di Ella May
Nel caso in cui il nome di Tito Faraci non vi facesse venire in mente nulla… Vi diamo una mano.
Avete presenti Topolino, Dylan Dog, Martin Mystère, Zagor, Lupo Alberto, Diabolik, Nick Raider, Magico Vento, l’Uomo Ragno, Devil, Capitan America e compagnia bella?
Ecco, Tito Faraci è uno dei più importanti sceneggiatori di fumetti, e non solo in Italia.
Credenziali da urlo, senza dubbio. Pensate di aver già inquadrato il tipo?
Non ne siate troppo convinti: siccome lui è uno di quei creativi che non riescono mai a star fermi, ha pensato bene di cimentarsi anche con la narrativa in prosa, con ottimi risultati. Ha infatti scritto vari libri, ampliando i propri orizzonti fino a sfiorare il territorio del romanzo.
Non potevamo lasciarci sfuggire l’occasione e lo abbiamo intervistato proprio su “Nato sette volte”, la sua ultima creatura, approdata da pochissimo nelle librerie.
L’intervista si è svolta più o meno come segue. Mi sono preparata le mie brave domande, scritte sull’immancabile blocchetto con l’immancabile penna multicolore, di quelle che una volta andavano per la maggiore, grosse come tronchetti. Mi sono messa comoda, ho schiarito un po’ la voce e ho telefonato al Faraci, pronta a scrivermi le sue risposte alla velocità della luce per non perdermi neanche una parola.
Secondo voi ci sono riuscita?
Assolutamente no! L’intervista si è trasformata da subito in una chiacchierata piena di battute, di risate, di riflessioni… mandando in malora tutti i miei schemi e le mie domande strutturate; una deriva vividissima, in cui mi sono persa senza opporre resistenza.
Tito Faraci ha un’energia incontenibile, un’acutezza disarmante e una passionalità contagiosa che si riversa in tutto quello che fa.
Perciò se troverete il testo poco lineare e un tantino singolare rispetto ai canoni… Non è colpa dell’intervistato, ma dell’intervistatrice.
Cosa posso dirvi di “Nato sette volte”? È una vera chicca, diversa da qualsiasi cosa vi possiate aspettare. Un racconto a tempo di rock, divertente, sincero, vero, amaro e dolce allo stesso tempo.
Leggerlo è un piacere che dura troppo poco e che lascia in bocca un bel sapore rotondo, appagante e leggero.
Provare per credere.
1) Ciao Tito! Eccoci qua, a parlare con il papà di tante storie stupende… Non ti nascondo che sono emozionata. Prima di addentrarci tra le righe di “Nato sette volte”, non posso evitare un breve excursus sulla tua strepitosa attività di fumettista. Cominciamo con una domanda che sarai stanco di sentirti rivolgere: perché hai scelto il fumetto come modalità espressiva?
– Il fumetto è stata e sarà sempre la mia prima scelta. È stato un amore a prima vista, la forma narrativa più adatta a me, sia come lettore che come scrittore. Quando mi sono avvicinato al mondo della sceneggiatura e ho incontrato il fumetto, ho capito subito che era il mestiere perfetto per me. È la dimensione con cui ho più dimestichezza, la mia “cassetta degli attrezzi”, per dirla con le parole di Stephen King.
2) Toglici una curiosità tecnica: cosa fa di preciso uno sceneggiatore di fumetti?
– Non sei la prima che se lo chiede… In effetti si tratta di un ruolo misterioso, che non risulta immediatamente comprensibile. Lo sceneggiatore di fumetti è colui che fornisce le indicazioni ai disegnatori che poi realizzano le tavole vere e proprie. Prima si abbozza il soggetto, una specie di riassunto della storia, poi si scrive per esteso, scena dopo scena, descrivendo tutto fin nei minimi dettagli, vignetta per vignetta, in modo che il disegnatore sappia esattamente cosa deve tradurre in immagini. Nel fumetto il modo di sceneggiare è rimasto quello classico: è un lavoro millimetrico, richiede pagine e pagine e pagine di lavoro, senza scorciatoie.
3) Qual è il tuo personaggio preferito?
– Topolino, anche se la verità è che amo tutti quelli per cui ho inventato storie. A Topolino sono particolarmente affezionato, è lui che in qualche modo mi ha permesso di diventare un “Autore”; per lui ho scritto un volume importante, “Topolino Noir”, pubblicato nel 2000, che ha dato una spinta notevole alla mia carriera, anche all’estero. Sai che la maggior parte delle storie targate Disney vengono dall’Italia? È un un bel primato…
4) Se ti dico “inferno” e “Silvia Ziche”, tu cosa mi rispondi?
