Penso sia stato per i Tre Moschettieri.
Vedete, il fatto è che io sono sempre cresciuto con questa idea della cavalleria: sempre in soccorso al più debole, essere giusti e retti, correre in aiuto delle fanciulle in pericolo.
Ce ne ho messo di tempo per capire che molte delle fanciulle in “pericolo” non avevano alcuna intenzione di venir salvate, o quantomeno non da me, ma questa è un’altra storia.
Certo, essendo nati qualche anno dopo l’epopea dei cavalieri e pure senza l’adeguato lignaggio, l’unica possibilità era sognare.
E quanto ho sognato io a occhi aperti!
Però anche nei migliori sogni serve un esempio, qualcuno da seguire, da imitare. C’è chi voleva diventare il famoso centravanti, chi controllare Mazinga Z. Io mi accontentavo di diventare D’Artagnan e partire con la mia spada a risolvere guerre e salvare deboli, fino a crollare, sfinito, tra le braccia della bella principessa salvata dalla torre più alta.
E poi c’era anche altro: la torre Eiffel intanto. Un ammasso inutile di ferro che mi ha affascinato fin da piccolo. Non sorprenda allora che anche adesso, andando alla biennale a Venezia, io mi fermi a contemplare una vecchia gru semidistrutta ancora lì all’arsenale. E vedendo le “opere” esposte credo di avere anche ragione.
La Francia è il Louvre, Napoleone, la Senna. Il Rugby, signori, il Rugby. A quei tempi i francesi giocavano in maniera meravigliosa, erano gli anni del rugby champagne, corse impazzite, tattiche incredibili con una squadra che si metteva a giocare la palla dal punto dove qualsiasi altra l’avrebbe calciata. E andava in meta.
Ancora la Francia è il più bell’inno nazionale, quella Marsigliese che è un vero crudelissimo canto di battaglia. Ci si stupisce quando gli All Blacks inscenano una danza di guerra prima della partita? Ascoltate bene le parole dell’inno francese e poi vedrete!
Insomma, motivi sufficienti per far sì che in prima media, al contrario di quasi tutti, io scegliessi Francese come lingua straniera.
Ah, il francese! Musicale, poetico, dolce. La langue d’oc ha sonorità bellissime che nessun’altra lingua raggiunge. Il “Je t’aime” è di gran lunga il più dolce dei “ti amo” nel mondo, più di “I love you” e anni luce da “Ich liebe dich”. Urgh!
Tutto questo prima d’impararlo bene il francese ovviamente. Qualcuno di voi che legge lo ha studiato? Qualcuno che mi sa dire per cortesia quanti cavoli di accenti ha il francese? No, a me sembra che ogni giorno ne inventino uno nuovo!
Non li ho mai imbroccati io gli accenti francesi. Ma nonostante questo, studiare la lingua è servito ad andare a visitare per la prima volta Parigi: grazie al gemellaggio di Montebelluna con Dammarie-les-Lys ci siamo imbarcati in treno e via a fare un concerto di flauto nella ridente cittadina francese a due passi da Versailles.
Ricordo:
- L’emozione per aver visto il TGV alla Gare de Lyon
- Quello che credo essere stato il mio primo orgasmo al salire la Tour Eiffel (e scenderla a piedi)
- Un bellissimo pavone con la coda a ruota nel giardino di un insignificante palazzo di nome Versailles
- Una serie di compagni di classe che non ho mai sopportato
- Cibo orrendo!
Sì, il cibo era orribile. La grandeur francese, il miglior cibo al mondo, faceva veramente schifo! Un giorno, per disperazione, ci hanno fatto piselli e stufato e almeno abbiamo mangiato tutti. Damarie le Lys stava rischiando titoli di giornale del tipo: “Scolaresca italiana muore di fame in territorio francese”.
Finite le medie, per un periodo è finito il mio rapporto con la Francia, a parte passaggi nei nostri periodici viaggi verso il Portogallo, comprensivi di una visita forzata nel bellissimo paesino di Arles, dove Van Gogh soggiornò e dipinse e noi ci trovammo con una frizione rotta.
