di Ella May
Condurre interviste è un’attività che di solito evolve secondo due possibili modalità: o ci si ritrova a doversi spremere le meningi per imbastire un numero appena sufficiente di domande… oppure di domande ne vengono in mente pure troppe, al punto che tocca imporsi uno stop per non massacrare la pazienza in primis dell’intervistato di turno e poi dei lettori che finiscono per pagarne le spese.
Con Carlo Parri mi sono ritrovata in una situazione appartenente al secondo genere. Da ogni sua risposta scaturivano nuovi interrogativi, nuove curiosità… e, credetemi, non è stato facile limitarmi al canovaccio originale, resistendo alla tentazione di approfondire.
Serio, diretto, distinto… Preciso fin quasi a diventare puntiglioso. Da lui emana quel senso di autorevolezza che lascia un po’ a bocca aperta, come mi succedeva quando ero bambina e ascoltavo parlare “i grandi”. Carlo Parri è stato un vero piacere, per la sottoscritta.
Un solo commento: non ho il minimo dubbio che, volendo, con una testa come la sua e un carattere come il suo, il Parri potrebbe cavarsela benissimo in una qualche sezione omicidi di una qualsiasi questura italiana.
1) Partiamo dall’incipit, come si conviene. Carlo Parri, toscano d’origine (pisano, è corretto?), pluripremiato scrittore di gialli. Quando non si dedica alla scrittura, che cosa fa?
Ormai, per questione di anni, mi dedico soprattutto alla scrittura, ma senza aver abbandonato il mio vecchio mestiere di insegnante di marketing e project manager. Nel tempo che resta faccio il nonno, dipingo e mi ferisco le mani con le rose del giardino. Sì, pisano è corretto. Etrusco è perfetto. (E qui la mia toscanità, Etrusca fin dai primi vagiti, ha avuto un sussulto. Di puro piacere. Ndr.)
2) Come e quando ha iniziato a scrivere? E come ha intrapreso la strada del “giallo”?
Il mio primo lavoro (una mezza paginetta dedicata alla Madonna di Lourdes) è stato pubblicato sul Corriere dei Piccoli quando avevo 5 anni. Due anni più tardi ho visto pubblicare un tema di italiano. La mia prima poesia (d’amore!) l’ho scritta a 10 anni, nella forma canonica del sonetto. Per anni ho scritto quasi esclusivamente poesie (pubblicate su riviste). Verso i 40 anni ho iniziato a scrivere racconti brevi e sul genere dell’ultraismo argentino. Tre autori mi hanno convinto alla forma del “genere”. Gesualdo Bufalino con il suo portentoso Qui pro quo, Manuel Vazquez Montalban con l’impareggiabile Pepe Carvalho e Jean-Claude Izzo con la straordinaria trilogia di Montale. S’intende che avere tre uomini come questi per ispiratori, spesso mi mette in grande difficoltà, perché il confronto con loro è quanto mai frustrante. In ogni caso, in parallelo con la produzione poliziesca, lavoro sempre anche a progetti diversi. Dal romanzo a sfondo storico-sociale, al post-moderno.
3) “Giallo”, “Thriller”, “Noir”… Lei che frequenta molto da vicino il settore, ci aiuta con la definizione corretta di queste tre parole, spesso assimilate tra loro? Quali gli elementi che le distinguono e quelli che hanno in comune?
Premesso che io non credo all’esistenza dei generi in letteratura (Benedetto Croce diceva che definire un libro con il suo genere equivale a dire che ha la copertina verde e che lo trovi sul terzo ripiano della libreria), com’è noto, “giallo” e “noir” sono solo due diversi colori per indicare lo stesso identico genere. In Italia (unico paese al mondo che usa il termine “giallo”) per il colore delle copertine di Mondadori e in Francia per quello di Gallimard. Poi, con il tempo e la voglia di essere a ogni costo diversi, ogni termine ha finito per assumere sfumature proprie, ad eccezione di “giallo” che, essendo un termine solo italiano, non ha alcuna valenza nella definizione dei sottogeneri del poliziesco. “Thriller” invece si allontana parecchio dal genere originale (il poliziesco di cui Edgar Allan Poe è l’indiscusso inventore). A ogni buon conto, posso inserire, ad esempio, quello che scrivo io, nel filone del noir mediterraneo. Laddove il lettore è fortemente impegnato a definire in proprio contorni e situazioni, a farsi partecipe della storia e a plasmarla intorno alle proprie riflessioni. Un genere (uso questa convenzione per comodità) che si sviluppa sotto il sole, nei colori della luce e non in stanze buie o brughiere nebbiose, come ci avevano abituati gli autori del poliziesco classico. Se poi vogliamo scendere ancora di più nel dettaglio, il mio stile lo definirei “mediterraneo-metropolitano”. Nel sole di Roma per intenderci.
