West side story, finché morte non vi separi

Estate, tempo di vacanze, svaghi, giochi, palloni, verdi prati, evergreen, canzoni, musica, musical. Hai detto musical? Ho detto giovani con variopinti vestiti che alzano gambe, saltano reti, cantano amore, sfogano rabbia, scrivono muri, inseguono sogni, rinnegano soprusi, cercano strade. Hai detto strade? Ho detto strade di un quartiere di New York, nomi, posti, volti, identità, razze, sigle, bande, pugni, sassi, bastoni, coltelli. Hai detto coltelli?

Ho detto solo tre parole: West side story. Ho detto vita, amore e morte. Perché in questi tre punti si snoda il percorso della tragedia classica. Il trittico fondamentale per l’esistenza dell’uomo, il cammino inevitabile, il recinto dell’umanità dentro il quale si srotolano le passioni, l’estasi e il tormento delle nostre fragili vite.

Tutto normale diremmo: in fondo si nasce, si vive, si ama, si muore. È il ciclo della vita, il cerchio che si chiude un secondo dopo averci fatto entrare in quel preciso istante, in quel particolare luogo, in quella singolare famiglia, in quella unica pelle che è quella che ci porteremo addosso per sempre.

Sempre? Se tutto è definito in questo angusto percorso, quale può essere il valore della parola sempre? «Io Anton, prendo te Maria». «Io Maria, prendo te Anton». «In ricchezza e povertà, in malattia e in salute, per amarti e onorarti da ogni alba a ogni tramonto, da ogni giorno a ogni giorno, per ora e per sempre». Questa è la promessa d’amore che si fanno Tony e Maria nel film del 1961 di Jerome Robbins e Robert Wise, tratto dall’omonimo musical di Broadway del 1957.

È una sfida, dunque, un duello. La prova d’abilità in una qualsiasi promessa d’amore consiste nel superare ogni ostacolo, nell’unire le forze, nel rinunciare a se stessi, nel vivere in doppio: doppia ricchezza, doppia povertà, doppia salute, doppia malattia. Nel caso di Tony e Maria si tratta di una sfida nella sfida, perché loro dovranno affrontare il pregiudizio di coloro che non credono nell’unione tra un nativo e un’immigrata. Il mondo attorno a loro li avversa e li contrasta perché tutto ciò che non è omogeneo si oppone alle regole del gruppo, del branco, della comunità. Così è sempre stato e così sarà, per sempre. Nei secoli dei secoli.

E poi, perché fai questo? «La vita è già dura così». «Sono innamorato». «E non hai paura?». «E perché dovrei averne?». Loro sono i Capuleti e noi i Montecchi: tra Sharks e Jets questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai.

Tra le due bande rivali occorre stabilire le regole per la sfida: da mani nude ad armi pari, il passo è breve, anzi brevissimo. Le lame dei coltelli scintillano nel buio dei vicoli e la morte miete le sue vittime. Erano giovani virgulti che danzavano leggeri, come per sbarazzarsi da un eccesso di vitalità. Erano giovani e forti e sono morti.

«Siamo fuori dal mondo». «Siete fuori di cervello». «Siamo sospesi in aria. Non sappiamo cosa succede sopra le nostre teste». Siamo e vogliamo restare liberi, anche di scegliere. Non vogliamo camminare, vogliamo danzare. Non vogliamo saltare, vogliamo volare. Siamo liberi.

Liberi di lottare per una strada, per un quartiere, per un territorio, una passione, un amore, un diritto, una causa. Siamo liberi di lottare.

Ma la libertà ha un prezzo. Più in alto vorremo volare, più ci faranno pagare.

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Voto 9

  • Regia: Jerome Robbins, Robert Wise
  • Interpreti: Natalie Wood, Richard Beymer, Russ Tamblyn, Rita Moreno, George Chakiris
  • Musiche: Leonard Bernstein

Si ringrazia per l’editing M. Laura Villani

 

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