Il 3 aprile del 2010 saranno passati vent’anni dalla morte di Mario Pomilio. Scrittore, autore, tra gli altri, di quel Il Quinto Evengelio, che a tutt’oggi è uno dei romanzi italiani più nuovi nella struttura e nell’uso della lingua. Romanzo, saggio, raccolta antologica, ricerca religiosa e filosofica nello stesso tempo. Pomilio viene catalogato come scrittore cristiano, definizione che, negli anni, è diventata motivo per sottostimarlo ed “escluderlo” dal novecento letterario italiano. In un certo senso oggi scrivere di lui è andare contro corrente. Credo che Mario Pomilio invece sia uno dei molti autori che vadano ritrovati e riletti perché le sue pagine possono sempre, anche oggi, farci compagnia e suggerirci punti di vista particolarmente lucidi e capaci di liberare visioni e idee irregolari sui resti dell’uomo contemporaneo; la lettura di Pomilio è utile soprattutto a quanti non si arrendono alla trasformazione della “sacra volta” in una cupola di plexiglass da centro commerciale.
Inoltre troveranno la lettura delle pagine di Pomilio particolarmente interessanti quelli che credono che la letteratura sia un mezzo possibile per scortare se stessi nei cammini esistenziali che si vogliono intraprendere senza necesariamente escludere il Mistero e senza girare invano intorno ad un introvabile sé. Mario Pomilio è riconosciuto come scrittore di grande rigore stilistico, cosa che gli derivava dall’avere un vero e proprio culto della parola. Ma non nel senso della bella parola di tipo dannunziano. Cercava la pulizia della lingua italiana, e rifuggiva dalle comuni contaminazioni con il dialetto e con le lingue straniere. In un’epoca come la nostra, così ossessionata da estremi localismi e da giganteschi globalismi quella sua attitudine è una lezione da ritrovare con complicità. È di recente diffusione il dato secondo cui l’italiano ha subito un incremento del 773% di parole di origine straniera e segnatamente quelle anglosassoni.
Questo fa di noi non un Paese globalizzato ma un Paese fortemente inglobalizzato; si parla ormai di itanglese. Ed è solo il caso di accennare ai localismi imbarazzanti di cui siamo preda. Egli invece aveva una cura scrupolosa per uno scrivere senza disdegnare la cura della parola. Convinto come era che ogni ricerca intellettuale e spirituale vada portata avanti con lo strumento linguistico ben circoscritto nelle sue valenze essenziali, pena l’inconsistenza. In questo modo ha sempre evitato estremismi, partigianerie e ideologie, rimanendo sempre nei pressi del cuore dei problemi affrontati.
Quanto poi all’arte del narrare, Pomilio si convinse, dopo la breve frequentazione con il realismo, che bisognasse gradualmente innovare, attribuendo alla innovazione, sul piano tecnico ed inventivo, un più ampio respiro, che lo portò poi a scegliere la direzione del genere saggistico. Quanti nipotini oggi potremmo elencare di questo tipo di ricerca intellettuale? L’ipotesi che egli sia pervenuto, con Il Quinto Evangelio, ad un vero e proprio perfezionamento del romanzo-saggio, forse non è senza fondamento. Ma è materia che ci piacerebbe approfondire nella lettura di qualche saggio critico sull’autore, che manca dalla saggistica attuale. Qui ci interessa solo dire che Pomilio realizza l’annullamento del ruolo e della funzione del narratore fuori campo, facendo discendere la storia dalla concatenazione di testi eterogenei. Un vero sperimentatore. In Pomilio convivono due anime diverse, che egli ha problematicizzato in tutta la sua produzione letteraria: il laico e il cristiano.
La duplicità del suo atteggiamento di fondo nasce dalla sua formazione: da un lato, gli insegnamenti del padre, pioniere del socialismo marsicano; dall’altro, gli insegnamenti della madre, cattolica. Egli recepì questa bipolarità come occasione di inesauribile dibattito interiore.
E non furono insegnamenti puramente teorici, anzi è utile ricordare che Pomilio, tra il ’44 e il ’48, svolse politica attiva nel Partito d’Azione e nel Partito Socialista. La sua esperienza politica, in seguito, fu racchiusa nel libro La Compromissione nel quale è posto al centro il tema del disincanto verso l’ideologia. Il Romanzo si aggiudicò il Campiello nel 1965 e divenne un esame di coscienza per tutta una generazione. La sua è, fondamentalmente, un’interrogazione cristiana dell’uomo e del cosmo che ha un’origine laica, dunque mai pacificata, che trova un suo equilibrio problematico nell’assunzione della continua e insanabile investigazione dell’uomo.
Pomilio propone nelle diverse elaborazioni della sua opera narrativa i diversi accenti che la sua formazione. Del resto, lo stesso Pomilio, pur rivendicando la sua appartenenza ad una visione cristiana della vita e della storia, non ha mai osato attribuirsi una etichetta di tipo confessionale. Si ricorda di lui la sua dichiarata simpatia per quella che si disse la “Chiesa del dissenso”, quella che operava nel silenzio, alla ricerca di verità concrete, al di fuori delle formalità proclamate. C’è da dire che nel Quinto Evangelio, per esempio, alcuni hanno trovato personaggi e figure di segno molto lontano dall’ortodossia.
Il punto vista dello scrittore marsicano si colloca nella vivacità della Chiesa post – conciliare, quando in tutte le parrocchie e in tutte le comunità e associazioni si respirava aria di una rinnovata ricerca spirituale cristiana, che aspirava ad un ritrovato incontro tra le istanze della persona e gli insegnamenti cristiani. Da un punto di vista laico egli vive, invece, i primi e lenti momenti degli iniziali disincanti nei confronti della speranza comunista. La necessità della ricerca entra nella vita di Pomilio come fatto esistenziale prima ancora che culturale.
Arrivò fino a misurarsi con una sofferta e lacerante indagine, complice Manzoni, sul significato del dolore nel mondo, sullo scandalo della sofferenza che attraversa la storia umana, che fece nascere Il Natale del 1833 con il quale vinse il premio Strega nel 1983. Mi fermo qui, invitando il lettore a ritrovare l’opera di Mario Pomilio, se crede. Chiudo dicendo che non c’è momento più spiacevole di quando si dimentica qualcuno, uno scrittore in questo caso, che nelle sue esperienze (letterarie) ha offerto buona parte di sé, del suo percorso esistenziale, delle sue energie, dei suoi dubbi. Tracce utili a chi sente forte la necessità di cercare oltre i sentieri battuti, per afferrare qualcosa di sé e del mondo, setacciando materiali oltre se stesso e confrontandosi con altro da sé.
I risultati che Pomilio ci consegna restano così peculiari che possono suggerirci ancora ipotesi, riflessioni, dubbi e desiderio di non fermarsi alla prima locanda che serve piatti caldi.
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