Processo 003 – Imputato: Il presepe ungherese, Agi Berta, Napoli
Ho un ricordo di quand’ero piccolo, in Argentina: mia nonna che rimesta la polenta con il “tarel”, un bastone lungo. Il tutto all’aperto, nel cortile.
Il paiolo era su una costruzione in mattoni, una cucina povera, semplice, un buco dove mettere la legna a bruciare sotto il grande pentolone.
Ricordo la polenta bollire, la siepe dietro la quale abitava la famiglia Ibarra, i miei amici Javier, Sergio, Nancy.
Sono ricordi a colori, di quelli veri. Fateci caso: quando pensate a qualcosa del vostro passato, della gioventù o dell’infanzia, si ricorda a colori, ma con i colori delle foto.
Solo pochi ricordi particolari li teniamo dentro di noi con i colori veri.
Quei colori ce li porta Agi mentre ci racconta un pezzo della sua vita: non li descrive lei, ma noi riusciamo a immaginarli, a vederli, vivi e onesti.
Trama
La storia si divide in due parti:
- La prima parte racconta e descrive la vita del prof. Lazlo Toth, ungherese emigrato dalla sua terra natia dopo la fine della seconda guerra mondiale;
- La seconda racconta invece il rapporto iniziato non propriamente bene tra il professor Toth e l’allora giovane studentessa ungherese Agi.
Lazlo è imprigionato nel suo ricordo di un paese cambiato, nella direzione che non voleva. Ha scelto un esilio volontario a Roma, insegnando a Roma.
Agi è una nuova ungherese, nata e cresciuta in quella Ungheria che Lazlo rinnega, ma che nel frattempo è diventata ancora qualcos’altro.
Agi combatte contro i preconcetti di lui, lui resiste nei suoi bastioni, fin quando, all’ultimo incontro, lei trova la breccia giusta e scardina le sicurezze di lui.
E appena lo vede piangere, si rende conto che è andata troppo oltre, capisce in un momento che per vivere, per sopportare un esilio, una fuga da tutto quello che hanno amato, le persone hanno bisogno di avere delle certezze, per sbagliate che siano.
Forma
Il racconto è in prima persona, raccontato da Agi. Ecco un caso nel quale l’uso del passato mi piace.
Il tutto è trasmesso in modo molto semplice e diretto, non ci sono descrizioni dettagliate di particolari insignificanti. Il contorno alla vicenda è lasciato all’immaginazione del lettore. Io non ho bisogno di avere una descrizione del luogo dove si trovano o della Roma di quei tempi per capire (o meglio, intuire) le emozioni che i personaggi provano.
Proprio la semplicità della scrittura è quello che più aiuta nella riuscita del racconto: permette infatti di capire l’onestà dello scritto. Qui non si è romanzato nulla, qui tutto quanto è vero ed è successo.
Nel racconto c’è qualche errore di grammatica (alcuni li ho corretti, altri li ho lasciati apposta) e di formazione della frase. Li ho lasciati perché sono gli errori tipici di chi non scrive nella propria lingua.
Niente di grave dunque, niente che influisce sul giudizio.
Verdetto
Il presepe ungherese ci porta dentro i sentimenti di Agi, raccontandoci un pezzo della sua vita, senza aggiunte ad effetto.
Il verdetto è Assoluzione piena.
E il ringraziamento per aver rivitalizzato alcuni colori sbiaditi.
Con Affetto
IK
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Agi, sono un killer giusto, ma non tenero.. o almeno, non lo sono con chi non lo merita!
Che dire? Sono molto contenta per questa critica a dir poco benevola. E anche un po' commossa. La scrittura è un'attività solitaria, la condivisone eventualmente viene dopo. Affidarmi al tuo giudizio è stato un passo ulteriore.
Mi fa piacere prima di tutto che hai capito perfettamente il messaggio intrinseco: " per vivere, per sopportare un esilio, una fuga da tutto quello che hanno amato, le persone hanno bisogno di avere delle certezze, per sbagliate che siano."
Spesso siamo troppo presi dalle nostre certezze o pseudocertezze senza tener presente le ragioni degli altri.
Grazie Ink Killer!
Il nome non ti fa onore: non ho mai incontrato un "killer" cosi …cosi tenero.
PS: Adesso vado a "studiare" i miei errori….