Salvatore Avena passava l’estate in una grande masseria circondata da giardini di agrumi nella piana a venti chilometri dalla città. Arrivai verso le cinque di pomeriggio con la mia macchina, che avevo fatto lavare per l’occasione. Volevo fare bella figura. Indossavo solo un pantalone e una camicia leggera per rendere più facile l’inevitabile perquisizione.
Davanti all’arco che portava al cortile della masseria due guardie mi fecero cenno di posteggiare di lato, vicino al muro che correva lungo tutto il perimetro. Anche questa casa, come quella di Di Luca, era chiaramente una fortezza.
I due custodi, che portavano a tracolla la lupara, mi vennero incontro.
“Tu che ci fai qua? Non si può stare. Vattene subito.”
“Devo parlare con don Salvatore, una cosa importante.”
“Come ti chiami?”
“Tommaso Paoli.” usando il nome a cui era intestata la macchina e l’appartamento in città, “Ma lui non mi conosce.”
“Scendi dalla macchina con calma, appoggia le mani sul cofano e allarga le gambe.”
Uno dei due mi perquisì accuratamente, poi si voltò verso l’arco ed emise un fischio acuto. Emerse dall’arco un altro uomo, i due si incontrarono a metà strada, si parlarono sottovoce e il terzo uomo rientrò all’interno. Ritornò dopo dieci minuti.
“Vieni con me.”
Attraversammo prima il cortile, poi, entrati in casa, una fila di stanze fresche, con tende di lino chiaro e arredate con mobili d’epoca.
Salvatore Avena era seduto dietro a una grande scrivania di ciliegio, sulla scrivania c’erano tante carte. Sul davanti due poltroncine, ma non mi fece segno di sedermi. Mi guardò con aria dura, quasi infastidita e restò in silenzio. Il silenzio durò un paio di minuti, probabilmente era una prova, voleva vedere se parlavo per primo e cosa dicevo. Io non parlai, ma continuai a guardarlo come lui guardava me, senza mai abbassare lo sguardo. Finalmente si decise:
“Allora, signor Tommaso Paoli, cosa posso fare per te?”
“Veramente son venuto perché io vorrei fare qualcosa per lei.”
“Davvero? Sei molto gentile. E che cosa vuoi fare per me?”
“Eliminare Luciano Di Luca.”
Restò in silenzio un minuto, poi mi guardò con uno sguardo tra l’ironico e il divertito come avrebbe potuto guardare un caruso sbruffone.
“Eliminare… certo suona meglio di ammazzare o uccidere… o magari scannare. Magari, se uno lo elimini invece di sparargli in bocca l’ammazzatina diventa più elegante.
E perché sei venuto da me? Cosa vuoi? La mia benedizione?”
“No, son venuto perché voglio essere pagato per farlo.”
“Ah, certo. Vuoi essere pagato. Mi pare naturale. E quanto vuoi di anticipo, un miliardo… due miliardi…”
“Non voglio nessun anticipo. Voglio cinque milioni dopo averlo ammazzato.”
“Cinque milioni soltanto…
Ma tu lo sai che qua c’è gente che ammazza per centomila lire?”
“Ne sono sicuro. Ma quelli che si pigliano centomila lire per ammazzare, Luciano Di Luca non lo ammazzano sicuro.”
“Anche questo è vero. Ma vedi, signor Tommaso Paoli, io non sono sicuro che anche per cinque milioni tu ci riesci. A te non ti conosco e mai ti ho sentito nominare. E io qua conosco tutti… anche se molti preferirei non conoscerli.”
“Esatto, qua nessuno mi ha mai sentito nominare. Così sia che io riesco a… eliminare Di Luca… sia che io non ci riesco e ci rimetto la pelle, cosa che a me dispiacerebbe assai, nessuno se la può prendere con lei. Insomma non scoppia una guerra.”
“Sì, su questo forse hai ragione. Ma potrebbe essere che ti manda lo stesso Di Luca per provocarmi…”
“E se così fosse? Quello che ci stiamo dicendo lo stiamo sentendo solo io, lei e il suo uomo…” alludendo all’uomo alle mie spalle che mi aveva accompagnato e che era rimasto nella stanza per proteggere eventualmente il suo capo, “E non è un mistero per nessuno che lei e Di Luca sareste assai contenti se all’altro capitasse… che so… un incidente…”
“Va bene, io e Di Luca non ci amiamo alla follia, questo è vero e lo sanno tutti.
Diciamo pure che se io dico sì e ti autorizzo a fare il lavoro che tu vuoi fare per me, io non rischio niente.
Ma tu, tu non hai pensato, signor Tommaso Paoli, mio giovane amico, che anche se riesci a eliminare… si dice così vero? quel porco di Luciano Di Luca, io invece di darti i cinque milioni, per risparmiare potrei dare l’ordine di eliminarti a quelli che ammazzano per centomila lire?”
“Prima di venire qua, don Salvatore, io mi sono informato sul suo conto e so che non lo farà.”
“Perché sono troppo buono?”
“No, perché è troppo intelligente. Se io sono così bravo da uccidere…” lasciai stavolta da parte eliminare, “da solo, nonostante tutti gli uomini che ha intorno, Luciano Di Luca potrei servirle domani per un altro lavoro. Quindi perché risparmiare cinque miseri milioni?”
“Cinque miseri milioni? Alla faccia!
Mi piaci, signor Tommaso Paoli. Siediti.
“Salvo” rivolgendosi al suo uomo che era rimasto immobile tutto il tempo e che secondo me aveva cancellato per abitudine dalla sua mente tutto quello che aveva sentito man mano che lo sentiva, “portaci due orzate fredde.”
Che bravo, ci ero riuscito!
Ero riuscito a vendere per cinque milioni un lavoro che avevo deciso di fare comunque, anche gratis.
da SENZA NOME
di GIOVANNI MERENDA
Nuova Ipsa Editore
per gentile concessione dell’editore
www.giovannimerenda.it
(Editing for LM by Gamy Moore)
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