di Ella May
Presentare degnamente Matteo B Bianchi è un’impresa che va oltre le mie limitate possibilità.
Con quali parole si può descrivere un uomo che in quanto a scrittura ha fatto di tutto? E l’ha fatto così bene da essere diventato un caposaldo, in ogni settore in cui abbia deciso di “prestare servizio”.
Come autore televisivo ha contribuito al successo di notissime trasmissioni, quali “Quelli che il calcio” e “Victor Victoria”, come autore radiofonico ha portato un contributo fondamentale all’indimenticabile “Dispenser” di Radio 2 Rai, come scrittore ha creato storie e personaggi strepitosi.
E questa è solo la punta dell’iceberg. Sono sicura che molti di voi sanno benissimo di chi sto parlando, ma se a qualcuno sorgesse la curiosità di saperne di più sappiate che è sufficiente digitare il suo nome in un qualsiasi motore di ricerca e le informazioni su di lui traboccheranno da ogni parte. Purtroppo è impossibile riversare qui la sua intera produzione.
L’ultimo libro che ha scritto è intitolato “Apocalisse a domicilio”, edito da Marsilio Editori, ma stavolta ho deciso di non sottoporre all’autore la classica intervista monotematica sulla sua più recente uscita in libreria; stavolta ho scelto di scandagliare il personaggio a tutto tondo, perché non ci si può limitare a una sola opera quando si tratta di uno come lui.
Ci sono persone che sanno trasmettere concetti e sensazioni semplicemente raccontando le loro esperienze. Matteo B Bianchi è senz’altro uno di loro. Parlare con lui è stato tanto istruttivo quanto emozionante ed io gli sono davvero molto grata per il tempo che ha voluto concedermi. Ne è venuta fuori un’intervista interessante e divertente che, mi auguro, piacerà anche a voi.
1) Ciao Matteo, benvenuto tra le pagine virtuali di LetterMagazine. Tanto per scaldarci, direi di affrontare subito la questione del tuo nome. Forse sarà una domanda banale, ma sono curiosa di scoprire cosa significa la B tra Matteo e Bianchi.
Guarda, in realtà la tua non è poi una domanda così banale. Ti spiego: “Bianchi” è il terzo cognome più comune in Italia, gli altri due sono “Rossi” e, insospettabilmente, “Ferrari”. Se consideriamo che pure Matteo risulta essere un nome piuttosto comune, il problema diventa ovvio. Avevo bisogno di un nome che restasse impresso, che mi permettesse di distinguermi. In principio ho pensato di utilizzare l’iniziale del cognome, la “B” appunto, ma poi ho temuto che “Matteo B” potesse sapere un po’ troppo di porno… Così ho lasciato anche il cognome per intero. Et voilà, Matteo B Bianchi. Al posto del “nome d’arte” io mi sono scelto una “lettera d’arte”.
2) Hai realizzato una quantità notevole di progetti nella tua carriera; se tu dovessi compilare uno di quei moduli in cui si richiede di specificare la professione, come ti definiresti?
Autore televisivo. Negli ultimi anni è soprattutto questo che faccio… O meglio, è con questo mestiere che mi guadagno da vivere. Ho avuto la grande fortuna di scrivere per programmi che mi piacciono e non ho nessun motivo per nasconderlo. È una professione che amo, sia perché mi è congeniale sia perché le trasmissioni televisive sono stagionali e ciò mi permette di avere una “doppia vita” e di dedicarmi anche alla mia grande passione, i libri. Sopravvivere facendo solo lo scrittore è impossibile, soprattutto in Italia.
3) A proposito dei tuoi libri… Parliamone. Sei riuscito a farti pubblicare inviando all’editore due pagine “di prova”, dichiarando di averle estratte da un libro che avevi scritto. Ma in realtà il libro non c’era! Come ti è saltato in mente di fare una roba del genere?
Confermo, sono un incosciente. Non ho paura di nulla e questo mi porta spesso a buttarmi allo sbaraglio.