4) Addentriamoci nella struttura del “romanzo giallo”: il ritmo della narrazione, qui forse più che altrove, diventa fondamentale per conquistare il lettore. Quali sono gli accorgimenti principali che un buon giallista deve saper usare per mantenere sempre alta la “suspense”? (A proposito: a lei come piace scrivere questa parola? Suspance? Suspense?…)
Ho sempre usato (e consigliato) il cosiddetto “metodo Chandler”. Quando hai qualche dubbio, fai entrare un uomo con una pistola. Funziona. Per quanto riguarda il ritmo, è una variabile estremamente personale. Il noir (io preferisco la dizione francofona) prevede un ritmo più serrato e asciutto, ma non lo puoi trovare se non lo possiedi. Come dire, uno scrittore, magari con qualche successo alle spalle, che decide di avventurarsi nel noir, dovrebbe prima chiedersi se possiede il ritmo adatto. Il noir ha delle regole, lo sappiamo, regole che spesso vengono ignorate anche da autori di larga tiratura, ma che sarebbe opportuno rispettare per quanto possibile. Non è previsto l’imbroglio del lettore (anche se in realtà il poliziesco si basa proprio sul disseminare falsi indizi che depistano il lettore), non è previsto che chi indaga arrivi alla soluzione in modo casuale. Ma anche qui dobbiamo tornare alla visione più contingente del “noir mediterraneo”, dove la suspense (così mi piace scrivere il termine) non è un elemento determinante. Il lettore di Izzo, di Montalban, di Camilleri o dello stesso Simenon, non s’imbatte frequentemente nella suspense. Quello che prevale, in questo contesto, è la quotidianità dei protagonisti, gli ambienti, i riti, le conflittualità sociali. Per tenere il lettore incollato alla pagina, non sempre (a mio avviso quasi mai) è necessaria la suspense. Perché la più intrigante delle storie si imponga bisogna che sia scritta bene. Saper scrivere è la prima cosa che uno scrittore deve raggiungere. Tutto il resto verrà da solo.
5) I personaggi dei romanzi gialli hanno un quid di diverso da tutti gli altri personaggi letterari, almeno secondo il mio personale (e quindi opinabile) modo di sentire, nel senso che ogni “rivelazione” che li riguarda deve essere congeniale, per tempistiche e per sfumature, alla trama del romanzo. Come si costruisce la psicologia del personaggio in un giallo?
Non sono la persona adatta per dare questa risposta. Il mio metodo si basa sulla non costruzione di niente. I miei personaggi si autoformano in proprio. Magari lo fanno attraverso dei racconti, per poi entrare in un romanzo quando io li ritengo compiuti, ma non c’è mai una volontà, né una predeterminazione da parte mia. Quando inizio a scrivere, non so mai cosa scriverò. Magari inizio una poesia e, alla fine, ne viene fuori un romanzo. O viceversa. Io credo con convinzione nella vita propria dei personaggi e lascio che siano loro a vivere la storia, cercando di metterci di mio il meno possibile.
6) Qual è la sfida più ardua e più stimolante che un giallista si trova ad affrontare quando scrive i suoi romanzi? In che modo si mette alla prova ogni volta?
Scrivere qualcosa di diversamente uguale. È la cosa più difficile in assoluto (almeno per me). I lettori vogliono ritrovare le stesse sensazioni che hanno vissuto nell’ultimo lavoro letto, ma in un contesto del tutto nuovo. Non è semplice.
