Della scuola elementare in Italia ho pochi ricordi: la classe, un paio di maestre, una ricreazione durante la quale tre bambine mi hanno preso e me le hanno date, insomma, quasi nulla. Eppure ci ho passato quasi quattro anni.
Paradossalmente ho quasi più ricordi del primo anno di scuola elementare: Colegio Franciscano “Inmaculada Concepcion”, Paso Del Rey, Argentina.
Ricordo la divisa: il grembiule bianco, camicia e cravatta (finta, il nodo e la cravattina e poi l’elastico attorno al collo). La scuola fatta a ferro di cavallo, nel centro la palestra, in mezzo uno spiazzo piastrellato dove tutte le mattine tutti gli studenti stavano in fila, dritti, sull’attenti ad ascoltare l’inno e fare l’alzabandiera.
Per chi non lo sapesse, in quegli anni l’argentina era sotto una dittatura militare.
Del grande parco della scuola ricordo soprattutto l’Ombú, un albero maestoso, con radici enormi che salgono fuori dalla terra. Difficile descriverlo, più facile giocarci sopra, correndo, inciampando, sbucciandosi fatalmente le ginocchia.
E poi due ricordi in particolare:
- Il primo, quando sono caduto e mi sono spaccato il dente davanti, un bel taglio diagonale su un dente ormai definitivo. Fra poco dovrò andare a farlo sostituire con una corona, giusto per mantenere vivo ricordo e dolore!
- Il secondo, quella volta che ho catturato un pappagallino.
Ero uscito per andare al bagno, prima elementare, e tornando verso la classe ho visto uno dei custodi/giardinieri/bidelli appostato lungo il corridoio, con una rete in mano, cercare di catturare qualcosa che si muoveva lungo il muro.
Mi avvicino, penso sia un topo e Sorpresa! si tratta di un piccolo pappagallo multicolore. Basta un’occhiata: io mi metto a sinistra, lui lo accerchia da destra e lo spinge verso di me e ZAC! Preso!
E che beccata mi ha dato al dito per la miseria!
Contento, non potete immaginare quanto lo fossi. Lo stavo accarezzando, lì, con solo il custode/giardiniere/bidello di fianco che arriva un mio compagno di classe.
“Bello!” mi fa, “Posso tenerlo in mano?” Certo, prendi, sei un mio amico e compagno di classe, ovvio che puoi prenderlo in mano.
Che volete, sono sempre stato buono. Pure ora continuo a credere che il PD possa produrre un’alternativa reale.
Il mio caro compagno che fa? Va in classe, entra, apre la porta e: “Ehi! Guardate cosa HO preso!”
No un momento bello, come cosa HAI preso?
Prima che possa dire niente, lui è attorniato da tutti. Pure la maestra lo guarda con rispetto.
Io ci provo a far valere i miei diritti. Lo dico forte: “Maestra, guardi che l’ho preso io. Tu amico mio, diglielo, orsù!”
E lui, da bravo bambino che fa? Guarda la maestra con quella faccia, quella che conoscete tutti, quella che vuole dire: “Gli dica di sì maestra, è un povero mitomane, non sa quel che dice, ma non è cattivo”.
Insomma, da possibile eroe sono passato a sicuro fallito.
Sarebbe stata la prima di molteplici delusioni, e altre ben più gravi, ma questa prima delusione è rimasta lì, marchiata a caldo nella memoria.
Sicuramente è capitato molte volte anche a voi di aver fatto qualcosa di cui altri si prendono il merito, oppure di essere accusati di qualcosa che non avete fatto: tanto in campo affettivo come in campo professionale queste sono cose da mettere sempre in previsione.
Certo a volte capitano cose più gravi: essere accusati di un crimine non commesso per esempio. Venire assolti ma perdere per colpa del processo tutto quello che avevate: amici, moglie, reputazione.
Capita ad esempio a Barney Panofsky che nella propria biografia racconta la sua versione dei fatti, incasinandola un bel po’ a causa di età, alcool e Alzheimer.
Toccherà al figlio scoprire la verità, ma troppo tardi per riparare ai danni creati.
Il tutto scritto in modo mirabile da Mordecai Richler. Umorismo ebraico e dolore universale si mescolano e si impastano fino a diventare indissolubili, un pastone appiccicoso che irrimediabilmente incolla il lettore al libro ben oltre la parola Fine.
Se vi interessa saperlo, il pappagallo è stato messo in una gabbia e deciso di portarlo a casa una settimana a testa. Quando è toccato a me, al ritorno a scuola, tutti allineati all’alza bandiera, ricordo di aver aperto la gabbia e ridato la libertà al colorato volatile.
E di essermi preso la mia solita buona razione di insulti!
Con Affetto
IK
Giudizio di La versione di Barney, Mordecai Richler, Adelphi, 2007: per tutti coloro che almeno una volta nella vita non sono stati creduti. E che abbiano voglia di ridere e nessuna paura di piangere, ovvio.
