In Iran i tradizionalisti pensano alla donna come essere senza pulsioni sessuali. Sono necessarie solo come contenitore per le gravidanze e non svolgono alcun ruolo nella creazione stessa dei figli. Una donna che mostra desideri sessuali è considerata una prostituta e quindi sono costrette a nascondere la loro attrazione verso gli uomini e il sesso.
Voglio parlare di un libro che iniziato a leggere con titubanza mi ha poi folgorato.
Sono rimasto spiazzato a leggere alcune pagine di questo romanzo.
Nonostante il tema non leggero, la lettura scorre in maniera gradevole e induce a riflettere.
È il racconto di diverse donne, ciascuna con la propria storia, ciascuna che cerca in qualche modo di soddisfare i propri desideri.
Alcuni sono desideri semplici, come la voglia di matrimonio, poi ci sono desideri vissuti come fardelli: sopravvivere alla propria verginità o al fratello che ha la facoltà di ucciderti se solo la sera rientri tardi.
Nel romanzo le storie di queste donne diverse tra loro s’intrecciano tra loro, come s’intrecciano i temi riguardanti sessualità, famiglia, femminilità, tradizioni e voglia di andare oltre.
La loro voglia d’indipendenza si scontra con il muro dell’intolleranza degli uomini. A causa dei temi che ha trattato, i libri di Shahrnush Parsipur, in Iran, sono stati banditi. Alcuni si trovano nel mercato nero, come Memorie dalla prigione che ha così venduto circa un milione di copie.
L’autrice ha lottato con coraggio per richiamare l’attenzione sulla voglia d’indipendenza delle donne iraniane, prendendo la parola in un mondo dove la parola appartiene solo agli uomini e dove le donne in silenzio devono solo cucinare e fare figli.
«Shahrnush Parsipur assegna dei ruoli ai suoi personaggi femminili che le donne effettivamente hanno nella vita reale, allo scopo di richiamare l’attenzione verso quella quotidiana oppressione delle donne e per far riflettere, ironicamente, sulle altre condizioni sociali nelle quali il suo romanzo è stato elaborato e che, alla fine, l’hanno condotta al carcere. Tuttavia i suoi personaggi fuggono da questi ruoli restrittivi, evidenziando il contrasto tra la loro situazione iniziale e una vita più appagante. Una simile retorica contesta l’ideologia e le ambizioni dello Stato, attraverso gli incontestabili ritratti dell’agonia di coloro che vivono sotto una forma di supremazia maschile istituzionalizzata.»
Le storie sono vere, ma in qualche modo si contaminano di mitologia (si sentono le influenze de “Le mille e una notte” opera molto amata dalla scrittrice), così una donna diventa un albero, un’altra fumo, un’altra legge nel pensiero, una ritorna alla vita. Tuttavia, la scrittura di Parsipur è immediata, diretta, semplice, tanto da far passare in secondo piano queste metamorfosi kafkiane e lo fa così bene da rendere reale tutto il contesto in cui i suoi personaggi vivono e sognano una vita diversa.
Il romanzo riunisce le storie di Mahdokht, Faizeh, Munes, Zarrinkolah e Farrokhlaqa. Queste cinque donne iraniane vivono la propria sessualità in maniera differente, all’epoca dello shah: una sceglie di “mettere radici” davanti alla sola idea di perdere la verginità, una viene assassinata dal suo stesso fratello per salvare l’onore della famiglia e torna poi alla vita con poteri straordinari, una è una prostituta redenta dall’autopunizione, un’altra ancora si libera della paura solo pochi secondi prima di rimanere vedova e riunisce le altre in una casa con un giardino e un fiume.
Il giardino non deve essere visto con occhi occidentali, nella tradizione Persiana esso rappresenta un luogo di trascendenza, lontano dalle banalità della vita, politicamente parlando esso rappresenta un luogo di libertà e indipendenza.
“Donne senza uomini” deve essere approcciato con la consapevolezza che si tratta di uno dei primi proclami di scrittura femminile che sono apparsi nel periodo post-rivoluzionario, in risposta alle limitazioni imposte alle donne dall’ideologia di Stato.
