Per entrare nel Ministero della Forza occorre attraversare sette porte. Ognuna di loro scansiona i dipendenti con un grado di profondità sempre maggiore e ammette al lavoro solo quelli di cui può certificare la purezza. Agli altri viene tolta una giornata di stipendio, e dopo tre mancanze anche il posto di lavoro. E nessuno li vede più. Fino a qualche tempo fa non sapevo che fine facevano, ma adesso lo so.
Ho cominciato a lavorare al Ministero quando ero appena maggiorenne. Ero cresciuta in una famiglia in cui l’arte del controllo aveva raggiunto livelli eccelsi: i miei genitori non possedevano Porte Scanner, ma con una bambina bastava lo sguardo, per carpirne i pensieri e i più remoti tentativi di desideri, e – non fosse mai detto – gli slanci verso la libertà. Nemmeno dentro al gabinetto avevo un momento per me sola, perché anche quella porta, come tutte le altre della casa, non aveva la chiave. Ricordo di aver sofferto di stitichezza fino alla maggiore età, e anche di anoressia, perché non riuscivo a ingoiare il cibo servito alla tavola dei miei. Mi sembrava un’ulteriore invasione dentro al mio corpo, già spiato fino allo sfinimento.
Diventata maggiorenne, trovai qualche lavoretto e mi permisi un monolocale tutto per me. Il bagno era solo una turca in cortile, in comune con l’intero palazzo, ma si poteva chiudere con un robusto lucchetto, e lì feci la prima, meravigliosa cagata. Fu una soddisfazione che non potrò mai dimenticare. Cominciai anche a mangiare, un po’ alla volta, chiusa in quella stanzetta che aveva solo una finestrina minuscola, ma con le sbarre. Mi rassicurava, teneva lontani gli intrusi. Superai facilmente le prove per essere assunta al Ministero della Forza, perché in famiglia avevo imparato tutte le tecniche di controllo, e per la teoria mi bastò imparare a memoria il Dizionario del Luoghi Comuni. Entrai in graduatoria e dopo pochi mesi mi arrivò la lettera di assunzione. Quando la lessi provai una gioia sfrenata, ma avrei dovuto ascoltare il filosofo che diceva “Non c’è peggior maledizione per un uomo che i suoi sogni e i suoi desideri si avverino”.
Il tirocinio di apprendistato di solito si svolgeva nei sotterranei adibiti ad archivio. Il giorno in cui presi servizio, un soprastante mi circondò le tempie con una fascia di metallo dotata di due antenne, poi mi spiegò il lavoro: dovevo ordinare e archiviare le schede relative agli abitanti della città, leggendo solo ed esclusivamente le prime tre righe, quelle con i dati anagrafici. Avevo la proibizione più assoluta di sbirciare oltre, la punizione sarebbe stata terribile. Il lavoro era di una noia mortale: otto ore in piedi, a mettere i cartellini in ordine alfabetico e a sistemarli negli scaffali, erano difficili da reggere. A metà giornata non resistevo più alla tentazione, e quando mi passò tra le mani la scheda di un mio insegnante delle medie, buttai un occhio al di sotto delle fatidiche prime tre righe. Non feci in tempo a leggere la prima frase che una violentissima scossa elettrica mi fulminò le tempie. Caddi a terra in preda alle convulsioni e rimasi per alcuni minuti a contorcermi in un lago di vomito ed escrementi; poi arrivò una soprastante, armata di straccio e spazzolone, e mi obbligò a pulire. E mi spiegò che altri due episodi del genere avrebbero posto fine al mio apprendistato, e al mio lavoro per il Ministero della Forza. Però, disse, loro sapevano che era difficile, all’inizio, resistere alla tentazione, così mi iscrisse d’ufficio a un corso serale di autocontrollo. Lì avrei imparato a dominare i miei occhi e i miei pensieri.
