La seconda vita di Chet

di Elena Bibolotti

 

chet baker 

Per riempirsi è necessario prima svuotarsi.

Questo è un insegnamento base per chi voglia praticare lo zen, ed è da questo vuoto che inizia il nuovo romanzo di Roberto Cotroneo, uscito a Maggio per Mondadori, che ci conduce alla ricerca di un nuovo sé, quello di Chet, dell’autore e il nostro e, ancora una volta, dopo molti anni da Presto con fuoco, alla ricerca della musica.

Ora cercavo tracce di quei suoni dai disegni che le ruote avevano inciso, nel tempo, sul legno del parquet. Se poi mi soffermo su questi segni minori, è perché li ho messi in fila come fosse un’archeologia perduta dei miei sentimenti. Segni esili, linee incerte di un passato di parole dette e mai scritte, e di musica suonata e mai registrata da nessuna parte”.

È da quel foglio di musica ritrovato nella casa vuota di Via Salaria al civico 300, laccata di smalto bianco e di blu, che lo scrittore inizia a mettere insieme tracce, segue sensazioni, premonizioni e segni da leggere.

 

Ma c’è tempo, bisognerà aspettare che l’ossessione dell’autore, come scrive lo stesso Cotroneo, cresca. Sarà solo dopo un anno, che quel foglio con sopra scritte le note di “My funny Valentine” – canzone riprodotta da Baker un’infinità di volte e ascoltata dallo scrittore in 376 versioni diverse – gli suggerirà di mettersi alla ricerca del trombettista scomparso ad Amsterdam nel 1988 ma che, voci attendibili, dichiarano essere ancora vivo, in Italia, nel Salento.

Ma quanti anni avrà oggi Chet? Ed era possibile che fosse ancora vivo? Perché su di lui il tempo sembra non essere passato, nonostante l’eroina e il dolore. Quando è morto, sembrava non avere più di trent’anni, e anche io lo immagino ancora ragazzo, sarebbe strano vederlo passeggiare, senza la sua tromba in mano.

“Un vecchio, con una ragnatela di rughe sul viso simile a un insieme di tracce, di strade da percorrere”.

 

E, come in una caccia al tesoro, l’autore seguirà tracce e incontrerà personaggi forti e “senza verità”, guru del passato che, come in un viaggio iniziatico, gli cederanno pezzi di storia, la propria e quella di Chet, singoli episodi, personali punti di vista, e molti, e misteriosi, nastri magnetici.

Sarà Costanza, un’amica di Chet, a inviarglieli assieme a molto altro. Perché il percorso della conoscenza in questo, ma in molti altri casi, è più che altro fatto di ciò che non è detto, che si nasconde al di là della convinzione di ognuno e di ogni tipo di certezza.

“Avrei capito presto che il silenzio era la parola chiave per chiarire tutti i segreti della storia che stavo raccontando“ come il silenzio riprodotto dai nastri, percepito tra i fruscii, attaccando il più possibile l’orecchio al registratore. “Note come vuoti. Punti della tela lasciati in bianco. E per il resto il colore è nero. È come il negativo delle fotografie”.

chet tromba
Il nostro sogno si realizza quando l’autore ci lascerà entrare assieme a lui nella casa di Chet, quella che ospita l’uomo nuovo che ha abbandonato la sua vita precedente sul marciapiede di Amsterdam la notte del 13 Maggio e che, adesso, conduce una vita solitaria tra gli ulivi vicino al mare. Un mare sempre presente come il respiro.

Arrivando là dove gli indizi lo hanno condotto, intravede un interno curato, una bombola del gas dipinta di un blu intenso, la scrivania americana di ciliegio, lucida, e riviste, impilate una sull’altra come fossero lì per uno scopo preciso.

Assieme a lui, cerco anch’io la stessa cosa, ma non c’è nemmeno un foglio di musica, non un cd, uno strumento, un vecchio vinile, un registratore. E mentre Chet, accendendosi una sigaretta, lascia che si guardi con discrezione tra le sue cose, al di qua del libro voglio cercare ancora, nei cassetti chiusi e negli armadi, quella tromba dal respiro unico.

Chet gli risponde, gli indica il mare “ormai suono sempre meno. Non ne ho bisogno. La musica ora è tutta nella mia testa”, come per Costanza l’amore, che non ha mai vissuto “in quel senso che conoscono tutti, nel senso rassicurante dell’unione, della fusione di due anime e di due corpi”.

Solo andando via, all’imbrunire, in un bagliore d’oro che proviene dall’ultima finestra della casa, ad est, gli parrà di vedere la sua tromba.
C’è ancora tempo.

 

Infatti, anche se il romanzo racconta la vita di Chet e ci porta nel suo passato, nei locali nascosti in oscuri sottoscala, e di cui Cotroneo è in grado di farci respirare persino l’aria densa di fumo, la storia sembra portare con sé un continuo sospeso, una verità che non esiste e che per questo, non potrà mai rassicurarci.

A mio avviso questo romanzo non racconta la solitudine, ma il vuoto che la vecchia vita, quella che non ci può più appartenere, deve lasciare affinché quella nuova possa nascere, parla del dolore che si prova nel trovarsi d’improvviso senza difese, senza quelle armi fatte di suoni o parole che fino alla decisione estrema del cambiamento, ci hanno protetto.

È il racconto di una ricerca, del rispetto per la storia così com’è, dell’importanza dei dettagli e dei silenzi, di un colpo di tosse sul nastro magnetico e di una breve risata.

 

“Ho pensato molte volte che i romanzi, le storie, tengono lontani dall’autenticità, levigano la vita lasciando poco spazio alla verità. E se gli eventi finiscono tutti in fila e mostrano episodi che sembrano avere una coerenza non bisogna illudersi. La vera coerenza sta sotto, la vera coerenza era in certi sguardi di Chet che nessuno sa raccontare, che nessuno riesce a mettere nelle biografie. Sguardi che non dicono niente, come non dice niente una nota tenuta più lunga. Oppure una casa rimasta vuota, con i segni di un pianoforte che sono buoni soltanto per rovinare un parquet”.

 

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Roberto Cotroneo, E nemmeno un rimpianto. (Il segreto di Chet Baker), Mondadori, 2011

 

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