La mia prima auto è stata una Citroen LN, color beige-marroncino. Un catorcio.
I miei amici la chiamavano “carro armato” perché la sentivi arrivare a un paio di chilometri di distanza e sembravano i panzer dell’esercito tedesco. Ho visto più di qualche ex-partigiano mettersi alla finestra con i fucili puntati mentre passavo.
Superati i 70 vibrava talmente che non potevi portarci del latte dentro: ti ritrovavi burro all’arrivo.
Comunque, in una giornata serena, sono riuscito anche a portarla ai 120. Certo, ero solo, a digiuno e pesavo 25 chili meno di adesso.
Una sera degli amici mi hanno invitato a cena a casa loro: spaghetti e chiacchiere. Le serate migliori. Spesso e volentieri finivano alle 4 del mattino, e solo perché ci autoimponevamo di andare a casa a dormire un paio d’ore prima di andare al lavoro (io) o a scuola (la maggior parte dei miei amici).
Avrò avuto 19 anni, l’età della compagnia, del gruppo, di tante discussioni su troppe cose senza arrivare mai a nulla, cosicché si potesse tornare a discuterne ancora la prossima serata. Soldi pochi e voglia di perdersi nelle discoteche ancora meno.
A casa loro è sempre stato un piacere ritrovarsi: d’estate fuori, sotto un pergolato di kiwi, d’inverno in cucina attorno a un tavolo che può ospitare anche 20 persone.
Mi stavo preparando per uscire quando mi chiamano al telefono. Fisso, che al tempo mica c’erano i cellulari, eh!
“Paco, puoi portare una pentola d’acqua per cucinare la pasta?”.
Dovete sapere che il paese intero era senz’acqua, ma non per problemi di tubature rotte, no, magari: l’acqua era inquinata dai veleni usati per l’agricoltura. Per rifornirsi, bisognava andare in centro dov’era stazionato un bel camion dei pompieri e riempire secchi e taniche. Ah, siamo nel ricco Nord-Est, primi anni novanta.
“Certo Filippo, la porto io tranquillo”.
Detto fatto, riempio la pentola a pressione, la chiudo, la metto sulla LN e parto. In centro città si notava un po’ di nebbiolina, ma niente di preoccupante. Appena passato il cartello di fine città, BUM! Un muro.
Non si vedeva a mezzo metro. La mia fortuna è che almeno la LN faceva talmente rumore che se arrivava qualcuno in senso contrario mi avrebbe sentito, come le sirene sulle navi.
Da casa mia alla loro erano solo 10 chilometri: ci ho impiegato più di 40 minuti. Pianissimo.
Sommerso in un muro bianco cercavo di seguire il bordo della strada, di non perdermi agli incroci e di calcolare tutte le possibili variabili.
La nebbia ti costringe alla massima attenzione. È carogna: ogni tanto si alza di colpo, e tu pensi che sia passata e invece, paf! Eccola lì di nuovo, a rallentarti giusto quando hai ripreso velocità.
Quando sei immerso in quel mare bianco tutti i tuoi riferimenti sono andati: è già abbastanza se riconosci l’altro dal basso.
Quante volte ci troviamo immersi nella nebbia. E non parlo di quella esterna, di quella meteorologica.
Quante volte ci troviamo a prendere delle decisioni senza sapere quello che abbiamo davanti, quello che ci aspetta, affidandoci all’istinto e alla fortuna. E quante volte malediciamo quelle decisioni prese che ci hanno portato fuori strada o dentro un fosso.
Quando scende la nebbia l’unica cosa da fare sarebbe fermarsi e aspettare che si sollevi, che si diradi da sola, e allora potremo vedere di nuovo tutto con chiarezza. Ma questo è un privilegio concesso al buio: il buio sappiamo per certo che prima o poi termina. E per lo meno abbiamo la luce ad aiutarci.
La nebbia invece, quella no. Lo speriamo, ma non lo sappiamo. E la luce non aiuta, anzi, ci si riflette contro.
Allora con la nebbia dobbiamo continuare a muoverci, trovarne i bordi, cercare il punto in cui si dirada.
Non c’è una volta, una sola volta, che queste nebbie si diradino e ci lascino senza segni. Ogni volta che ne usciamo portiamo qualche graffio, qualche ricordo e possibilmente qualche esperienza che ci permetterà di non ricascarci la prossima volta.
Ma ogni volta la nebbia è più fitta, più dura da passare, perché ogni volta diventano più dure le decisioni che dobbiamo prendere: la famiglia, il lavoro, la casa, il futuro.
L’unica consolazione è che quando sei fuori dalla nebbia tutto sembra più bello, più limpido. I colori sono vivi, anche se il cielo è grigio, anche se fa freddo, tutti i colori che vedi sono nuovi, appena stesi, ancora freschi che hai paura a toccarli per non sbavarne i bordi.
