo tutto.»

Butto lo zaino sul sedile posteriore e sposto il tizio sul sedile passeggero.

«Pianooooo….»

«Ho capito piano, ma di là deve andare.»

Riesco a buttarlo di là, ma non a spostare le gambe. Mi butto dentro e sblocco l’altra portiera.

«Faccio il giro!»

Certo che ha una faccia questo qui. Cazzo, speriamo che non mi muoia tra le braccia.

Apro la portiera e..

TUMP

«Ahia!!!!!»

«Merda! Scusi! Mi ero dimenticato che aveva la testa appoggiata alla portiera!»

Lo tiro su alla meglio, sposto le gambe, controllo che la testa sia a debita distanza e chiudo la portiera. Altro giro, e monto in macchina. Mi correggo: è bello tamarro pure questo, con i dadi di peluche appesi allo specchietto retrovisore!

«Lei sa dove si trova l’ospedale più vicino?»

Lo chiedo per disperazione mentre cerco di sistemare il sedile e gli specchietti.. non che mi aspetti risposta.

«No…..»

Ecco, giusto per smentirmi è arrivata la risposta. Certo, servisse a qualcosa sarebbe meglio.

«Nessun problema, ora mi giro, punto verso la prima città e troviamo qualcosa. Stia tranquillo.»

«NO!»

«No?»

«No, nessun ospedale.»

È mezzo dissanguato, sa che potrebbe restarci, e non vuole l’ospedale. Sono riuscito a ficcarmi in un altro guaio?

«In ospedale sono un uomo morto.»

«No, chiamo la polizia, vedrà, la proteggono.»

«No. Devo raggiungere il convento. Mi devi portare lì. Sapranno cosa fare.»

«Ma quale convento! Ci vuole una sala operatoria qui!»

«Al convento. Ti prego.»

E mi prende il braccio. Con la mano sporca di sangue. Adesso chi lo tira più via?

Lo guardo. Lo guardo veramente per la prima volta. Magro, sulla quarantina, capelli ingrigiti, barba sfatta. È tutto vestito di nero, fatta eccezione per un piccolo collarino bianco attorno al collo.

Un prete. Un prete ferito. Un prete ferito che non vuole l’aiuto della polizia e dell’ospedale. E che mi ha sporcato il giubbino. Perché io?

«Dov’è il convento?»

«Segui questa strada, costeggia la ferrovia. Dove siamo qui?»

«Vicino a una fermata dell’autobus.»

«Che paese dico!»

«Non lo so, non sono di qui… sto viaggiando in autostop.»

Mi guarda strano. Credo stia valutando se gli conviene che guidi o se è più sicuro per lui rischiare di andare avanti da solo.

«Hai la patente?»

«Certo che ho la patente.»

Premo la frizione, faccio per ingranare la prima e gratto. Terribilmente. Mezza scatola del cambio è ora limatura di ferro sull’asfalto.

«Sicuro?»

«Sì, sicuro sì. Ma lei non stava per morire? Continui a morire in silenzio, please!»

Gli scappa un accenno di risata, seguito subito da una smorfia di dolore.

«Segui la ferrovia, a un certo punto sulla destra c’è un passaggio a livello incustodito. Devi girare di là, poi fai altri 5 km e arrivi a un paesino, ai piedi di una collina. Dopo la chiesa c’è una stradina che s’inerpica sulla collina. Alla fine c’è il convento.»

«Insomma appena prima della fine del mondo.»

 

Continua la prossima settimana

httpv://www.youtube.com/watch?v=_eyFiClAzq8

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