Piccole spume vaporose, delicate al tatto, fragili, eteree. È il fiore della mimosa. È il simbolo della festa della donna.
Io lo so che la festa della donna è una cosa puramente commerciale, creata ad arte per vendere i delicati fiori di quel pernicioso rampicante che è la mimosa, per riempire ristoranti di donne urlanti e dimentiche di ogni minimo pudore e permettere a gruppi di maschi più o meno dotati di venir pagati per fare balletti cretini spogliandosi.
Nel mio intimo però a me fa piacere pensare all’otto marzo non come a una festa, ma come a una ricorrenza: il giorno in cui donne provenienti da varie parti del pianeta, ‘anta anni fa, si ritrovarono in una località segreta e, con enorme disprezzo del pericolo, decisero che dal quel giorno non sarebbero state più soltanto macchine per far figli, soprammobili, oggetti del desiderio maschile.
Quell’otto marzo, decisero che dovevano essere giudicate per il loro intelletto almeno pari a quello degli uomini, per la capacità di sacrificarsi e soffrire di molto più alta rispetto a quella degli uomini. In poche parole, per ciò che sapevano fare, e non per come apparivano.
Rivedo quelle donne: madri segregate in casa, oberate di lavoro, con figli urlanti, pochi soldi, niente tempo libero, ad aspettare il marito per essere costrette poi a soddisfarlo. Vedo donne sposarsi con chi deciso dalla famiglia e non chi volevano loro. Donne che per avere successo dovevano essere l’amante di questo o di quell’altro, o sposare qualcuno di successo e una volta maritate dimenticare una volta per tutte sogni e desideri.
Quelle donne, quel giorno, dissero basta.
Per questo si commemora l’otto marzo: non una festa, ma un anniversario. L’anniversario della liberazione dalle catene del perbenismo sociale. L’anniversario dell’inizio dell’emancipazione femminile.
Mi piace immaginarmi le incredibili battaglie cruente e incruente condotte dalle donne, dalle battaglie in piazza, a scuola, al posto di lavoro fino alle battaglie condotte dove più conta: in cucina e a letto.
E dopo anni e anni, le donne sono finalmente riuscite a prendersi il loro posto nella società per quello che fanno.
E la società lo riconosce? Vediamo: oggi si è definite donne di successo, emancipate, esempi da seguire quando:
- Si diventa velina, letterina, schedina, eccetterina
- Si lavora come “hostess”
- Si sposa un calciatore famoso
- Si diventa ministro per meriti di letto
O Donne mie! Quanti anni di battaglia sprecati!
Io lo so che voi Donne, la maggioranza, quelle con la D maiuscola non aspira a questo, ha altri interessi e altre capacità.
Ma siamo onesti, siatelo anche con voi stesse: questo è quello che la società trasmette.
Fate atterrare un marziano in Italia domani, che idea si fa delle donne? Si diventa ministro se si fanno servizietti al capo, lo stesso capo che concepisce le donne come incubatrici e basta (“è viva, ha le mestruazioni, può far figli”) o come oggetti di piacere (lui e i suoi collaboratori!).
Vede ragazze fare lotte per riuscire a diventare velina. Velina!!! Non presentatrice, non attrice. Velina!
Le uniche notizie riguardanti donne nei giornali sono pettegolezzi, matrimoni, figli. O la cronaca nera, dove puntualmente ricorrono come vittime o come carnefici.
Donne, ribellatevi di nuovo! Fate diventare l’otto marzo 2010 il nuovo inizio, la nuova alba femminile!
E se volete un esempio, prendete la stupenda Precious Ramotswe: grande, grossa, nera e abitante in Zimbabwe. Lei, da sola, contro il parere di tutti studia per corrispondenza e ottiene il diploma di investigatrice.
Lei, da sola, apre la No. 1 Ladies Detective Agency e fa un lavoro da uomo in una terra dominata da uomini. Tutto questo senza perdere la sua femminilità, sposandosi e preoccupandosi di far mangiare suo marito, perché un uomo magro, in Zimbabwe, è una disgrazia e un fallimento per la moglie!
Certo, è un personaggio inventato. Ma sicuri che essere una velina sia qualcosa di più reale?
Con Affetto
IK
In Italia si cominciano a trovare le avventure di Precious Ramotswe solo dal secondo libro della serie, quindi il giudizio è su quello.
Giudizio di Le lacrime della giraffa, Alexander McCall Smith, Guanda, 2003: vai Precious, mostra la via!
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caro juan, se un'esempio di emancipazione femminile è quello offerto da una donna dello Zimbawe… non c'è da preoccuparsi, tra una generazione e mezza anche noi faremo parte del terzo mondo… e da quella situazione potremo ricominciare a sentire l'importanza ed il significato dei valori di vera civiltà e quindi cercare di farli vivere di nuovo.
p.s.: comunque la vera emancipazione femminile in Italia non c'è mai stata. C'è un libro davvero interessante che analizza certi aspetti da una prospettiva particolare "l'Italia fatta in casa" di Alesina ed Ichino, dove viene analizzato come il lavoro soprattutto delle donne italiane all'interno delle famiglie produca la vera ricchezza della nostra nazione, sottratta al PIL (lavoro nero o una sorta di sfruttamento insomma).
Sono marito e padre Annamaria. Non potrò mai e poi mai ripagare mia moglie per l'immenso lavoro che fa a casa. Altro che Pil, se non ci fossero queste donne, l'Italia sarebbe in bancarotta da un pezzo!
Grazie Carla, ottima analisi.
Purtroppo aggiungiamo al quadro perfettamente descritto, il fatto che le conquiste ottenute dalle donne nel passato sono state presto fraintese da molte "colleghe".
Uguaglianza con gli uomini è stato travisato nel concetto di voler essere uguali a loro, quindi avere quella serie di privilegi che sono la parte peggiore dell'uomo. Non si è capito che l'uguaglianza deve esistere nella diversità. Io non sarò e non vorrò mai essere uguale ad un uomo, voglio esserne complementare ed avere i suoi stessi diritti, civili, nel mondo del lavoro, …..
Il mondo femminile oggi è giunto ad una nuoav schiavitù che le giovani donne nnn vedono e scambiano per libertà: sono schiave di uomini potenti che le usano e le pagano.
E' questo che vogliamo per le nostre figlie?