Mangereta

 

foto di famiglia

 

 

C’è un tempo per ogni cosa.

Una foto in bianco e nero occhieggiava silente in un angolo del mio scrittoio, rammentandomi giorno dopo giorno, con discreta ostinazione, che qualcuno era lì, sulla carta e fra le pieghe di un social, ad attendere un commento, una recensione.

Quel qualcuno era, ed è, un Maestro. Sua è l’Arte della Recitazione e insieme della modulazione della voce, quella nobile disciplina che è il Doppiaggio. Molti film non avrebbero ugual spessore senza il suo timbro, i suoi toni, senza l’anima che vi infonde. Anima e voce partite da lontano, da un’infanzia e un modo di essere che oggi s’affacciano alla ribalta e si propongono attraverso la prosa della Ferrante, o di serie tv che riportano cifra e sapore di un’era al tempo stesso accettabile e inaccettabile. Una fetta importante della sua esistenza, l’affacciarsi alla vita, lui, Adalberto Maria Merli, l’ha infatti trascorsa fuggendo dal nemico di tutti, in ogni luogo e tempo. La guerra.

Ogni cosa ha il suo tempo, deve aver pensato anche Adalberto, ormai adulto, quando abbassando il microfono ha impugnato la penna. Giunge a volte il momento di fare un bilancio, o forse anche un riepilogo di ciò che è stato e/o ancora presente, per captare ciò che ci attende, le vie da percorrere, verso quali sogni salpare.

È allora che diventa tutto impellente, improrogabile, la voglia di scrivere e condividere diviene una smania, un’energia misteriosa che ti abbandona soltanto davanti alla parola fine. Come in un film. Ed è proprio un biopic il suo Mangereta, sonorità insolita che racchiude e condensa l’essenza e finalità del suo autore: raccontare di una vita trascorsa assaporando avidamente gioie e dolori.

Una vita comune e straordinaria allo stesso tempo, segnata dalla fuga, dalla fame, dall’incertezza del domani, da una violenza subita e mai cercata; votata, per converso, alla ricerca degli antidoti, quegli sprazzi di leggerezza che non annullano il dolore, ma lo rendono sopportabile.

La scrittura, semplice e priva di fronzoli, segue discreta l’andamento dei ricordi.

Una successione lineare, come a voler stabilire una continuità fra presente e passato, come se l’oggi fosse la necessaria conseguenza di quel che è stato, il suo necessario e inevitabile complemento. Si riesce a immaginare la sua voce in accompagnamento alla lettura, calma, pacata, con rare interruzioni o sospensioni, stoppate bruscamente solo dalla voce possente o concitata di mamma Assunta o da eventi che all’improvviso ci ricordano che la follia degli uomini è sempre in agguato. Ci si lascia coccolare da immagini che veicolano quiete e armonia; da suggestioni paesaggistiche, ritmi e abitudini più umani. Fino ai momenti in cui tutto precipita… consci però, pur sfiorandosi il dramma, che in fondo non può esserci che un lieto fine.

Silenzi impauriti, angosciati, silenzi increduli e incantati. All’occhio del bambino e dell’adulto, eventi ed emozioni sembrano restituirsi identici, a dispetto dei lunghi anni trascorsi.

Un altro stile, un’ostentata ricercatezza, l’avrebbe reso forse ampolloso. La semplicità rende invece Mangereta godibile e condivisibile. Il testo consente a tutti un accesso immediato, ma invita a calarsi dentro, ben oltre le parole, per gioire e soffrire davvero, insieme al piccolo Berto, nei suoi piccoli e immani sacrifici sconosciuti a tanti bambini d’oggi, quelli più fortunati cui la povertà e la violenza non strappano l’ingenuità e il diritto alla fanciullezza.

Sobrio e intenso, ci regala un passato, e un Tempo, che a dispetto di corsi e ricorsi non potrà più tornare, quello in cui le famiglie, e il riunirsi attorno a una tavola, non pagavano il fio alla corsa frenetica, all’onnivora tecnologia che invade ormai ogni spazio di intimità e reale autenticità.

 divisorio

Essendo già abituato a schivare il peggio, potevamo esimerci dal sottoporre il Maestro al fuoco di fila delle nostre pallottole?

 

collage

 

Voglio una vita spericolata
Voglio una vita come quelle dei film
Voglio una vita esagerata
Voglio una vita come Steve McQueen
Voglio una vita che non è mai tardi
Di quelle che non dormi mai
Voglio una vita, la voglio piena di guai.