Shahrnush Parsipur fa parte di quelle prime scrittrici coraggiose che hanno un ruolo predominante nella nascita di una nuova coscienza di sé nelle donne islamiche, coscienza che può giocare una partita decisiva per il cambiamento culturale dell’Iran.
Alcune note sintetiche sulla scrittrice
- Nasce il 17 Febbraio 1946 a Teheran.
- Nel 1967 lavora per la Televisione Iraniana come editor e produttrice di programmi per la TV.
- Nel 1973 si laurea in Sociologia.
- Nel 1974 si dimette dalla Televisione Iraniana per protestare contro la crudeltà del governo e viene tenuta in carcere per due mesi senza nessuna accusa formale.
- Nel 1981 viene incarcerata per quattro anni, ancora una volta senza un’accusa formale.
- “Donne senza uomini” è stato pubblicato per la prima volta nel 1990, ma era già stato scritto nel 1970.
- In Iran i romanzi di Shahrnush Parsipur sono banditi.
Stralci da un’intervista a Shahrnush Parsipur
- L’idea originale per “Donne senza uomini” era di scrivere di 12 donne, ma era in corso la rivoluzione islamica ed ho dovuto ridurre a 5 donne.
- Dio non ha genere, ma se lo avesse sarebbe una donna.
- Le persone più tradizionaliste in Iran pensano che le donne non abbiano desideri sessuali. Per loro le donne sono l’oggetto necessario per la gravidanza, addirittura non hanno alcun ruolo nella creazione dei figli, rappresentano solo il luogo in cui custodire il feto. Se una donna mostra desiderio è una prostituta, quindi in Iran le ragazze nascondono la loro attrazione per gli uomini.
- In Iran i miei libri si trovano al mercato nero. […] Memorie della prigione ha venduto più di un milione di copie […] ma tutte al mercato nero, non ho ricevuto mai denaro per quello.
Dal web
- Il sito ufficiale
- Video intervista (in arabo)
Donne senza uomini
di Shahrnush Parsipur
Narratori Tranchida
104 pagine
13 euro
Di questo romanzo, Shirin Neshat nel 2009 ne ha fatto un film che ha vinto il Leone d’argento alla Mostra del Cinema di Venezia.
Ecco il trailer:
Intervista a Shirin Neshat la sceneggiatrice del film:
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Questo è accaduto.
Mi si è insinuata sotto la pelle quella paura che mi è data dalla non conoscenza. E, come quando piove, chiudi le finestre. E chi è fuori? Forse si bagna.
Vorrei che la Speranza fosse un grande ombrello…
Dici bene: un’esperienza. Le emozioni viaggiano su strani binari, misteriosi ed inaspettati. E deragliano, come i treni.
Ho visto questo spettacolo per caso, non ho letto il libro da cui è tratto perché mi era bastata l’esperienza de Il cacciatore di aquiloni. Fare lo struzzo è un mestiere e alle volte ci riesco.
Ho amato quella bimba in scena, bravissima. Ho odiato l’interprete maschile criticando la sua recitazione dialettale, la sua maniera concitata di essere violento. Ho cercato per tutta la durata della pièce errori ed orrori recitativi degli attori. Ma era solo per cercare di nascondermi l’orrore e la vergogna che provavo. Sino alla fine, quando il regista ha fatto "uscire" tutti in burka. I burka non si vendono, li ha dovuti cucire la costumista. Credo che abbiano avuto coraggio, uscire per gli applausi “vestiti” così…
Io invece, ho avuto paura. Paralizzante. Al rientro non avevo domande e per questo neanche risposte. Dopo uno spettacolo in genere divento chiacchierona, niente. Muta.
Ho visto uno spettacolo teatrale: Donne afgane, tratto dal libro "Mille splendidi soli" di Khaled Hosseimi.
Ho avuto paura, e vergogna…
Manny hai ragione quando parli di vergogna e specialmente quando dici "ho avuto paura".
Spesso non ci rendiamo conto quanto siano importanti le nostre piccole e grandi libertà.
Se ti va, mi piacerebbe sapere di più su questa tua esperienza, se vuoi lasciare qui un commento ne sarei lieto.