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La storia del piccolo pappagallo mi sembra degna di un racconto per descrivere quei terribili anni di dittatura in Argentina. Complimenti, davvero.
Non so se hai mai avuto l'occasione di leggerlo, ma questo tuo scritto mi ha ricordato Otumba di Rafael Flores.
Sarà l'albero, sarà il periodo, sarà il discorso legato alla memoria e al ricordare…
🙂
Grazie Leaf, no, non ho ancora letto il libro ma ora che me lo suggerisci vedrò di cercarlo.
Grazie ancora per i complimenti!
Il tempo dentro di noi non è verticale, è orizontale. Nella nostra percezione funziona cosi, gli altri vedono il nostro crescere, e più in là anche il nostro invecchiare…Noi no. Il filo che lega il passato e il presente è organico. Quel bambino è ancora dentro di te…nella tua ironia, e anche nel tuo senso di giustizia e l'insofferenza per le ingiustizie.
Adoro le storie di scuola, come la maestra Carla. Mi aiutano a limitare i danni che probabilmente anche io avevo commesso.
Mi commuove il finale con il doppio significato: liberare l'uccellino proprio durante l'alzabandiera. E' evidente, che pur non capendo appieno – eri troppo piccolo – sentivi e collegavi dentro di te l'insofferenza per la gabbia del pappagallino e il rito formale.
Che in fin dei conti sono le due facciate della stesa medaglia.
PS: grazie per i tuoi consigli di lettura.
Della scuola elementare,due ricordi sono rimasti impressi nella mia memoria.
Avevo sette anni,frequentavo la seconda elementare nel paese dove sono nata.Lo schiaffo della maestra arrivò tanto improvviso,quanto violento,senza avere il tempo di dire che non ero stata io.Ricordo la sua risposta:Stupida,perchè non lo hai detto?
Avevo nove anni e frequentavo la quarta elementare nella città in cui vivo adesso.Prima delle vacanze di natale,la maestra invitò le alunne a portare un regalo per fare un sorteggio in classe.Chiesi a mia madre di acquistare qualcosa da portare,ma lei aveva in casa una tavoletta di cioccolata,l'avvolse e me la consegnò
Fu con molto imbarazzo che la diedi alla maestra,cercando di non farla vedere alle compagne,ma qualcuna capì e si sparse la voce-Ha portato il cioccolato,che regalo è?-
Ero mortificata.Ebbene,non ci crederai,ma la tavoletta tornò a me,fra le risate delle mie compagne.
Non ricordo cosa provai allora(questo lo avrò proprio rimosso) e niente altro di quegli anni.
Il tuo racconto,espresso con maestrìa,ha riportato nella mia mente,questi ricordi perchè…………
"Si sa com'è la memoria negligente dei bambini,che considera degni di essere conservati solo gli avvenimenti radiosi,colorati e quelli spaventosi,ma non le ripetizioni che sono la vita….
(Christa Wolf).
Grazie Antonella dei tuoi ricordi
E' un racconto semplice, tenero, piacevole, come te Josè. Ti dico io tutti i "bravo" che non ti hanno detto. Bravo per aver liberato il pappagallino, bravo per la foto dello stupendo albero (Brasile?), bravo per aver comunque cercato di far valere le tue verità, bravo per averle, anche se con ritardo, dette a noi.
Grazie Flavia. L'albero è un Ombù, in Argentina.
Anche nel cortile della mia scuola elementare c’erano degli alberi enormi..dei pini..così enormi che sotto ci giocavamo a “casetta”. Ma così alti e così vecchi (già i miei genitori avevano frequentato quella scuola, e quei pini già c'erano..) che ad un certo punto ne hanno dovuto abbattere uno, il più alto e vecchio e storto, poiché c’era il rischio che con un temporale troppo forte venisse giù. Così tornati dalle vacanze estive non abbiamo più trovato il pino..noi bambini eravamo così sconvolti che le maestre, per aiutarci ad “elaborare il lutto”, ci hanno fatto scrivere un tema sul vecchio pino.. Doppia fregatura! Niente più pino ma al suo posto già un tema da scrivere quando ancora non avevi “elaborato” che le vacanze erano appena finite..con ancora i segni bianchi lasciati dai sandali sui piedi abbronzati..
Il tema credo sia stata la punizione peggiore!
Beh, quando qualcuno scrive di scuola non posso fare a meno di buttarmi a leggere. E' una calamita.
Non ho letto questo racconto, l'ho visto. Ho visto quel bambino, e sono tornata nella mia scuola, dove, al momento della foto di classe, la maestra mi metteva in mano la piccola lavagnetta su cui aveva scritto classe e sezione col gesso. Era l'unico modo che aveva per fare in modo che mi vedessero. Mi vedeva solo leri, le compagne, tutte femmine, non mi vedevano.
Mi si è stretto il cuore.
Sarà per questo che nella mia vita di maestra non ho mai permesso a nessuno di essere invisibile.
Grazie.
Ed è soprattutto per quello che sei stata certamente un'ottima maestra, Carla!