La nebbia è anche la vera protagonista dei romanzi di Valerio Varesi e del Commissario Soneri. La nebbia vera, quella meteorologica che nel parmense la fa da regina. Una nebbia che si impossessa non solo dei luoghi ma dei personaggi, tanto che tutti sembrano fatti di questa sostanza lattiginosa e nessuna azione sembra mai chiara.
Leggendolo non può non tornare in mente Simenon: come lui riesce a trasmettere non solo le emozioni, ma anche la sensazione fisica dell’ambiente di cui parla.
Aggiungeteci anche un po’ di nostalgia per i tempi passati e le ideologie morte che si sono mangiate intere generazioni ed ecco che avete in mano qualcosa che vale veramente la pena di leggere.
Aspettando che la nebbia si alzi.
Con affetto
IK
E nella nebbia degli errori la luce rossa di Paola guida lo scrittore smarrito
httpv://www.youtube.com/watch?v=62iXxws3kBM
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Ah, a proposito di macchine… La mia prima carriola fu una Prinz usata, annata 1967. Chiamarla macchina era una parola grossa, aveva solo 2 cilindri e non 4 come le altre, ma col mio stipendio da bidella non mi potevo permettere molto. Però la amavo, l’avevo chiamata Mazinga. Una volta la spinsi fino ai 100 km orari ma non si riprese mai puù, da quella volta dopo i 70 comicniava a puzzare. Le mie amiche storcevano il naso a montare su Mazinga per andare in discoteca a Riccione, però era il catorcio che consumava meno. Una volta abbandonai una stronzetta alle 4 del mattino davanti a un locale in collina, a 10 km. da Rimini, perchè la figarina con una smorfia berciò “Oddio, io su una Prinz non ci salgo”… Bene cara, le ho detto, vai a casa a piedi, e l’ho lasciata lì con 12 cm di tacchi a spillo. Guai a chi me la toccava, la mia Mazinga, l’ho tenuta con me finchè uno dei suoi 2 cilindri è esploso, e nel mondo contemporaneo non esisteva più il pezzo di ricambio. Quando l’ho portata a rottamare, ho pianto. E’ stata la mia prima vera libertà, il mio utero mobile. Onore a te, Mazinga, ci rivedremo in quel ristorante al termine dell’universo.
Bellissimo racconto, JJ. Complimenti, come sempre. Aspettando che la nebbia si alzi…
Grazie mille Antonella. E bellissimo pensiero, quello che hai lasciato.
“La nebbia che respiro ormai,si dirada perchè davanti a me,un sole quasi caldo sale ad Est”……
Non conosco la fitta nebbia metereologica che avvolge tutto con il suo manto…Paradossalmente è simile alla nebbia che offusca i pensieri, quando nella vita ci si trova davanti ad un ostacolo(quanti!)
E’ lì nella mente e sembra di toccarla con mani che hanno paura a muoversi.Confonde e non si sa cosa è più giusto fare per superare l’ostacolo.
Quando si dirada e riesci finalmente a”vedere”,ha lasciato un segno a volte indelebile.
Bello quanto hai scritto…Partire da una Citroen LN e viaggiare attraverso la nebbia vera e la nebbia dell’anima.
Juan: non è questione di soldi, con quello che hai speso potevi trovare qualcosa di meglio!
Sei uno dei pochi in Italia che ha comprato la LN!
Hanno di certo il tuo nome come cliente emerito.
E’ rimasta in produzione poco tempo, i concessionari te la tiravano dietro…
Nel 1976 quando cambiai la mia Dyane, il concessionario Citroen mi fece un’offerta per una LN color lingua di bue nuova.
Mi feci un giro … da paura!
Carla, dopo almeno te lo sei sposato?
Raff: ho comprato quello che passava il convento (leggi: fin lì arrivavano i soldi. Non tutti erano ricchi nel ricco nordest)
ps
io dopo la mitica Fiat 600 de luxe (750) con sedili ribaltabili di serie, ho avuto un Dyane 6 color beige chiaro
@ carla anche a me è accaduto dalle parti di Novara di seguire una macchina fino a casa sua!
Magari era lo stesso!
@ Juan …. la LN, ma che razza di macchina hai comprato? Non mi dire che dopo hai comprato la Duna
Mentre leggevo mi sono tornati in mente il libro e il film “Il porto delle nebbie”.
Simenon è Simenon, e di solito i film rendono meno dei libri. Ma Jean Gabin è spettacolare.
Sì, la nebbia che abbiamo dentro non è facile che si diradi per farci vedere con chiarezza le scelte da fare, ma quante volte, col passar del tempo, ti accorgi che forse è stato meglio così, che con le idee chiare si sarebbero fatte scelte peggiori.
Per quella meteorologica, avendo abitato per 4 anni tra Novara e Busto Arsizio, ne ho mangiata parecchia! Una sera, tornando a casa nel muro più fitto, ho avuto la fortuna di avere davanti a me una macchina che procedeva a passo d’uomo. Ho deciso che era meglio accodarsi fino a trovare qualche punto di riferimento.
Quando la macchina si è fermata ho fatto la stessa cosa..ero nel giardino di casa del proprietario dell’auto.