Il corso era veramente indispensabile per noi apprendisti, perché le antenne poste ai lati della corona di metallo non si attivavano soltanto se cercavamo di leggere le schede, ma anche se i nostri pensieri percorrevano sentieri illeciti. Andava bene pensare alla lista della spesa, oppure a una vetrina del centro commerciale in cui era esposto un nuovo paio di scarpe, ma se la mente divagava su territori proibiti, come ricordi, riflessioni, desideri, le due antenne somministravano una scossa elettrica non così forte da farci rotolare per terra in preda alle convulsioni, ma abbastanza intensa da incenerire il pensiero in un attimo.
C’erano però riflessioni che venivano censurate con la massima durezza. Per aiutarci a tenere i pensieri sotto controllo, una voce di sottofondo leggeva per tutto il giorno le notizie sullo stato dell’Impero, che avrebbero dovuto aiutarci nella concentrazione e infonderci il dovuto entusiasmo e orgoglio di appartenere a una civiltà così evoluta. Una volta un bollettino esaltò con toni trionfalistici l’aumento dei fondi per l’assistenza sociale, cresciuto fino alla lussuosa cifra di un miliardo. Io avevo ancora buona memoria, e mi venne in mente un bollettino di pochi giorni prima, in cui l’annunciatore festoso aveva comunicato alla nazione che il Governo Imperiale aveva stanziato due miliardi per le spese sociali. Appena la mia testa fece il rapido calcolo e io presi coscienza che i fondi in realtà erano diminuiti, le antenne mi incenerirono i pensieri con una tale violenza che finii di nuovo a terra. Il corso per il controllo dei pensieri e delle emozioni era veramente indispensabile.
Il mio anno di apprendistato passò tra il lavoro nell’archivio del Ministero e le sere a seguire i corsi per neoassunti, dove uno psicologo si affannava a spiegarci le tecniche per fare il vuoto pneumatico in testa e soffocare ogni pensiero sul nascere. Ma quello che imparammo veramente in quei corsi fu l’uso della FOX. Queste tre lettere erano l’acronimo di “Fluoxossitocina”, una droga meravigliosa che, se assunta regolarmente, spegneva il cervello. Gli psicologi ci fecero perdere le serate di un anno intero, ma noi resistevamo fino alla fine perché all’uscita ci veniva fornita la magica dose con cui arrivare alla lezione successiva. Dopo un anno di corso, se ci fosse venuto un pensiero in testa sarebbe morto di solitudine. La FOX rimuoveva tutto, idee, sentimenti, ricordi, emozioni, ma soprattutto curiosità e senso critico. Riuscivo a lavorare otto ore agli schedari senza nemmeno averne consapevolezza, e quando suonava la sirena dell’uscita e il soprastante mi toglieva la corona di ferro, emergeva un solo impulso: andare a far compere.
Dopo l’anno di apprendistato, ero diventata così veloce ad archiviare che mi fecero salire di livello. Il mio nuovo lavoro consisteva nel ricopiare a macchina, sulle schede, le informazioni raccolte su tutti i cittadini, ma ormai il mio cervello era così distrutto dalla FOX che avrei potuto scrivere anche di me stessa, senza accorgermene. In quegli anni riempii il mio monolocale di vestiti e scarpe che non indossai mai, perché al Ministero dovevamo portare la divisa, e quando non lavoravo e non facevo acquisti, stavo stesa sul letto del mio monolocale a bere birra e mangiare dolci finché le droghe per dormire non facevano effetto. Ogni tanto, per fare posto, buttavo i miei acquisti, ancora con il cartellino del negozio, nei cassonetti per i poveri, e compravo roba nuova, sempre di una taglia in più, perché ingrassavo. Tutti al Ministero diventavano obesi: comprare e mangiare era il solo modo conosciuto per trascorrere il tempo fuori dal lavoro.
In questo modo passarono tantissimi anni. Ero così piena di droghe che svolgevo alla perfezione il lavoro che mi veniva assegnato, e fui una delle prime impiegate a sperimentare la nuova tecnica di scansione mentale. L’informatica aveva sconfitto le schede di cartoncino; ora tutte le informazioni erano su un server, e per raccoglierle non era più necessario usare microfoni e telecamere nascoste, bastava il Cerchietto. Venne chiamata così una coroncina di ferro che veniva impiantata sulla testa dei cittadini dai sei anni in poi, e che trasmetteva al Ministero i pensieri di tutti. Io lavoravo in una postazione che li registrava e memorizzava quelli col Codice Rosso, i pensieri classificati come pericolosi. Quelli che la somministrazione della FOX aveva già da tempo estirpato nelle nostre menti.
