Una lunghissima doccia

Ho divorato giornali come popcorn da quando avevo diciassette anni e lavoravo come apprendista-“negro” nelle tipografie. Negli ultimi quarant’anni ho letto una media di otto quotidiani al giorno, con interesse decrescente negli ultimi tre anni.

Ho comprato all’incirca centoventimila giornali nella vita (senza contare i periodici). Calcolando 1 euro a copia, ho investito sul Corriere, il Manifesto, la Repubblica, Il Giornale, La Stampa , il Sole 24 ore, L’Unità, il Messaggero e -ultimamente- Il Fatto, il costo di un due camere e cucina (che non ho) in zona semicentrale: circa 120-130 mila euro. In compenso mi sono fatto una casa di giornali che il mio cervello s’è bruciato. Ma ho goduto.

Alzarsi all’alba e attendere la copia appena uscita dalla tipografia (sapere tutto e prima degli altri) da giovane mi eccitava quanto Brigitte Bardot. Ricordo pezzi memorabili di Pasolini, Montanelli, Afeltra, La Capria, Citati, Ettore Mo, Tiziano Terzani, la Fallaci, e tanti altri maestri. Mi hanno spiegato come andava il mondo, com’era andato fino all’altro ieri, e che cosa ne sarebbe successo di noi in futuro.

Era bello vivere sapendo. A un certo punto questo giocattolo si è rotto. Non trovavo più quell’aroma di avventurosi saperi. Dai fogli svolazzanti non si sprigionava che un’ottusa malinconia e una sporca vita. L’Italia di cui si scriveva mi restava incrostata addosso, come fango secco, non se ne andava più via.

Questo è accaduto all’incirca tre, quattro anni fa, ma era da tempo che mi andavo smarrendo nei giornali. Voglio dire: non c’erano più, quasi del tutto, le sentinelle, quegli avamposti dell’intelligenza che sono i giornalisti di razza. Naturalmente mi sono chiesto se non fosse colpa mia, un disinteresse esistenziale, una svogliatezza adulta e un po’ cinica, un maturo disincanto. Ma non lo credo, perché in tal caso non sarei più stato capace neanche di scrivere romanzi, e proprio in questi giorni ne sto attaccando uno nuovo.

Né si può dire che la cultura sia assente dai giornali, al contrario, ve n’è perfino troppa, nel senso che faccio fatica io stesso -gran lettore- a riprovare quella ebbrezza curiosa di un tempo nel leggere certi titoli così raffinatamente specialistici, gelidi, da master dei più astrusi saperi, che riscontro nel domenicale del 24 ore, per esempio, o nelle paginate di “Repubblica”. D’accordo, invecchiando un pochino ci si rincitrullisce, e per chi fuma come le locomotive di una volta, l’ossigeno area poco il cervello.

Fatto sta che da tre settimane, uno dei più generosi “piccoli azionisti” dei quotidiani d’Italia, s’è definitivamente stufato. Stufato come un manzo bollito di quel che dice e smentisce il premier, dello scandalismo, della “nera” gridata, dei pettegolezzi sul calcio o sulla Ventura, mi sono avvilito dell’assoluta e trasversale mancanza di senso dello Stato nella classe politica, quel malinconico Napolitano che firmi o non firmi mi infonde comunque un senso di vecchia, disperata resa all’arrembaggio delle istituzioni, mi sono avvilito nel leggere ogni santo giorno che chiunque entri nel grande giro (persino Bertolaso che stimavo) non si fa mancare un giro di giostra, vuoi una casa della Santa Sede, vuoi una velina o una mazzetta. Ma perché un cittadino italiano dovrebbe farsi carico di tutta questa porcheria? E con mio sommo stupore, un mattino, mi sono dimenticato di fermarmi all’edicola.

C’erano i telegiornali a inseguirmi e le news su Internet a non farmi mancar nulla di questo bollito Paese. Ed è come se da tre settimane stessi immobile sotto la doccia, mentre l’acqua fresca si trascina via le incrostazioni di questi anni grevi. Ora ho bisogno di quella vita che si misura in secoli.

I miei maestri sono Shelley, Leopardi, Seneca. Meritano ancora titoli da prima pagina. Le loro notizie sono più fresche che mai. E vengono via per meno di un cespo di banane, quattro euro a tascabile, meno di Panorama con l’inserto cellofanato sui “danni” della sinistra e di D’Alema.

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One Reply to “Una lunghissima doccia”

  1. Caro Diego ,ti ho frequentato, per lavoro, tanto tempo fa .Eri giovanissimo e costretto a barcamenarti tra montagne di ritagli di giornali, fotografie, appunti scritti con grafia pressocchè illeggibile, dallo stesso personaggio che ti affliggeva con il miraggio di insegnarti il mestiere .Giovanissimo, tanti capelli ,non protestavi mai .Poi quel momento , in quella redazione finì . Credo tu sia stato l’unico a non godere della”doppia” liquidazione che quell’editore , autentica mosca bianca , offrì a tutti i giornalisti, per scusarsi della immatura fine della pubblicazione . Ma quel tirocinio, sorretto dalla passione, senza dubbio ti è servito .Hai fatto cose notevoli e ,se è vero che la maturità esalta l’inventiva,ne farai di migliori . Che vergogna .Sto mettendo la notizia in fondo come uno volenteroso corrispondente di provincia . Chiedo venia . Volevo associarmi alla tua sofferenza sulla caduta di interesse per i giornali e per molto altro .Come te affamato di sapere e tanto curioso , soffro a leggere molto di quel che trovo. La buonanima di Papini odiava le ingiustificate inflazioi di termini stranierio nelle nostra lingua. Li bollò come barbarismi .Oggi , ne convieni ,la nostra bella lingua sta cedendo il passo a un insulso guazzabuglio . Sarà sempre peggio visto che molta della nostra letteratura (si fa per dire)è orribilmente adulterata da barbarismi, appunto,e da profonde ferite alla consecutio o al fatidico uso corretto del congiuntivo .Può darsi che dalla rovina nasca un’era di riscatto . Cercando un paragone nell’economia ,dioeva il Keynes che ogni crisi inizia con un lento periodo di ascesa . Io ,l’ascesa proprio non l’ho notato . Magari nella fretta si è sovvertito tutto .E’ possibile . Scusami,se ho invaso il tuo spazio. Diceva un mio vecchio amico, “non lo faccio mai ” e per me è autentica verità.Ma una volta tanto bisogna osare . Ottime cose, caro Diego,nonostante.

    Valerio (è un nome di fantasia ,in comodato da una mia ex motocicletta),ma la sincerità è autentica

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