All’epoca (si parla del 1993) non avevo contatti con il mondo dell’editoria ed ero convinto che qualsiasi cosa avessi prodotto non mi avrebbero comunque preso in considerazione. Quindi a cosa serviva realizzare un libro intero? Così scrissi soltanto due pagine… Tra l’altro non erano nemmeno le pagine iniziali, erano proprio uno scampolo di storia, senza inizio né fine, come se avessi preso due pagine a caso da un lavoro completo. Decisi di inviarle alla casa editrice Stampa Alternativa, nota per essere una realtà indipendente. Qualche tempo dopo mi chiamarono mentre facevo colazione e mi chiesero di inviare il libro! Credo di essere stato un caso eccezionale, l’unico a cui sia stato accettato un testo ancora tutto da scrivere.
4) Soffermiamoci un attimo su questo tuo primo lavoro, intitolato “Non si può mica fare il bagno con queste troie di onde”: tutta la sua storia è degna di nota, a partire da quelle due pagine di cui sopra. Ce la racconti?
Vediamo, cosa posso dirti… Il libro è nato effettivamente dall’esperienza fatta durante il servizio civile, che mi ha permesso di conoscere da vicino le problematiche dei bambini psicotici. Il libro voleva infatti essere una sorta di memoriale di quel periodo. Poi l’ho scritto sul serio. Ne è venuto fuori un lavoro di sessanta pagine e fui perfino costretto a tagliarlo, dal momento che nella collana “Millelire” i volumi dovevano essere lunghi al massimo cinquantaquattro pagine. Io lo avevo intitolato “Fermati tanto così”, ma il direttore editoriale Marcello Baraghini scelse come titolo quella frase, pronunciata da una bambina del racconto. Stampa Alternativa, in quanto casa indipendente, ha una spiccata predilezione per i titoli forti e le copertine ad effetto. Iniziò così la mia collaborazione con Baraghini. Tempo dopo ho rimesso mano al testo e l’ho ripubblicato con Baldini & Castoldi, utilizzando il titolo scelto da me.
5) Deve averti segnato molto l’esperienza del servizio civile…
Sì, mi è servita a capire di aver sbagliato strada. Avevo deciso di laurearmi in psicologia e mi sono detto: se devo fare il servizio civile, meglio farlo in un settore che possa tornarmi utile per gli studi. Così mi sono ritrovato a lavorare con i bambini psicotici e ho scoperto ben presto di non esserne capace. Non riuscivo a mantenermi distaccato. Pensa che per Natale, quando i bambini tornavano a casa, io ho portato da me i tre che non avevano una famiglia in grado di occuparsene. Ti rendi conto? Sarei stato un pessimo psicologo… Ho terminato gli studi e ho preso la laurea, ma poi mi sono messo a fare il pubblicitario.
6) Prima di proseguire con l’esplorazione della tua carriera, mi piacerebbe aprire una piccola parentesi: Tito Faraci e “Anestesia Totale”. Tito ce ne ha parlato nella sua intervista, ora vorrei conoscere la tua versione dei fatti. Sei tu il Matteo del libro “Nato sette volte”?
Oddio… No! Assolutamente, quel Matteo lì non mi somiglia per niente! Anche se la verità storica mi obbliga a dire che sì, Tito ha affidato a lui il mio ruolo. In pratica Tito ha fatto il contrario di ciò che si fa di solito: ha lasciato invariato il nome e ha stravolto il personaggio. Io non sono mica tutto buono e super positivo come il Matteo del libro!
Come già sai, “Anestesia Totale” è la mitica fanzine creata da me e dal Faraci ai tempi dell’università; lui aveva messo un annuncio per trovare musicisti con cui formare una band… Ma gli risposi io, che non so suonare neanche il campanello di casa. Dal momento che avevamo gli stessi gusti musicali, lui mi propose di mettere su una fanzine e devo dire che “Anestesia Totale” in qualche modo ci rese “famosi” nell’ambiente underground di quel periodo, nonostante ne siano stati pubblicati soltanto due numeri. L’impresa mi assorbì a tal punto che a un certo punto fui costretto a tirarmene fuori, perché tra i concerti e le interviste non stavo più dietro agli studi.
