Il 26 e il 27 agosto 2015 sono due delle tante giornate nere per il destino di migliaia di migranti. Nel canale di Sicilia affondano due barconi con centinaia di vittime; in Austria, sull’autostrada A4, viene ritrovato un tir abbandonato carico di migranti morti soffocati.
Poesia di Giuditta Di Cristinzi, tratta da:
Strage d’anime
© 2017 L’Erudita
L’Erudita
è un marchio di Giulio Perrone Editore S.r.l., Roma
I edizione Marzo 2017
EAN: 9788867702091
www.lerudita.it
Nota di Beppe Costa alla poesia Strage d’anime
Una poesia, questa, che mi pare rifugga di proposito ogni complicatezza intellettualistica, che si limita a “filmare”, attraverso brevi e penetranti “inquadrature” poetiche, sofferenze, aspirazioni, sguardi, aspettative, disperanti disillusioni, in cui la poesia è voce narrante ed evocazione di un complesso paesaggio, sia esso singolo e interiore o, invece, complesso e collettivo.
Nella vicinanza emotiva e umana coi diseredati, con gli ultimi, questa poesia trova se stessa e le sue motivazioni più profonde. Le sue radici affondano su un suolo assai aspro, cioè quello riguardante l’odierna, assurda eppure quotidiana realtà di chi migra per mare, in un viaggio dell’anima che, tramite i versi, diventa un singolare reportage poetico.
Si tratta in effetti di una poesia che fa propria la sofferenza dei migranti e dei profughi, e la loro morte per mano, talvolta invisibile, dei mercanti di vite umane. Una poesia che è anche denuncia, e che mostra la precaria provvisorietà delle vite di quanti, in fuga dalle bombe o dalla fame, vedono nella rischiosa traversata del mare la sola possibilità di salvezza e di futuro, per sé, quando si è perso tutto e tutti, per i propri cari, quando si ha ancora qualcuno da aiutare o allevare e far crescere. Una scommessa contro il destino, per il domani proprio e dei propri familiari, nei falsi paradisi di questo nostro spaventoso Occidente.
Ma il mare e l’indifferenza, insieme alla malvagità dei tanti nuovi Caronte, all’ostilità di chi ospita, alla cecità ottusa dei politici, tutte queste cose, nel loro insieme, si fanno barriera, costrizione, prigione e morte. L’inconsapevole cecità di molti e il mostruoso cinismo di altri finiscono per imporre ai fuggitivi un immenso tributo di sangue, di morte, di disperazione, di resa incondizionata al male.
Il sangue che arrossa ogni giorno le acque del Mediterraneo ha la sua complessa, orribile, disumana ragion d’essere nella enorme ricchezza economica di pochi. Questa poesia non teme di schierarsi al fianco, vicino al cuore, degli ultimi, gli umiliati, gli offesi, i rifiutati, le cui vite vengono spente con una indifferenza che fa rabbrividire. Tuttavia proprio questa poesia ci fa affermare che fino a quando ci saranno poeti disposti a cantare la sofferenza, il dolore e la morte, e a riviverli in sé facendoli propri fino in fondo, in modo tale che la vita e l’umanità possano infine vincere in ciascuno di noi, non ci vergogneremo di dirci esseri umani.
Questo dovrebbe essere, ancor più oggi, l’impegno maggiore di chi fa uso della parola e più ancora quando la parola si fa poesia.
Di Giuditta Di Cristinzi v. anche su LM:
Quello che voglio, quel che sarà
Simona Sanzi Photographer
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