7) Confessi: qual è l’arma (oppure la modalità) che la affascina di più, quando deve immaginare un omicidio?
Chi mi legge sa che abbondo in gole squarciate. Il pugnale, con la sua lama che diventa viva e decide quasi in autonomia la morte, è l’arma che mi appassiona. L’uso del coltello, con particolari abilità del protagonista, è il mio stereotipo preferito. Confesso che le interminabili letture di Borges hanno influito in modo definitivo su questa scelta.
8) In quest’epoca in cui abbondano serie TV “poliziesche-scientifiche-psicopatiche-ipertecnologiche” etc… come sono cambiati i gusti dei lettori di gialli, se sono cambiati? E di conseguenza, in cosa è cambiato il mondo dello scrittore di gialli? Da giovanissima lo immaginavo nebbioso, avvolto nel fumo di pipa, silenzioso, denso di pensieri e di trame oscure che la mente dell’uomo aveva il compito di indagare. Adesso passa tutto sotto alla lente del microscopio: alle ombre che immaginavo allora, si sono sostituite le luci asettiche dei laboratori dove nulla sfugge alla scienza… Lei come si colloca in questa evoluzione?
Guardo la televisione raramente e mai le serie poliziesche. Posso dire (perché me ne sono interessato) che ciò che si vede in televisione è quanto di più mediocre e irreale ci sia in campo poliziesco. Marescialli dei carabinieri che indagano su omicidi, commissariati usati come polizia giudiziaria, pratiche d’indagine che, se utilizzate nella realtà, invaliderebbero ogni procedimento giudiziario. Questo però non è un problema della sola televisione. Anche gli autori di libri si abbandonano spessissimo a questi continui scempi delle regole “vere” che guidano un’indagine investigativa. E a proposito di scrittori della fantasia… Io scrivo in un ambiente fumoso solo di bastoncini d’incenso. Un ambiente necessariamente e sempre lo stesso. In questo sono piuttosto maniacale. Persino il riflesso della luce deve essere angolato in un certo modo. Mi attengo scrupolosamente ai manuali delle tecniche investigative (se il protagonista è un poliziotto o un carabiniere) e non amo ascoltare musica, ma mi piacciono i rumori di sottofondo.
9) E finalmente, arriviamo a Lui: Leonardo Cardosa. Ce lo vuole presentare? Chi è? Dove lavora? Da dove viene? Quanto le somiglia? Sia paziente, ci accontenti e ce lo racconti per esteso, senza cedere alla tentazione di farlo utilizzando una delle sue fantomatiche citazioni…
Mi sento imbarazzato a parlare di Cardosa senza che lui mi abbia preventivamente autorizzato. Ma lo farò a costo di doverci litigare quando lo verrà a sapere. Un ragazzo siciliano che, forse per voglia di avventura, è finito a fare l’apprendista picciotto per una famiglia mafiosa. Un ragazzo figlio di un pescatore e di una donna della borghesia. Cresciuto in miseria anche se con parenti assai ricchi. A 15 anni è costretto a lasciare la Sicilia per evitare di rimanere stritolato dalle cose di mafia. Va a Roma, ospite dello zio cardinale, studia legge e diventa poliziotto. Vice commissario a Trani. Da lì, di trasferimento in trasferimento ce lo ritroviamo vice questore aggiunto a dirigere la sezione omicidi della questura di Roma. La storia che lo riguarda e che ha vinto il premio Tedeschi, non è il racconto di un omicidio, né della ricerca di un assassino. È solo la storia della vita di un uomo che, casualmente, è anche un poliziotto. E pare ovvio, che chi per mestiere cerca assassini, finisca per vivere storie di delitti, sangue e avventure. Ma è sempre l’uomo Cardosa il protagonista, mai la trama. La trama è solo lo svolgersi degli avvenimenti che capitano a lui.
Di me, in Cardosa, c’è quello che si trova di un autore in ogni personaggio che aiuta a nascere. Senza però connotazioni oggettive. Siamo entrambi pedanti, maniacali, affascinati dalle stesse cose (libri, mercati, Calvados, cucina, odio per i luoghi comuni, convinzioni e soprattutto, Maigret), ma anche molto diversi.