 

 

 


“Voglio una vita spericolata, esagerata, maleducata, di quelle che non dormi mai”, ma in cui “si mangia assai”, aggiungiamo noi. Pensa che le strofe del Vasco possano applicarsi alla sua infanzia e avvio di adolescenza – e perché no, anche al seguito – o descriverebbe il tutto in altro modo?

Prenderei la frase: ”di quelle che non dormi mai…” perché i bombardamenti e le sirene non conciliavano. Poi ‘esagerata’ era la fame di tutto.

 

A parte il cibo e il mangiare, in che cosa ha trovato la “sua” felicità?

Parola grossa – felicità – diciamo soddisfazione, l’ho trovata nella mia professione ma non sempre, e ora sempre meno.

 

L’esperienza della guerra e il rischiare più volte di morire ha cambiato il suo modo di intendere l’esistenza?

Sopravvivere alla guerra, esistere, ha in me un valore che ora pochi giovani in Italia capiscono, ma in altri Paesi vicini, lo sanno perfettamente.

 

Raccontare può non solo ristabilire la Verità storica e personale, ma servire anche a togliersi qualche sassolino dalla scarpa. C’è qualcosa che rimprovera oggi ai suoi genitori? E cosa direbbe a chi oggi nega le atrocità della II Guerra Mondiale e di tutte le guerre?

Il sassolino, attraverso un’auto-psicanalisi, nel tempo è uscito.
Nulla da rimproverare ai miei genitori, tranne d’averci insegnato ad essere troppo onesti, io e i miei fratelli.

 

Ha raccontato con schiettezza e senza falsi pudori di eventi e contesti nei quali (dall’angolazione prospettica di un bambino) per incapacità o défaillance si è sentito crollare il mondo addosso, del senso di vergogna e umiliazione che si è impresso nell’animo. Col senno di poi, quanto di quelle esperienze è realmente servito a forgiare l’uomo e l’attore/doppiatore che è diventato? Vivere una delusione cocente aiuta sempre e comunque a mettere in dimensione un po’ tutto?

Le esperienze, negative, sono maestre di vita, quelle positive la fanno semplicemente godere. Un attore senza esperienze è come un cantante senza voce. Poi per favore non dica doppiatore, è una parola che odio perché è senza significato. Un attore realizza la sua professione in vari modi e in vari posti: teatro, cinema, TV, radio e poi reinterpreta, in italiano, i suoi colleghi di altri Paesi. Si dovrebbe chiamare coattore. Ma mai doppiatore. Altrimenti dovremmo dire: ‘teatrante, cinematografaro, televisivo, radiofonico… La professione dell’attore è unica e si distribuisce nei vari settori.

  

Certo che a sua madre si potrebbe imputare una vena sadica… Pretendere di far recitare a memoria a un ragazzino una poesia di Ada Negri, in cui è presente un passaggio infernale (che recita così: fori e bruciacchi di shrapnel nella divisa ridotta un brandello) su cui questi non a caso inciampa e incespica più volte con esiti che ricorderebbero quelli di un adulto intento a declamare “Il Lonfo” di Fosco Maraini, impresa, quest’ultima, che uno come Proietti saprebbe condurre a buon fine al primo colpo, con riscontri esilaranti… Si è mai dato una spiegazione del perché sua madre avesse scelto un testo così complesso, tale da far tentennare qualsiasi bambino davanti a una platea di adulti pronti a linciarlo?

Ecco un’esperienza negativa che ti fa riflettere, che ti prepara alla vita dove nulla è facile. Mia madre l’ha fatto per mettermi alla prova, e io la ringrazio ancora. Nel tempo mi è venuto un sospetto: forse ha voluto darmi quella poesia per farmi inciampare in modo da non far sfigurare, date le mie capacità, gli altri bambini. Che madre…

 

Ad ogni modo, la resa interpretativa del piccolo Berto, siamo sicuri, strapperebbe oggi un sorriso e un applauso:
“Fori e brulacchi di stripel…”
“Fiori e bricatti di ciapel”
“Frulli e brilletti di… strudel…!”

Se si farà il film, la resa è da scompisciarsi dal ridere.

  

“Mazze e panelle fanno i figli belli” recita il detto popolare.
Con tutti i ceffoni che ha preso, ci riveli il peso che hanno avuto nella sua crescita e se li riconosce utili a delineare e affermare l’autorità genitoriale.