La gente faceva fatica ad abituarsi al nuovo sistema di controllo. Il primo anno sparì più di metà della popolazione, perché dopo un certo numero di Codici Rossi si veniva prelevati e portati in un luogo che ancora non conoscevo, e non si faceva più parte della comunità. Ogni traccia del soggetto era cancellata e normalmente spariva tutta la famiglia, per evitare fastidiose ricerche da parte dei congiunti. Poi col tempo anche tra i cittadini che non lavoravano al Ministero si diffuse l’uso della FOX e i pensieri sparirono nel vuoto pneumatico indotto dalla droga, e le segnalazioni di Codice Rosso diventarono così rare che al Ministero ci si interrogò sull’utilità di pagare delle persone per scansionare il nulla. Fatta una mano di conti, gli impiegati del mio reparto furono messi in esubero. Non sapevo cosa voleva dire, ma lo imparai presto.
Noi esuberati ricevemmo una lettera in cui ci veniva ordinato di presentarci alla stazione centrale, la mattina successiva, con una sola valigia a testa, pena l’interruzione della fornitura di FOX. Siccome nessuno di noi poteva più fare a meno della droga che ci reggeva in piedi, tra gli ex dipendenti in attesa del treno non mancava nessuno. Ci fecero salire su vagoni speciali e ad ognuno di noi fu fornito il cestino da viaggio, con alcolici, dolci e droghe in abbondanza. Ne approfittammo tutti subito, e quando il treno lasciò la stazione eravamo già sazi e addormentati.
Ci svegliarono a calci e pugni. La Milizia in divisa nera ci trascinò fuori dai vagoni e ci costrinse ad una lunga marcia in mezzo alla neve. Nessuno di noi pesava meno di un quintale, e avevamo dimenticato perfino come si fa a camminare, così i primi morirono lungo la strada. Chi si afflosciava per terra veniva finito con un colpo in testa, e furono i più fortunati. Non so bene come, io trovai la forza di sostenermi lungo il cammino e arrivai in questo posto che loro chiamano “Campo per Lavori Socialmente Utili”. Molti morivano per le crisi di astinenza, perché non ci somministravano più la FOX. Altri per la fatica, dopo una vita passata tra la scrivania e il letto non ce la facevano ad affrontare sedici ore di catena di montaggio con una ciotola di zuppa e un pezzo di pane ammuffito. Chi è ancora vivo, come me, ha ritrovato la linea degli anni dell’adolescenza, e i guardiani ci dicono che dovremmo ringraziare l’Impero per averci fatto dimagrire a proprie spese. In effetti, non mi ricordo di aver mai pesato trentacinque chili, come adesso… Forse da bambina.
In ogni modo, anch’io so di avere rimasto poco da vivere. L’astinenza dalla FOX mi ha tolto il sonno, così mentre gli altri dormono sono riuscita a scrivere questi ricordi su un foglio di carta rubato a un soprastante. Non so dove lo nasconderò; mi piacerebbe che qualcuno lo leggesse, ma quando si arriva in questo posto, non c’è ritorno. Ho preparato un piano per entrare di notte in un ufficio e seppellire questo pezzo di carta in uno dei vecchi schedari che nessuno usa più, perché la tecnologia li ha superati, un po’ come è successo a noi. Chissà, forse un giorno uno storico, o un archeologo, leggerà questi appunti e ricostruirà un frammento di storia non ufficiale dell’Impero della Civiltà Moderna. Tutti i regni crollano, prima o poi, dicevano a scuola. Crollerà anche questo, e forse al suo posto non rimarranno solo la neve e i lupi. Io scrivo per coltivare questa scintilla di speranza.
- Cinquanta sfumature di Amore – L’Amor Felino - 17 Febbraio 2014
- Resistenza in vita - 3 Febbraio 2014
- Non è mai troppo tardi - 6 Gennaio 2014