Ho scritto anche un libricino su quegli anni, intitolato “Sotto anestesia”. Bei tempi…
7) Torniamo al tuo percorso… E ripartiamo dalla radio.
Ah, la radio… È stata un punto di svolta, sicuramente. All’epoca lavoravo in un’agenzia pubblicitaria e conobbi un produttore di Radio 2 Rai che mi chiese di collaborare alla stesura per un nuovo programma breve che doveva coprire un buco nella programmazione quotidiana di soli 20 minuti. Scrivemmo “Dispenser” e la Rai ci propose un contratto di tre mesi. Ovviamente mi licenziai su due piedi dall’agenzia e m’imbarcai in quell’avventura, provocando un discreto dolore ai miei genitori che non furono felici di vedermi mollare tutto per un’offerta valida tre mesi. Invece il programma riscosse un bel successo e quell’avventura è andata avanti per sette anni.
8) Che differenza c’è tra lo scrivere per la televisione e lo scrivere per la radio?
Scrivere per la radio richiede un lavoro quotidiano, in particolare per programmi come “Dispenser” in cui gli speakers non vanno a braccio ma leggono testi ben configurati. Bisogna saper utilizzare concetti brevi e facili da trasmettere, scegliere un linguaggio sincopato in grado di catturare l’attenzione dell’ascoltatore. La cosa fondamentale è parlare di argomenti che appassionino per primo chi scrive. Noi eravamo appassionati che si rivolgevano a un pubblico di appassionati. Per dirne una: al secondo anno venne introdotta la rubrica che parlava di libri, nonostante il produttore fosse contrario perché temeva che la cosa avrebbe potuto appesantire il programma. In breve tempo la rubrica divenne un punto fondamentale, capace addirittura d’influenzare le vendite dei titoli presentati, proprio perché parlavamo con entusiasmo di libri che ci piacevano.
9) Ma non ti sei fermato qui… Ti sei cimentato anche con il teatro!
Solo una volta e per me il capitolo teatro attualmente è chiuso. Diciamo che non è la mia strada. Però mi piace sperimentare vari campi. Tutto ciò che ho fatto riguarda in fin dei conti la scrittura, sebbene io non abbia nulla in comune con lo stereotipo dello scrittore. Hai presente il tipo… Quello che si ritira in una baita in montagna per isolarsi dal mondo e scrivere in pace… Ecco, io in una situazione del genere mi sparerei un colpo. Ho bisogno di avere le mani in pasta in mille cose diverse, di vedere gente, di distrazioni. Ho sempre fame di nuovi stimoli.
10) Ultimo (si fa per dire) settore da esplorare: collaborazioni con l’editoria e racconti.
Sarebbero due settori distinti, ma vada per il minestrone conclusivo. Attualmente curo per Indiana Editore la collana “Tracce”, romanzi brevi di autori affermati che hanno come comune denominatore il tema della musica. Collana di cui fa parte il suddetto “Nato sette volte” di Faraci, appunto. Ho scritto pure dei racconti, tutti incentrati su protagoniste femminili e storie surreali, come quello che uscì con il Corriere della Sera nella collana “Inediti d’autore”, intitolato “Al sangue”. Parla di una donna che diventa amica di una zombie… E qui mi fermo.
11) Non puoi fermarti adesso, non vorrai mica tralasciare la tua “’tina”!