– Ti rispondo che è uscito da poco “¡Infierno!2”, la seconda parte di un lavoro realizzato appunto con Silvia Ziche, bravissima fumettista italiana. È un graphic novel che racconta la discesa agli inferi di un boss mafioso, con inaspettate conseguenze per demoni e diavoli. Questo secondo volume, tra l’altro, racchiude anche il primo, completando il cerchio. La sua principale particolarità è quella di essere una storia muta, vale a dire che non ci sono dialoghi tra i personaggi, tutto è affidato alle immagini; sono le tavole a raccontare, senza parole. Nel ’99 quando uscì “¡Infierno!” molti mi dissero: “Ma cosa hai fatto tu, se non ci sono dialoghi? Non hai fatto praticamente nulla.”, proprio perché il mio è un lavoro sotterraneo e si tende a credere che lo sceneggiatore scriva soltanto i dialoghi. Ma non è così, anzi, i dialoghi sono solo una minima parte. Ho scritto moltissimo per “¡Infierno!” e per “¡Infierno!2”, per raccontare e descrivere ogni vignetta in maniera efficace… È stata una delle imprese più impegnative in cui mi sia imbarcato finora.
5) Assieme ad Alessandro Baricco hai sceneggiato la versione a fumetti di “Novecento”, che vede Pippo nei panni del famoso pianista sull’oceano. Tu e Baricco avete poi fatto il bis con il romanzo “Senza sangue”. Com’è nata questa bella e originale collaborazione?
– Con Alessandro siamo prima di tutto amici, di vecchia data ormai. Lui è un appassionato di fumetti, io tengo un corso alla scuola Holden… E così ci è venuta l’idea di tentare questa strada. Con “Novecento” ad esempio la nostra collaborazione ha dato ottimi frutti, perché il lavoro che ne è venuto fuori è stato a sorpresa uno dei più apprezzati di sempre dagli amanti del fumetto. Non si tratta di una parodia del testo, ma di una trasposizione: ogni personaggio si trova al posto giusto e ha le caratteristiche giuste, cosa che ha permesso a questo esperimento di funzionare così bene. Per di più i disegni di un grandissimo come Giorgio Cavazzano ne hanno fatto un vero gioiello.
6) Nel 2009 è iniziata la tua espansione verso il romanzo, a partire da “Il cane Piero, avventure di un fantasma”, libro illustrato per bambini. Nel 2011 e nel 2013 hai pubblicato due romanzi per giovani adulti: “Oltre la soglia” e “Death metal”, con forti connotazioni horror. Infine hai dato alla luce “Nato sette volte”, in cui il protagonista è un uomo adulto che dovrebbe ormai essersi lasciato alle spalle i tormenti dell’adolescenza. Come mai tanta attenzione per il passaggio tra la fine dell’infanzia e la maturità?
– L’adolescenza è un periodo più bello da raccontare che da vivere. Sono anni complessi, che segnano pesantemente l’evoluzione futura. “Oltre la soglia” e “Death metal” parlano di ragazzi che attraverso le vicende narrate entrano nell’età adulta, quindi sono storie raccontate dal loro punto di vista. Con “Nato sette volte” invece cambia la prospettiva, il periodo tumultuoso e ricco di opportunità della giovinezza viene riletto con lo sguardo di un uomo ormai adulto in tutto e per tutto. È una fase importante della vita che tutti quanti ricordiamo con grande intensità, anche se io non amo particolarmente soffermarmi sulla mia, non perché sia stata poco piacevole ma perché fa parte del passato e ritengo che ci si debba concentrare soprattutto sul presente e sul futuro.
7) “Nato sette volte”, pubblicato da Indiana Editore e uscito nelle librerie il 19 novembre, racconta la storia di Luca, un quarantanovenne che decide di rimettere assieme la sua vecchia band per un ultimo concerto. L’intera storia è una continua alternanza tra passato e presente, tra ricordi e gesti compiuti per realizzare un progetto che proprio in quel passato trova le sue radici. Ricordi che hanno spesso il sapore dei sogni, recitati come sceneggiature e quindi non necessariamente fedeli alla realtà.
– Verissimo, “Nato sette volte” mescola passato e presente dalla prima all’ultima pagina, ma la storia non si svolge su due piani temporali distinti, bensì sull’unico piano del presente. Mentre ricorda, Luca riscrive il proprio passato e lo fa nel tempo presente, con la personalità che ha nel presente e con le paure che ha nel presente. Possiamo controllare il presente e il futuro soltanto fino a un certo punto, mentre il passato possiamo raccontarlo (e raccontarcelo) come vogliamo, smussando gli spigoli, mitizzando i momenti felici e offuscando i momenti brutti. Possiamo modellarlo e sceneggiarlo a nostro piacimento.
8) “Nato sette volte” fa parte di Tracce, una collana della Indiana Editore in cui tutti i libri devono avere a che fare in un modo o nell’altro con la musica. Infatti Luca, protagonista del tuo libro, è un grande amante del rock, ha dedicato alla musica una fetta importante della sua giovinezza e fa carte false per ricomporre la band dei Litania di cui aveva fatto parte ai tempi dell’università. Cos’è la musica per te?
