di Ella May
Acuto, spiritoso, intelligente, colto. Errico Buonanno sperimenta l’uso della parola con ogni mezzo a sua disposizione, senza deludere mai le aspettative di chi lo conosce e lo segue.
A noi di LetterMagazine ha raccontato le sue esperienze nel campo della comunicazione, cogliendo l’occasione per presentarci il suo ultimo libro che promette di essere tagliente, stimolante e, allo stesso tempo, divertente.
1) Ciao Errico, benvenuto su LetterMagazine. Da dove si inizia con uno come te? Radio, TV, quotidiani, editor, traduttore, scrittore… hai le mani in pasta in più di un settore. Che cosa rispondi di solito a chi ti chiede che lavoro fai?
In effetti non è facile definirmi professionalmente. Mi si può considerare un autore, visto che di base è quello che faccio in ogni settore. A me piace considerarmi un “libero professionista della parola”, così ci può rientrare un po’ tutto.
2) Cerchiamo di procedere con ordine: le tue esperienze con la radio. Fai ancora parte del mondo in FM?
Possiamo dire di sì. I miei rapporti con la famiglia di Radio 2 sono ancora vivi e attuali, anche se la parentesi con la trasmissione “Per favore parlate al conducente”, programma a cui ho collaborato come autore, si è per il momento conclusa. Prima con “Io, Chiara e l’Oscuro”, assieme a Chiara Gamberale durante tre intere stagioni (in cui ho interpretato il ruolo della “testa”), poi con Flavio Insinna… Sono stati tre anni davvero importanti e molto densi. Vedremo cosa riserverà il futuro. Di sicuro il legame con la famiglia di Radio 2 esiste ancora e gode di ottima salute.
3) Cosa hai imparato lavorando in radio?
Guarda, la radio insegna moltissimo. Insegna la spigliatezza, grazie al contatto diretto con il pubblico che ti dà il feedback in tempo reale, cosa che con la scrittura non può succedere. Insegna la creatività e sviluppa il problem solving, perché si possono verificare mille intoppi e imprevisti che vanno risolti lì, su due piedi: ospiti che all’ultimo minuto non arrivano, notizie importanti che occupano più spazio del previsto, problemi tecnici con i microfoni… Chi più ne ha, più ne metta. Inoltre richiede un lavoro “autorale” quotidiano e costante, con un approccio completamente diverso da quello più a lungo termine della scrittura di un libro. Insomma, è sicuramente un’esperienza formativa a tutto tondo, che sono entusiasta di aver potuto fare.
4) Dalla Radio alla Televisione. Raccontaci questa tappa del tuo percorso.
Ho iniziato con “La Scimmia”, trasmesso sul web e su Italia 1 nel 2012. Era un reality show in cui i ragazzi studiavano e vivevano in una struttura simile a un college. Io all’interno della scuola insegnavo letteratura italiana. Quando poi il programma è stato rimosso dai palinsesti di Mediaset, Maria De Filippi ha voluto importarlo nel suo reality “Amici” e così mi sono ritrovato a lavorare con lei per la sua trasmissione.
5) Me la servi su di un piatto d’argento ed io non me la faccio di certo sfuggire: com’è la De Filippi dal vivo? E quello che si vede del reality “Amici” alla televisione è tutto vero oppure è un po’ montato e studiato a tavolino?
Maria De Filippi è una grandissima professionista: ha sempre tutto sotto controllo, si vede subito che conosce alla perfezione il suo mestiere. Sa quello che vuole e sa come concretizzarlo. La vedi a lavoro e non puoi non fidarti di lei. Dietro a una trasmissione del genere c’è un’organizzazione e una capacità di gestione che richiede davvero un impegno e una presenza costanti e la De Filippi riesce a fare tutto quanto serve senza mai delegare ad altri, presenziando sempre in prima persona. Anche in questo contesto ho imparato moltissimo. E sì, è tutto vero quello che si vede alla televisione, non c’è nulla di pilotato.
6) Lasciamo un attimo da parte Radio e TV e avviciniamoci un po’ agli altri aspetti della tua vita e della tua professione. E partiamo proprio da lei, da Roma. Roma città aperta, Roma città eterna, Roma Capitale. Che cos’è Roma per Errico Buonanno?
Eh… tu stessa hai toccato tre aspetti completamente diversi di questa città. Roma è tante città racchiuse in una sola, la puoi vivere e sentire come vuoi, spaziando quanto vuoi. Per me… È la Roma di Piazza Fiume e del Liceo Tasso in cui ho studiato, è la Roma di San Lorenzo dove ho vissuto e dove ho costruito i miei affetti, è la Roma del Caffè Giufà, caffè letterario che amo moltissimo. È la Roma del Quartiere Prati dove si trovano gli studi di Radio Rai, è la Roma di Piazza Bologna, dove sono cresciuto e dove vivono i miei… È la Roma ora borghese ora popolare, la Roma in cui sono fiorite grandissime librerie che magari adesso non ci sono più. Non ho la fierezza del “Romano de Roma”, perché le mie origini non sono romane; la mia è soprattutto la Roma dei luoghi del cuore.