Certo che no! Anzi, “’tina” è stata ed è tuttora il mio grande amore. Nacque nel lontano 1995 in forma di fanzine, trasformatasi poi in webzine per restare al passo coi tempi. Totalmente mia, autoprodotta… È la mia creatura. Non ci ho mai guadagnato un soldo anzi, ce ne ho spesi e neanche pochi. È un progetto a cui tengo moltissimo e che non ho mai abbandonato. A un certo punto mi resi conto di avere per le mani diversi racconti di amici esordienti che mi inviavano i loro lavori per avere la mia opinione e i miei consigli… Così mi venne l’idea di riunire quei testi e di stamparli per distribuirli tra di loro, in modo che potessero conoscere l’opera l’uno dell’altro. Quando mi venne l’idea avevo in mente dodici autori a cui volevo inviarla, così realizzai il numero 0 e ne feci dodici copie, una per ciascuno (uno dei destinatari era Tiziano Scarpa). Partì tutto da lì, poi gli amici iniziarono a contribuire inviando altri testi e da allora non ho mai più smesso. Scelgo cinque o sei racconti per volta e “mando in stampa” il nuovo numero. Alcuni di quegli esordienti sono poi diventati scrittori affermati.
12) Non c’è che dire, hai sperimentato di tutto nel campo della scrittura. Un uomo come te ha ancora un sogno nel cassetto?
Ebbene sì, ce l’ho. Se tu me l’avessi chiesto qualche anno fa, ti avrei risposto che il mio sogno era aprire una casa editrice tutta mia. Ma oggi come oggi l’editoria non se la passa troppo bene… Le piccole case editrici fanno molta fatica a sopravvivere e il pubblico dei lettori in Italia è costantemente in calo. Non si legge più come prima e questa, se me lo permetti, è una colpa politica fortissima.
Tornando al sogno nel cassetto, ti svelo che si tratta di un film. A dire la verità ho già realizzato vari cortometraggi per Sky che, al pari dei racconti, ruotano intorno a protagoniste femminili, che mi hanno permesso di lavorare con attrici come Luciana Littizzetto, Carla Signoris, Marina Massironi e molte altre.
Un paio dei miei libri avrebbero dovuto esser tradotti in lungometraggi, ma poi non se n’è fatto più nulla. Però al momento qualcosa in ballo ce l’ho e spero davvero che stavolta il sogno possa concretizzarsi. Sarebbe proprio una bella soddisfazione.
13) E noi terremo le dita incrociate assieme a te. Se la cosa andrà in porto, contiamo che vorrai farcelo sapere! Siamo arrivati davvero alla conclusione, ma prima di lasciarti andare vorrei conoscere la tua opinione in merito alle scuole di scrittura. Ce ne sono tante ormai, di vari tipi e con vari costi. So che tu tieni spesso lezioni per gli aspiranti scrittori… Ti va di lasciarci con qualche consiglio?
Ce ne sarebbero da dire su questo punto… In Italia, chissà perché, le scuole di scrittura sono viste come “trappole” per illusi. Si crede che non ci sia nulla da imparare e che il vero scrittore nasca con capacità innate di narratore. Sinceramente non ne comprendo il motivo. Per imparare a dipingere si va a scuola, per imparare a suonare si va a scuola, perché non si dovrebbe studiare anche per imparare a scrivere? Le scuole possono aiutare tantissimo, fornendo strumenti utili per rendere efficace il proprio talento. Poi è ovvio, il talento non può essere insegnato, o c’è o non c’è, ma questo vale per ogni forma d’arte.
Per quanto riguarda i consigli agli aspiranti scrittori, preferisco lasciarti un paio di link ad articoli che ho scritto sul tema:
http://matteobblog.blogspot.it/2013/04/la-passivita-dellesordiente.html
http://matteobblog.blogspot.it/2012/11/5-cose-per-veronica.html
Spesso nelle lezioni che porto in giro per i festival letterari utilizzo esempi negativi per rendere evidenti gli errori più comuni commessi dai principianti. Non hai idea delle cose assurde che arrivano alle case editrici; molti manoscritti sono legittimi e dignitosi, ma ogni tanto si ricevono robe da brividi! Spesso si pensa che basti l’ispirazione per scrivere, ma non è così, credimi. Prima di tutto bisogna amare la lettura e leggere, sempre e comunque, perché tutti abbiamo qualcosa da imparare, nessuno escluso.
Il blog di Matteo: http://matteobblog.blogspot.it
La sua webzine: http://www.matteobb.com/tina/home.html
Il suo sito: http://www.matteobb.com/index.html
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