Altri libertini di Pier Vittorio Tondelli: un romanzo che parla


di Diletta Finotto

 

 altri libertini


Altri
libertini (1980) è, come Tondelli soleva spiegare, un romanzo frammentato in sei racconti.                             
I protagonisti sono giovani Holden e giovani Werther, tutti cresciuti nella periferia emiliana, continuamente in bilico tra formazione e autodistruzione, che corrono ora avanti ora indietro, spesso disegnando cerchi attorno alle loro fragili, insensate, irrazionali vite.

Bloccati nell’età che oscilla tra adolescenza e giovinezza incrociano, spesso per caso, spesso per sbaglio, la droga, l’alcool, il sesso e la sessualità. Emarginati e marginali sono perennemente incazzati, essenzialmente depressi, sostanzialmente vuoti. Volubili e vulnerabili s’innamorano e si disinnamorano di corpi adamitici in preda a eccessi corporali e deficit sentimentali.

Viaggiando alla Kerouac, ubriacandosi alla Bukowski, girovagando alla Miller cercano di scovare la propria identità negli angoli polverosi abbandonati dal dogmatismo benpensante dilagante. Disprezzano la purezza edenica per gettarsi nel fondo (che sia esso della bottiglia o della vita poco importa) con la convinzione e la trasgressione tipicamente giovanile.

 

[…] io ci ho fame amico mio una grande fame di contrade e sentieroni, di ferrate, di binari, di laghetti, di frontiere e di autostrade ok? Senti amico mio bisogna gettarsi nelle strade senza tante scene o riflettori, bisogna cercare soltanto una frontiera e un limite da scavalcare, bisogna gettare le nostalgie e i retrò, anco riflussi e regressioni, via gli interni i teatri e gli stabilimenti.

 

Tondelli dedica questo libro di giovani ai giovani e questo atto d’amore si concretizza nella scrittura, vera protagonista di Altri libertini. Una scrittura che ricalca il parlato, l’italorum volutamente tondelliscorretto, a volte perfino fumettistico perché deve saper riprodurre il rumore della parola. Altri libertini è un libro che parla con la lingua scomposta dello strafatto, insensata dell’ubriaco, ripetitiva dell’innamorato, acida dell’iracondo. Una scrittura vera, reale, senza filtri e senza ortodossie perché il giovane ragazzo non conosce il dosaggio delle parole, ma le vomita, perché è figlio dell’istinto, dell’impulso e di flussi di coscienza ancora troppo immaturi.

Atri libertini segna la fine degli anni ’70 con le sue ideologie massificate e l’inizio degli anni ’80 con il recupero di una propria identità, unica, personale, sessuale. Tondelli, figlio della rivoluzione sessuale, sventola in ogni pagina la bandiera arcobaleno e invita i giovani a “cercare il proprio odore”. Fu il primo che si allontanò dalla letteratura accademica, ormai stagnante e passatista, e ne inventò una nuova, ibrida, trasgressiva, incendiaria, libertina, emozionale, corporale, reale.          
I personaggi di Tondelli non sono fatti di carta e inchiostro ma di carne, di sangue, di vene. Ognuno di noi può guardarsi allo specchio e vedere un personaggio di Tondelli.  

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