Scrivo da quando avevo otto anni. La mia prima “opera” fu un’imitazione della Divina Commedia e dell’Apocalisse di Giovanni, scritta su quattro fogli a righe per i temi della quinta elementare, in cui descrivevo la fine del mondo. Avevo nove o dieci anni, e mentre i miei amichetti sognavano di diventare astronauti o piloti della Ferrari, io abbassavo le serrande, salivo in piedi sulla scrivania di mio padre, e nel buio declamavo versi assurdi a un popolo invisibile, sognavo, cioè, di diventare da grande una via di mezzo fra il profeta Isaia e Dante Alighieri.
Conservo ancora questi quattro fogli vergati con calligrafia infantile e quando mi ricapitano fra le mani versi come “il ciel tombossi” (volevo intendere che il cielo cadeva giù come una lapide sulle capocce dei cattivi) e “il mar divenne fiamma e le acque si precipitarono sul mondo crudele”, mi viene tra il ridere e il piangere, perché alla mia età gli altri stavano nei prati a giocare a ruba bandiera o a mosca cieca, mentre io salivo sulle scrivanie a declamare queste robe, ma si nasce così e non c’è niente da fare. A quel buffo e solitario bambino devo il mestiere che mi ha permesso di vivere, io l’ho solo educato a non credersi troppo onnipotente mentre lui mi ha educato a mantener fede ai sogni e a osare, e si arrabbia un sacco quando mi vengono le depressioni perché il cielo mi par che “tombossi” solo sulla mia capoccia, cosicché sto attento a non affacciarla neppure dalla finestra per paura di qualche mannaia volante.
Perché, oggi, domenica 7 marzo, sto scrivendo questa sbobba che non ce ne può fregare di meno? Semplice. Perché qualsiasi evento, pubblico o personale, buono o pessimo mi sia capitato di attraversare nella vita, mai, proprio mai, mi era venuta meno la voglia di scrivere. La firma del presidente della repubblica sull’ennesima forzatura della legge da parte di un governo che neppure il più sognatore dei bambini degli anni Cinquanta avrebbe mai potuto inventarsi nelle sue fantasticherie e incubi, è riuscita a togliermi la parola. Al punto che, per farmi scrivere qualcosa, mi è tornato in mente quel verbo grottesco inventato da bambino, quel famigerato “tombossi”, che a leggerlo meglio potrebbe essere il seguito di Jack Folla, un personaggio di nome Tom Bossi. Per la prima volta non ho più parole. Sono “tombassute”. Ho letto il venerabile fondo di Scalfari su “Repubblica”, quelle durissime di Padellaro su “Il Fatto”, quelle di Galli della Loggia sul “Corriere della sera”, lo sdegno della Bonino e di tutto il web, e i pareri a favore dei flebili costituzionalisti interpellati dal TG 1 meno pubblico che abbiamo mai avuto, tanto che ne farei una soap-opera: “Casa Minzolini”. Insomma, ho letto “spieghe” di spessore e altre semplicemente di leccapiedi, vagoni di parole che, a mio modestissimo avviso, non valgono di più di quel “tombossi” infantile.
Non mi piace vivere in un paese che non può essere più descritto a parole, tranne che in una fiaba alla Pinocchio o in un nuovo Vangelo. Ormai si aprono spazi illimitati all’immaginazione, ma si restringono quelli della ragione. E questo è pericoloso. Assai più importante e grave delle ragioni addotte da Napolitano per giustificare la sua firma. Salvaguardare il diritto di tutti al voto è certo nobile e giusto. Ma una democrazia che resta senza fiato perché si approvano leggi ad uso di pochi, è imperdonabile. Nella storia si sono fatte rivoluzioni per molto meno.
Fonte: gli invisibili
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che ti devo dire. Forse ormai siamo troppo impigriti o pavidi per una rivoluzione. Non sapremo da dove incominciare: se hai qualche idea io ti seguo. Prima che veramente ci "tombossi"tutto sulla testa.