di Sabrina Glorioso
Una vita sregolata, un successo inatteso, una morte prematura.
È vero, non ho la passione per le biografie e non leggo i rotocalchi a caccia di gossip, ma di tanto in tanto la vita di una star riesce a incuriosirmi e incollarmi alla pagina. È il caso di John Belushi, attore americano morto nel 1982 per overdose, a soli 33 anni. Indimenticabile nel film The Blues Brothers, Belushi è una forza della natura annientata da vizi, abuso di droghe, eccessi nel consumo di cibo, una passione smodata per la ‘polvere bianca’. Un uomo i cui difetti equivalgono i pregi e finiscono per condannarlo.
La scalata del comico verso il successo e gli ultimi turbolenti anni della sua delirante vita sono raccontati nei minimi dettagli dal giornalista investigativo Bob Woodward, che ricostruisce tutto attraverso le interviste fatte a colleghi e amici, alla moglie Judy – compagna di Belushi fin dal liceo – il partner Aykroid, a registi e attori che lo hanno conosciuto (da Spielberg a Jack Nicholson). La vita di John è anche uno spaccato lucido e amaro di Hollywood, il mondo delle star capace di farle brillare e poi oscurarle per sempre.
Belushi approda a Hollywood dopo l’esperienza televisiva nella trasmissione Saturday Night Live, un vero e proprio trampolino verso il successo. La passione per il blues e il disco andato a ruba sono una diretta conseguenza di quegli anni di lavoro, la ricompensa per i suoi talenti. Tuttavia insieme ai successi cresce il bisogno di abusare di sostanze stupefacenti: c’è spazio per la marijuana, gli analgesici, la cocaina che ora può permettersi senza problemi. Drogarsi è una prassi comune nel mondo che frequenta John, quasi un imperativo per continuare a sostenere certi ritmi di lavoro ed essere sempre brillante e all’altezza degli impegni. John ama Judy, ma ama anche la droga. Insieme ne fanno uso e abuso; all’interno della loro cerchia di amici e del loro entourage nessuno sembra indenne al suo fascino perverso: è la normalità, una normalità che a volte può uccidere.
Insieme alla dipendenza emergono le fragilità dell’uomo, le insicurezze di una star baciata dalla fortuna e dal genio, ma destinata a eclissarsi in breve tempo. Nessuno sembra in grado di fermare la discesa agli inferi. John corre verso il precipizio a testa bassa, immaturo, insoddisfatto, irresistibile nel suo trasformismo. Quando il talento si trasforma in una condanna la sentenza appare già scritta. Non ci sono sorprese perché la scena finale è già stata girata: overdose in una camera d’hotel.
Non per questo il racconto della sua vita risulta piatto o scontato, al contrario la pellicola scorre veloce e mette a fuoco i momenti più significativi. È interessante seguire Belushi agli esordi e poi ritrovarlo trasformato, sia fisicamente che nei comportamenti; il denaro e il successo lo cambiano, ma dentro è rimasto lo stesso ragazzo che gioca a football e adora improvvisare sul palco. Eppure è come se le due anime di John fossero divise, c’è una frattura insanabile tra ciò che era e ciò che è diventato.
Alla fine viene da chiedersi: Belushi poteva salvarsi? Forse. I tentativi di riportarlo alla normalità sono stati fatti, ma lui ha opposto resistenza, quasi fosse consapevole e lucido del tragico epilogo. Né manager, né famiglia, né amici sono riusciti a riportarlo sul binario. Il treno della sua vita ha corso a tutta velocità per poi schiantarsi. Come un poeta maledetto alla Baudelaire, Belushi è stato complice nel suo assassinio, vittima e carnefice, forse troppo viziato, o convinto della sua onnipotenza, o solo troppo fragile.
Una lettura ruvida e sincera fino all’estremo, dove non esistono filtri o finzioni, quasi un diario di viaggio che riporta con assoluta precisione ogni dettaglio di quegli anni.
Bob Woodward, John Belushi – Chi tocca muore, Sperling & Kupfer, 2012
http://disogniedinchiostro-it.webnode.it
Editing by Maria Montefrancesco
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