7) Dalla tua Roma al tuo Nerone. Il tuo ultimo libro si intitola “La sindrome di Nerone”, con il sottotitolo “In ogni grande dittatore, un artista mancato”, edito da Rizzoli. Ce lo vuoi presentare?
Volentieri. Intanto… non ho scelto Nerone in quanto Romano, ma perché lo ritengo forse l’esempio più clamoroso di artista che tenta di diventare dittatore, uno dei primi personaggi storici ad aver realizzato un modello di politica-spettacolo, eleggendo la politica a palcoscenico dell’artista. Non è un romanzo, è una sorta di saggio storico, giocato tra psicologia e gusto del grottesco, anche molto scherzoso, se vogliamo. È un tentativo di analizzare un certo tipo di politica, quella basata sulle soluzioni facili, sui colpi di scena, sui complotti. In pratica quella politica che, se fosse riportata nelle trame da cinema, non funzionerebbe. Da Hitler a Napoleone, da Nerone a Mussolini, si può dire che abbia usato alcuni personaggi storici per raccontare un retro-pensiero umano.
8) Anche questa mi vien troppo gustosa per sottrarmi… Al giorno d’oggi chi tra i nostri politici può essere letto come “artista mancato” dirottato verso la dittatura?
Tu stai pensando a Berlusconi… vero? (Anche, ma non solo. Pure a Grillo, che non se la cava per niente male. Ndr)
Eh, volendo si possono vedere in queste vesti sia Berlusconi che Grillo, ma anche Renzi, alla fine. Sono tutti e tre molto bravi a trasformare la politica in show, a regalare di continuo colpi di scena, annunci shock e via dicendo. La questione più interessante è come li legge la gente: è come se li considerasse dei “super-mediocri”, dei personaggi speciali che presentano tutti i difetti dell’uomo comune; si innesca un meccanismo di riconoscimento simile a quello del palcoscenico.
9) Quindi se alcuni artisti mancati tentano poi di diventare dittatori, conti di farlo anche tu nel caso in cui il libro non dovesse piacere?
Ovvio! Perciò leggetelo e apprezzatelo, è una minaccia! Non vorrete mica un dittatore come me, vero?
10) No, no, per carità. Ce ne sono fin troppi di aspiranti dittatori… Leggeremo e apprezzeremo, sicuramente. Facendo qualche passo indietro nel tempo: sei nato al pubblico come scrittore in seguito alla tua partecipazione al Premio Italo Calvino, giusto?
Esatto. Nel 2001 scrissi “Piccola Serenata Notturna”, con cui partecipai al Premio. Poi, grazie alla vittoria del concorso, il libro venne pubblicato nel 2003 dalla Marsilio Editori, casa editrice con la quale mantengo un ottimo rapporto e con cui ho collaborato anche dopo, a vari livelli.
11) In mezzo a tanti premi letterari, com’è stata la tua esperienza con il Premio Italo Calvino?
Ottima, davvero. Ha alle spalle un’organizzazione seria, libera, onesta, competente. Ha fatto da trampolino per molti validi scrittori ed è un concorso che io suggerisco sempre a chi mi chiede indicazioni in merito.
12) Insomma, nel tour de force che è la tua vita professionale, ce lo sveli il segreto per riuscire a fare tutto e a farlo bene?
Il segreto? Mah, mica lo conosco. Quello che faccio io è essenzialmente cercare di non perdere mai di vista le cose importanti, le cose senza le quali non potrei essere felice. La mia famiglia, mia moglie e i miei figli, tanto per cominciare. E la scrittura, certo. Senza queste due cose sicuramente morirei. Di conseguenza, mi organizzo per farle sopravvivere entrambe. E fare un lavoro creativo, il più possibile, per non “istupidirsi”. Lèggere a volte può essere uno sforzo, ma fa parte del progetto e quindi bisogna trovare un modo per farlo, ritagliandosi i giusti spazi per tutto. La stupidità è sempre dietro l’angolo…
13) Sono completamente d’accordo. Che poi lèggere è una fatica che passa subito, diventando velocemente un piacere. A questo punto, ti va di salutarci consigliandoci un buon libro da leggere? Non uno dei tuoi, ovviamente, non sarebbe corretto.
Uno dei miei? Assolutamente no, non ci penso nemmeno, non li consiglierei mai. Come saluto a tutti i lettori suggerisco invece di leggere “L’avversario”, di Emmanuel Carrère. Un ottimo libro, sia da scoprire che da riscoprire. E buona lettura a tutti!
httpv://www.youtube.com/watch?v=lMQPzFK1ecE
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