– La musica è un’immensa passione per me, trasversale a tutta la mia vita. Quando frequentavo l’università suonavo tanto con il mio gruppo… Con Matteo, presente anche nel libro, creammo davvero una fanzine, durata il tempo di ben due gloriosi numeri, fotocopiati quasi a scrocco e distribuiti a mano. Ho sempre amato la musica, anche se non è la mia unica passione; ho molti altri interessi e li coltivo tutti, contemporaneamente.
9) Entriamo più nello specifico di “Nato sette volte”. Tanto per cominciare… Cos’hai contro Ligabue e Van Halen?
– Ma no, è Luca a fare quei commenti, non io!!! D’altronde bisogna capirlo: è un fedelissimo del rock puro, per uno come lui avere un chitarrista che si diletta con assoli tendenti al metal in stile Van Halen è una maledizione. E Ligabue è il paradigma del rock popolare, lontano da quello nudo e crudo che piace al protagonista. Luca è un uomo un po’ così… A volte è anche bugiardo se gli può servire per raggiungere i suoi scopi, ma sulla musica non riesce mai a mentire, nemmeno quando sarebbe preferibile non esprimere certe opinioni; però è molto divertente quando cede e dice quello che pensa.
10) Dentro a questo libro tu ci sei in modo tangibile, al punto che hai ritenuto di dover dare delucidazioni al lettore, proprio nell’ultima pagina… Specifiche che, te lo confesso, mi hanno bruciato tre domande come minimo. Non vogliamo anticipare nulla per non togliere ai lettori il piacere della scoperta, ma un paio di domande dobbiamo assolutamente farle: chi è Matteo B? E cos’è “Anestesia Totale”?
– Matteo B Bianchi è un bravissimo scrittore, autore per la radio, per la televisione, per il teatro. E soprattutto è mio carissimo amico, da sempre. È indubbiamente il Matteo del libro e con lui ai tempi dell’università abbiamo fondato appunto “Anestesia Totale”, la fanzine dedicata al rock indipendente di cui si parla in “Nato sette volte”. Sì, in questa parte della storia c’è davvero tanto di me: ho ridotto parecchio la distanza tra fantasia e realtà. Sai, tutte le storie alla fine parlano di desiderio o di paura. Parlano di desiderio quando si vorrebbe essere come i personaggi raccontati, parlano di paura quando non si vorrebbe mai diventare come loro. Questo libro parla di paura, nel senso che io non sono e non vorrei mai diventare come Luca.
11) Alla fine della storia i Litania adulti sono lì, pronti a salire sul palco… E finalmente si svela il mistero, si capisce il motivo per cui Luca ha voluto riunirli per un’ultima volta, il segreto che ha aleggiato come un’ombra per tutto il racconto. Però il finale ci lascia sospesi, non ci fornisce la risposta alla domanda che tu ci porti a formulare nelle nostre teste. Perché?
– È vero e non è vero, nel senso che Luca alla fine una scelta la fa: sceglie di suonare, non scappa, anche se va molto vicino a farlo. Sceglie di suonare pur senza sapere cosa otterrà salendo su quel palco. Il finale risponde in questo modo, con una decisione che riguarda principalmente la musica.
12) Tralasciamo di spiegare il significato del titolo, tanto lo si capisce benissimo leggendo il libro; facciamo piuttosto una considerazione. Anche di te, come di Luca, si può dire “nato sette volte”…
– Eh… glisso con classe e rilancio: più che “nato sette volte” si dovrebbe dire che Luca è “morto sette volte”, e ogni volta è rinato. La domanda è: rinascerà l’ottava volta? In origine infatti avevo intitolato il libro “Morto sette volte”, poi quando lo hanno letto alla Indiana Editore mi hanno detto: “Ma dai, è un libro piacevolissimo, molto divertente… Non possiamo intitolarlo così, è scoraggiante.” E da lì è diventato “Nato sette volte”. In pratica l’unica cosa che abbiamo cambiato è stato il titolo.
13) Ultima domanda: ma se un giorno tu dovessi riunire la tua vecchia band e tornare dietro alle tastiere… Chi vorresti come pubblico per l’ultimo concerto?
– Non credo che riformerei mai la mia vecchia band, sai? Come ti ho detto prima, preferisco vivere nel presente piuttosto che tentare di resuscitare il passato. Ma se dovessi mai fare una cosa del genere, inviterei sicuramente tutti gli amici e i compagni di quel periodo, le persone che hanno fatto parte di quel pezzo della mia storia. Ne farei una grande festa, piena di gente e di allegria, sicuramente.
E in quel caso, a noi che abbiamo tanto amato il lavoro di questo prolifico scrittore e che continuiamo ad amarlo, farebbe un immenso piacere ricevere un accredito stampa, per poterci infiltrare nel backstage e scoprire tutto ciò che rimane nascosto dietro al sipario. Perché se esiste qualcuno che sa regalare storie immortali, capaci di farci sognare, tremare, ridere e pensare… Quello è Tito Faraci.
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Tito Faraci (@titofaraci) | Twitter
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