Ma che la Francia dovesse ritornare nella mia vita era probabilmente scritto, e successe nel posto più impensabile, Kuala Lumpur.
Ottobre 2003, partita inaugurale del mondiale di rugby: Argentina-Australia. Il pub è pieno di australiani già carichi di birra, e la mia voce per quanto possente non basta a supportare degnamente i Pumas.
In soccorso arriva Mathieu e la sua gang, 5 francesi in una specie di servizio civile nel caldo equatore.
Quel pomeriggio è stato il punto di partenza di una grande amicizia, lui veniva a casa nostra a mangiare vero italiano e noi chiedevamo conto della sua situazione sentimentale in continua evoluzione. Perché Mathieu è l’archetipo del francese: mai avuto una sola fidanzata. Sempre quattro o cinque, allo stesso tempo.
In Malesia ho stretto amicizia anche con Jean Marie, altro francese nato nei deserti africani, che nella sua vita ha cercato pozzi di petrolio in tutto il mondo e una cura per il pozzo che lo stava mangiando dentro.
Ogni tanto partiva con la sua moto in giro per il mondo, felice e invincibile. Poi piombava nell’apatia e nella depressione e per uscirne si sottoponeva a elettrochoc.
Pochi mesi dopo essere andato via dalla Malesia ho saputo che il pozzo era diventato troppo grande da scalare anche per lui.
Alla fine, grazie a un’italiana e un belga sono riuscito a riappacificarmi anche con la cucina francese. Emigrati pure loro come lo siamo stati noi, amici di lunga data, hanno deciso di abitare in uno splendido casale in un luogo remoto della Francia, dove il numero delle vacche è di gran lunga superiore a quello degli abitanti.
Lì, la sera, dopo che i nostri e i loro figli, stanchi di tanto gioco, crollano finalmente esausti, riusciamo a scoprire la grandezza dei formaggi blu, del petto d’oca e di alcuni vini che, devo purtroppo ammetterlo, rivaleggiano alla pari con i migliori dei nostri.
Sapori forti, quelli francesi. Sapori non per tutti, certamente. Ma allo stesso modo, mai né semplici né scontati.
Sono i sapori che riesce a distillare così bene una delle più grandi firme del giallo e del noir, francofono ma non francese: Georges Simenon.
I suoi libri offrono a ogni passo odori e sapori mai inutili e sempre sorprendenti, sorsi piacevoli e robusti, ma allo stesso tempo fruttati e saporiti come sanno essere solo i borgogna francesi.
Simenon ha ridefinito il giallo moderno in Europa, creando Maigret, ispettore parigino ma spesso in trasferta. Ha indicato la via che poi praticamente tutti hanno seguito, compreso il nostro Camilleri.
Eppure Simenon le cose più belle le ha scritte fuori dal personaggio Maigret. Così come Camilleri il meglio lo dà fuori da Montalbano.
Tra i tanti grandi libri, mi ritorna spesso in testa “I Pitard”, storia tremenda, cupa e maledetta.
Quando lo leggete, tenete a portata di mano del buon rosso e non disdegnatene l’uso. Vi aiuterà a capirlo a fondo.
Con affetto
IK
Talmente pignola che potrebbe ben essere francese, la nostra Paola
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I Pitard! Tremenda storia davvero! Io aggiungo Il piccolo libraio di Arkanghels e L’uomo che guardava passare i treni. Storie tremende in modi diversi. Simenon è in grado di scandagliare l’animo umano in maniera chirurgica.
Aggiungo una nota di affetto verso il mio papà che tanto amava la Francia. Al punto da cominciare a studiare il francese a 72 anni per poter leggere in lingua originale Maupassant. E’ andato oltre, ha letto ad 80 anni La recherce di Proust in francese.
Se torni nella zona di Van Gogh, passa da Saint Rhemy, se già non lo conosci, paesino minuscolo,ma plendido della campagna vissuta e dipinta da Vincent.