Quattro figli da contenere nei loro litigi, nelle loro marachelle, nel loro disordine e mia madre non essendo Maria Montessori (anche se nella fiction facevo il padre), qualche sberla, come terapia, faceva il suo effetto.

  

Se la sente, come padre, di dare un consiglio ai genitori di oggi? Ha ricalcato le orme dei suoi genitori o adottato un criterio diverso? 

Ho conosciuto Euridice adulta, già svezzata e consapevole. Ai genitori di oggi suggerisco di non lasciare i loro figli ore e ore, davanti alla TV o al cellulare. La sera, a cena, quando sono ancora adolescenti ma anche dopo, di parlare con loro, di raccontarsi la giornata, cosa accade nel mondo, levando dal tavolo i cellulari e TV spenta.

  

Dal suo racconto, sembrerebbe che il passato si sia indelebilmente impresso nella sua memoria e soprattutto nell’animo. Ritiene che la sua fanciullezza sia stata felice, o la cambierebbe, se si potesse riavvolgere il nastro dell’esistenza?

Un passato così è difficile cancellarlo. Mi ritengo fortunato da bambino e poi privilegiato da adulto, anche se è tutto merito mio e non devo nulla a nessuno, parlo di spintarelle. Non rimpiango nulla. Come dice la canzone? “chi ha avuto, avuto, avuto, chi ha dato, dato, dato…”

  

Merli Ora però deve assolutamente svelare a questa platea virtuale qual è il suo segreto… Con tutto quello che ha divorato da bambino, com’è riuscito a non ingrassare e mantenersi in forma?  

Si mangiava, si divorava, quando si poteva, quando il cibo era un evento. Ingrassare era impossibile come oggi, per alcuni, dimagrire, è impossibile.

  

Last but not least, a proposito di arcani, deve rivelarci come fa a ricordare tutto così precisamente e dettagliatamente, perfino le pietanze nei cestini. Noi poveri mortali fatichiamo a ripescare dalla memoria le strofe dei poeti, figuriamoci il menu completo di antiche libagioni… Forse perché la schiatta degli attori discende direttamente dagli Dei di quel divino inferno che è la nobile Arte della Rappresentazione, ragion per cui dotati di poteri sovrannaturali?

Come ho prima accennato, la sera a tavola, i nonni, i padri, le madri, i parenti si raccontavano, ci raccontavamo le nostre esperienze così i ricordi riaffioravano e venivano stampati nella memoria. L’arte ha qualcosa di divino.

 

Essendoci affezionati a lei e alla saga della sua Famiglia, veniamo alla domanda seria finale: quanto dovremo aspettare per tuffarci nell’adolescenza e gioventù del “Maratoneta del mangiare”? Da dove altro deriva l’appellativo “Mangereta”? Mangion-maratoneta? 

Ad ottobre dovrebbe uscire sempre con ‘La nave di Teseo’ il secondo libro da adulto.
MANGERETA in friulano vuol dire mangione, affamato, mangia sempre, rivolto ad un bambino. È un soprannome come Pinocchio. Me lo ha regalato mia nonna.

[Più che friulano avrei pensato a un “pasticcio” linguistico che, dato l’argomento, ci poteva stare (n.d.r)]

 

Come vorrebbe che il mondo la ricordasse, ovvero, ha già pensato di scrivere un epitaffio o qualcosa di simile? Ovviamente facendo i debiti scongiuri. Glielo chiedo perché io ho già pronto il mio. 

Ho abbassato le due dita centrali, della mano, fermandole con il pollice, questo per evitare altri gesti poco eleganti. 

Regalo epitaffi celebri:

Sono morto tante volte, ma così mai.
(Sulla tomba di un attore etrusco)

Pensa, adesso sono vivo per sempre.
(Edward Bach, teorico dei fiori di Bach, 1886-1936)

Qui giace un vinto che non si è arreso.
(Saul Bellow, scrittore statunitense, 1915-2005)

Sono figlio della libertà, e a lei devo tutto ciò che sono.
(Camillo Benso Conte di Cavour, statista, 1810-1861)

Si prega l’angelo trombettiere di suonare forte: il defunto è duro di orecchie.
(Georges Bernanos, scrittore, 1888-1948)

 

Credo che a me o di me (specie lassù) diranno: “Tu eri quella che ci faceva ridere… E mo’ piangi. Ahahahahah”
😉

  

Mangereta copertina 

Adalberto Maria Merli, Mangereta, La nave di Teseo, 2018 

Da leggere. Con sana avidità.

 

 Adalberto Maria Merli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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