Paolo Di Paolo si racconta a LetterMagazine
di Claudia Crocchianti
Continua il grande successo del romanzo “Dove eravate tutti”, scritto da Paolo Di Paolo.
Abbiamo intervistato l’autore per conoscere meglio sia lui sia il suo libro, che coinvolge il lettore fin dalle prime pagine.
Da quanto tempo scrivi?
“Solo dopo la scuola superiore ho cominciato a tentare seriamente di concludere qualche racconto. Ma se devo fare riferimento a una scrittura intesa anche come prova, come passatempo, come sogno, devo tornare molto indietro. Perfino durante la tarda infanzia improvvisavo libretti improbabili ticchettando su una vecchia macchina da scrivere”.
Il tuo genere letterario preferito?
“Il mio genere preferito è ciò che non è catalogabile come “genere”. Confesso che non amo i gialli, i rosa, i noir ecc. Mi piacciono i libri che una volta si sarebbero chiamati “di letteratura”. Non per snobismo, ma proprio perché che l’autore sappia raccontarmi una storia non mi basta. Mi interessa il modo in cui la racconta, le immagini, il mondo di visioni che porta con sé. Mi interessa uno stile”.
A quali scrittori sei più legato?
“La lista sarebbe infinita e ho perso il conto. Ma sicuramente, rispetto ai miei primi tentativi di scrittura, sono state decisive la lettura di Proust e di Virginia Woolf, negli ultimi anni di liceo. Questi due autori mi hanno dato una febbrile e sconcertante sensazione: quella di aver scritto ciò che anche io avrei voluto scrivere. Ma il discorso sarebbe lungo. Tra gli italiani più vicini a noi, direi Antonio Tabucchi, incontrato prima sulle pagine e poi da vicino, come un amichevole e imprevedibile maestro.
Cosa ci dici del tuo romanzo?
“Che finalmente posso allontanarlo da me. L’ho accudito e seguito in giro per l’Italia, facendo moltissime presentazioni. Ora è il momento di lasciarlo alla sua strada e magari di aspettare che evapori la coltre di attualità politica che ha fatto perdere di vista alcune cose a cui tenevo molto”.
La risposta del pubblico?
“È stata notevole. Ovviamente c’è chi non lo ha amato, ed è giusto e normale così. Ma quando ti capita di ricevere non tanto un semplice complimento, quanto una lettura partecipata e perfino rivelatrice, ti accorgi che non è stato inutile scrivere”.
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