Preciso

Di seguito il racconto “Preciso” di Lorenzo Coltellacci

 

La testa mi pulsa e sento male in tutto il corpo.

Non ricordo come sono finito in queste condizioni. Con uno sforzo tale da farmi girare tutto ciò che ho intorno, che per il momento è solo nero assoluto, mi porto le mani alla testa. Tasto il bozzo.

C’è del sangue.

Non riesco ancora a capire in che posizione mi trovo. Se sdraiato o in posizione eretta. Sulle gambe non avverto alcun peso, quindi opto per la prima opzione. Eppure…

A una analisi più attenta mi accorgo, mentre recupero pian piano tutti e cinque i sensi, che ho qualcosa attaccato al volto.

Una lastra. Fissata con dei lacci dietro la testa.

Non è fredda. E ci sono dei buchi che corrispondo a naso, occhi e bocca.

Sembra legno.

E finalmente mi accorgo di essere sdraiato su un lettino, leggermente inclinato verso l’alto, non più di 60° di inclinazione.

Vorrei sgranchirmi e provo ad alzarmi. Ma con grande stupore scopro di essere bloccato. Una cinghia, forse di cuoio, mi tiene fermo per la vita. Altre due, più sottili, sulle gambe. Solo le braccia sono libere e nel momento in cui, assalito dal panico e totalmente perso e confuso, tento di slacciare quelle stringhe che mi incatenano, una luce si accende.

Non è più buio.

La luce mi brucia gli occhi e ne deduco che non li apro da molto, svenuto per chissà quanto tempo.

Sono in una grande stanza. Un magazzino, forse. Il soffitto è alto. Le pareti non le distinguo. Troppa la confusione e la penombra.

Guardo il mio corpo e vedo le cinghie. Cerco nella mia tasca un coltello. Il mio coltello. Non trovo nulla.

Sudo freddo.

E una voce ride da un altoparlante posto, se l’udito non m’inganna, cosa che potrebbe benissimo fare, all’angolo destro della stanza. Uno strano accento.

– Ah ah.

Rimango impietrito.

Con un impeto d’ira provo ad alzarmi ma l’unico risultato è quello di scorticarmi ancora di più la pelle in prossimità delle cinghie. La tavola sulla mia faccia che pesa sempre più. I lacci che la tengono fissata dietro la testa mi graffiano. E’ grande la tavola. E’ di legno. Altri lacci che penzolano ai quattro angoli.

E da quel punto da cui proveniva la voce esce una figura.

Prima un ciuffo. Bianco.

Poi un vestito. Grigio.

Poi… chi è?.

L’udito mi aveva ingannato. Non era un altoparlante. C’era davvero qualcuno.

Quell’accento…

Mi hanno preso.

I ricordi tornano a fluire nella mia mente. Nella mia testa che pulsa.

Avevo fottuto quegli stronzi della mafia russa. Ero riuscito a fregarli. Io.

Era un affare da centinaia di migliaia di euro. Non era la prima volta che facevo una cosa del genere. Un gioco da ragazzi per uno come me. Poi…

Mi hanno fregato. Loro. Un gioco da ragazzi per la mafia russa.

– Bravo, complimenti. Ce l’avevi quasi fatta. Tu voleva portare via nostro denaro.

Si avvicina sempre più e riesco finalmente a distinguere i tratti del volto. Due sopracciglia acute. Fronte e guance rugose. Occhi di ghiaccio. Bocca piccola. Non tanto alto, ma snello. Portamento altezzoso, ma sciolto.

Deciso.

– Non si scherza con mafia russa, – mi dice mentre con la mano destra mi stringe le guance, trasformando la bocca in un piccolo buco rotondo. Mi lascia. Si gira. Torna da me. Mi schiaffeggia.

Poi con un gesto della mano chiama qualcuno. Da un segnale. Dice: -Legatelo.

“Sono già legato, cazzo!” mi verrebbe da dire.

Due gorilla, pelati, con l’alito che sa di Vodka, fissano i quattro lacci penzolanti dalla tavola di legno sul lettino dietro di me. La testa immobile. Anche le braccia legate. Paralizzato.

Poi uno prende una strana pinza, una forbice. Me la infila in bocca e mi tiene aperte le mandibole. L’altro prende una siringa e con un colpo deciso me la infila prima in un occhio, poi nell’altro. Non li batto più. Spalancati.

Riesco a vedere il vecchio.

E’ salito su una piccola impalcatura mobile. E’ davanti a me. In alto. Perpendicolare all’inclinazione del lettino.

– Se vuoi fare il furbo tu deve essere preciso. Prevedere tutto. – Tiene in mano una scatola.

– Tu voleva giocare con noi.

Se la passa tra le mani.

– Noi ora giocare con te. Te piace giocare a darts? – pensa, – Freccette?

Apre la scatola ed estrae tre frecce. Punta dorata che riflette al buio. Coda piumata.

– Devi calcolare tante cose. Polso rigido. Sentire spostamento di aria. Nervi saldi. Precisione.

E mentre inizia a molleggiare con il polso, tenendo stretta tra indice e pollice la prima freccetta, capisco cosa c’è sopra il mio viso. La lastra di legno. Sono un bersaglio. Il bersaglio. Per le freccette.

Il vecchio prende la mira per l’ultima volta, scaglia la freccetta e dice:

– Io sono molto preciso. Deciso. Freddo.

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