di Cinzia Randazzo
Il Dialogo con Trifone è la più antica apologia cristiana che Giustino ha scritto contro gli ebrei nella seconda metà del II secolo d.C.
L’apologista Giustino, filosofo, teologo, padre della chiesa e martire, è vissuto nel periodo storico definito età degli Antonini (II sec. d.C), un periodo prospero dal punto di vista culturale, politico, sociale e artistico. Il suo interlocutore è il giudeo Trifone, ritenuto dai più un personaggio fittizio, un uomo di paglia, immaginato da Giustino per avere la meglio durante le sue polemiche.
Tema del dialogo è il sabato inteso dagli ebrei, e quindi dal giudeo Trifone, come un giorno di riposo da tutte le occupazioni mondane, per cui non è possibile fare alcuni lavori in quel giorno, in quanto ogni ebreo nel giorno di sabato è tenuto a onorare il creatore e cioè a glorificare Dio.
A tal riguardo Giustino polemizza contro l’osservanza minuziosa dei precetti sabbatici, perché secondo lui gli ebrei, compreso Trifone, ritengono di rendere onore a Dio astenendosi quel giorno solo dal compiere certi lavori. Invece per Giustino ciò che conta non è l’osservanza letterale dei precetti sabbatici, cioè il non eseguire certi lavori proprio in questo giorno, ma è la disposizione del cuore volto a compiere la volontà di Dio precedente al pentimento. Egli sa che non è possibile compiere la volontà di Dio, e tanto meno rendere gloria a Dio, senza la contrizione del cuore, in quanto chi apre il proprio cuore alla volontà di Dio e in seguito si pente dei propri peccati si astiene dal peccare ancora. Però per Giustino ogni uomo può liberare il proprio cuore dai peccati commessi solo attraverso il battesimo, perché nel battesimo ogni uomo viene purificato dal sangue di Cristo sia a livello soggettivo che oggettivo.
A livello soggettivo Cristo può purificarci a una condizione: solo se abbiamo un cuore disposto a ricevere da lui tale riscatto prima del pentimento. Se l’uomo apre il suo cuore a tale dono, pentendosi e impegnandosi a togliere dal proprio cuore le inclinazioni malvagie (da cui l’immagine della circoncisione del cuore e degli azzimi) Cristo, tramite l’azione dello Spirito, in senso oggettivo ci lava dai peccati commessi e, lavandoci dai peccati, possiamo assaporare il sabato del cuore, cioè la tranquillità dell’anima, tranquillità che scaturisce, come dice Agostino, da un cuore buono e non malvagio, cioè da un cuore che vuole essere in pace con Dio e con il prossimo:
“È dentro, è nel cuore il nostro sabato. Accade infatti che molti riposano con le membra, ma hanno la coscienza in tumulto. Chi è cattivo non può avere il sabato: la sua coscienza non è mai tranquilla ed egli è costretto a vivere nel turbamento. Chi invece ha una buona coscienza è tranquillo, e tale tranquillità è il sabato del cuore (…) il cristiano deve vivere nel sabato riposante del suo cuore, nella tranquillità e serenità della sua coscienza, senza turbamenti”.
Ecco che in tal senso il battesimo è propedeutico alla vera e propria pace dell’anima che è il sabato interiore-soteriologico. Giustino, per spiegare la purificazione dei peccati a livello oggettivo, si avvale dell’immagine del bagno di penitenza di Isaia e delle cisterne rotte, facendo capire che ciò che purifica non è l’acqua, ma è il sangue di Cristo. Una volta purificato dai peccati il cristiano diviene tempio del Dio vivente, alla stessa stregua dei patriarchi che non osservavano alla lettera i precetti sabbatici, perché per la loro piena fede in Dio questi erano dei sabati viventi, in quanto la loro vita era tutta dedita a compiere sulla terra la volontà di Dio.
Conseguentemente il cristiano, sempre per Giustino, continua il tempo originario dei patriarchi, immagine del sabato soteriologico, cioè del nuovo tempo di salvezza inaugurato da Cristo con la sua morte e risurrezione.
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Una delle cose che mancano ai cristiani è la conoscenza del cristianesimo. Tutti si sentono capaci di dare giudizi su Fede, Vangeli, senza mai averne letta una riga. E se anche ne avessero una conoscenza da catechismo da prima comunione, si sentono depositari della verità.
La cultura religiosa non è un lavoro per gli addetti.
E’ una conoscenza indispensabile per giungere a quel sabato del cuore che tutti vorremmo e che non troviamo se non in Dio.