10) A fianco di questo personaggio, lei ha vinto il Premio Alberto Tedeschi 2012, con il romanzo “Il Metodo Cardosa”, cosa per cui le facciamo vivissime congratulazioni. Spesso i giallisti si legano a doppio filo con alcuni dei loro personaggi che poi li accompagnano per molta parte della loro carriera, di anno in anno. Sarà così tra lei e Cardosa? Come Montalbano per Camilleri, tanto per fare un esempio illustre e nostrano?
È una possibilità. In realtà ho già terminato da tempo altri due romanzi con Cardosa protagonista e un terzo lo sto scrivendo in questo momento. Ma tutto è ancora in fase di definizione. In ogni caso non credo (e non amo) le estenuanti serialità. Quando il lettore ti compra solo perché ormai ha comprato tutti gli altri, ma nemmeno ti legge più, tanto è capace di indovinare quello che c’è nella pagina ancora da sfogliare. Ho sempre apprezzato la scelta che fece Izzo quando seppe rifiutare ogni lusinga (tanto denaro) e si fermò al terzo Montale.
Credo che nella storia del noir l’unico personaggio seriale che non ha mai rischiato la monotonia sia Pepe Carvalho, ma si tratta di un caso unico, e a mio avviso irripetibile.
11) A proposito di esempi illustri: quali famosi giallisti non devono mai mancare, secondo lei, nella libreria di uno scrittore di gialli?
Qui il rischio della ripetizione è concreto. Autori necessari non ce ne sono. Mai. E non mi sento nemmeno in grado di esprimere un giudizio in merito ai più importanti. Posso solo dire ciò che mi riguarda. Dashiell Hammett mi sembra un ottimo maestro, che può guidare un autore nel mondo determinante dell’hard boiled. Poi, oltre ai già citati Montalban e Izzo, credo che non sia molto comodo scrivere noir senza aver conosciuto Sciascia o Gadda, Tabucchi o Bufalino. S’intende, che se uno vuol fare poliziesco puro, è bene che si legga un po’ di autori anglosassoni (personalmente mi annoiano) da Agatha Christie a Conan Doyle. Quello che forse mi sentirei di ritenere quasi obbligatorio per tutti è Simenon. Il “police procedural” simenoniano è una grande base per chi non vuol cadere negli equivoci investigativi di cui parlavo prima. E Maigret insegna anche come affrontare il noir d’ambientazione, con le sue varianti di turismo letterario.
12) Ci consigli quello che, secondo lei, è in assoluto il miglior romanzo giallo mai scritto.
Qui non ho certo dei dubbi. I tre moschettieri. Lo consiglio a tutti gli aspiranti scrittori (anche non di gialli), da leggere e rileggere almeno una volta ogni due anni.
13) Per salutare i lettori, le va di anticiparci qualcosa sulle prossime uscite? Che cosa dobbiamo e possiamo aspettarci, in un prossimo futuro, da Carlo Parri?
Niente anticipi, solo qualche auspicio. C’è un personaggio che riscuote da un paio d’anni un certo successo nei premi di genere. Solo per rimanere al 2013 ha vinto tre premi con tre differenti racconti. È un protagonista che si muove nel periodo precedente alla seconda guerra mondiale. Solitamente nel 1939. Francesco Barra, detto l’acchiappatore. In pratica è un antenato di Cardosa (ma diversissimo dal vice questore aggiunto dei nostri giorni). È nato per lanciare un messaggio anti manicheo. In un mondo come il nostro, sempre più diviso tra buoni e cattivi, tra bianchi e neri, tra falchi e colombe, Barra cerca di dimostrare come si possa convivere anche con il nemico. È un socialista con tendenze sovversive, ma ricopre un ruolo istituzionale e viene pubblicamente apprezzato (per il suo lavoro) dallo stesso Mussolini. Di Barra è pronto un romanzo.
Dunque le possibili opzioni per un prossimo futuro sono due. Un nuovo protagonista (Barra) e un ritorno (Cardosa). Staremo a vedere.
httpv://www.youtube.com/watch?v=Vg6wCsDFdLU
(Foto pubblicate per gentile concessione dell’Autore)
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