La fuga di Dafina

 
Senza nome

 

La casa era in periferia, una costruzione abusiva a due piani con i muri esterni ancora rustici e le finestre del primo piano, non finito, chiuse da travi di legno.

Il caldo torrido del primo pomeriggio faceva brillare il giallo della campagna vicina e il blu intenso del mare più lontano.mare

La porta si aprì ancor prima che Dafina Taci avesse il tempo di suonare.

La accolse un uomo bruno che Dafina aveva già visto, ma di cui non conosceva il nome. Era a dorso nudo, gocce di sudore gli increspavano i peli del petto e aveva una pistola infilata nella cintura.

“Vieni, Tanino è di là.”

Nel corridoio incrociarono un altro uomo. Questo indossava una maglietta nera, ma anche lui aveva una pistola infilata nella cintura.

Tanino Bicchieri era semisdraiato su un divano, la camicia sbottonata non nascondeva la sua pistola.

“Ciao, bello, come stai? È da tanto che non ci vediamo.” detto in un italiano che non nascondeva l’origine albanese della ragazza.

“Potrebbe andar meglio. Vediamo se una bella fottuta mi tira su.” sospirò, alzandosi dal divano.

“Aspetta, devo andare prima in bagno.”

La mano di Tanino Bicchieri indicò una porta.

“Ti aspetto in camera da letto” indicando un’altra porta.

Dafina entrò in bagno, si tirò giù le mutandine rosse e si sedette sul water. Poi si alzò, si accucciò di nuovo sul bidet per lavarsi, si rialzò, si asciugò con la carta igienica, non si fidava degli asciugamani che c’erano, si tirò su le mutandine, si lavò le mani e si rinfrescò il viso, tolse dalla sua borsa rossa uno spray e lo usò per spruzzarsi sotto le ascelle. Poi cominciò la ricerca nella borsa di un preservativo. La sua borsa era piena di tutto, esasperata rovesciò il contenuto su un piano vicino al lavandino.

Fu in quel momento mentre frugava tra le sue mille povere cose che cominciò l’inferno.

Prima ci fu il rombo sordo della porta d’ingresso che veniva sfondata. E fu allora che Dafina istintivamente girò la chiave nella serratura della porta del bagno.

Poi le scariche di mitraglietta e due colpi di pistola, due soli, tra una scarica e l’altra. Seguì il silenzio. Dafina si abbassò piano fino che il suo occhio fu all’altezza del buco della serratura. Tanino Bicchieri era sul divano e si teneva con le mani il ventre insanguinato, c’erano nella stanza altri quattro uomini. Tre Dafina non li aveva mai visti prima. Uno dei quattro, un gigante dai capelli rossi, si avvicinò a Bicchieri, trasse dalla cintura una grossa pistola nera e gli sparò due colpi nella testa, facendogliela sussultare violentemente. Dafina lo riconobbe.

La ragazza si levò i sandali rossi con i tacchi alti e cominciò a scavalcare la finestra del bagno, salendo prima sul bordo della vasca che stava sotto la finestra, tenendo i sandali in mano. Pensava di avercela fatta, ma richiamando la gamba rimasta dentro, urtò una bottiglia di profumo che era sul bordo interno della vasca, la bottiglia cadde nella vasca infrangendosi con un rumore che a Dafina parve più forte dello scoppio di una bomba. Rimase per un attimo paralizzata. Poi finì di calarsi dalla finestra e corse, corse come non aveva mai fatto in vita sua. Quando era distante dalla finestra da cui era uscita una cinquantina di metri, udì la porta del bagno schiantarsi.

Prima una traversa a destra, poi una a sinistra, per strada a quell’ora con quel caldo non c’era nessuno. Non osò voltarsi, ma sentiva il fiato grosso, l’ansimare degli uomini che l’inseguivano sotto quel sole da Africa. Ancora a sinistra, poi a destra, non era mai stata prima in quelle strade, le arrivò un grido mentre l’ansimare si faceva più consistente:

“Fermati, iarusa!”

Ancora una svolta a sinistra. Davanti a lei apparve un vespone guidato da un giovane. Dafina balzò davanti al vespone costringendo il guidatore a una brusca frenata che fece girare il vespone quasi completamente su se stesso. Un salto sulla parte posteriore della sella, urlando:

“Scappa, cazzo, scappa, che qua ci ammazzano!”

Gli uomini arrivati di corsa li videro già troppo lontani per riuscire a leggere la targa e si piegarono verso terra ansimando e bestemmiando.

Poi tornarono verso la casa per portare la cattiva notizia della fuga al loro capo che li aspettava vicino al cadavere di Tanino Bicchieri. In mano aveva la borsa rossa di Dafina con i suoi documenti.

 

 

da SENZA NOME fotografia

 

di GIOVANNI MERENDA

Nuova Ipsa Editore

per gentile concessione dell’editore

 

www.giovannimerenda.it

 


Editing for LM by Gamy Moore 

 

 

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