– racconto e illustrazioni di Mauro Cristofani –
Quando nacque Desolina ci fu gran festa nella fattoria di Monticchio. Bambina bellissima, le sue fattezze avevano preso il meglio dei genitori Asàr e Rolla. A tre anni era sana e vispa e tutto sarebbe filato liscio come l’olio se l’instabile Rolla non avesse portato scompiglio nella famigliola. Ma andiamo per ordine.
Quindici anni prima, a una fiera di paese, Rolla aveva conosciuto il patron della Compagnia del Reticolo, un certo Rudlo, che si esibiva nelle piazze con buffonate e giochi di equilibrio. Uomo maturo e navigato, egli s’invaghì dell’adolescente Rolla tutta pepe e senza tanti preamboli le chiese di sposarlo la sera stessa in cui la conobbe. Rolla non voleva un marito, ma un pretesto per andarsene da casa, ma si fece un bel po’ desiderare. Rudlo cascò nella rete e la portò con sé, promettendo d’insegnarle a diventare una brava equilibrista. Così Rolla senza rimpianto salutò Monticchio.
Come apprendista funambola non deluse, aveva ardimento e coraggio e fra i compagni di lavoro suscitò subito invidia e gelosia. Specialmente in Doronia, la star della Compagnia, e quando Rudlo propose Rolla per il numero di chiusura dello spettacolo suo cavallo di battaglia, Doronia illividì dalla rabbia e minacciò d’andarsene. Ma Rolla mise in atto le sue arti di seduttrice e Rudlo, intrappolato nella passione, la elesse primadonna assoluta. Doronia illividì, tuttavia fece buon viso a cattivo gioco in attesa di rivalsa.
La folla che adesso accorreva numerosa agli spettacoli dei Reticolanti decretò alla nuova funambola grandissimo successo. Rolla bella e coraggiosa si esibiva sulla fune tesa a tre metri da terra leggera come una libellula, ora reggendosi su una sola gamba e ora su un braccio, abilmente creando movimenti pericolosi e, talvolta fingendo di cadere, giocando con la paura suscitata negli astanti.
Relegata in secondo piano e umiliata, Doronia preparò i bagagli. Rudlo l’avrebbe volentieri lasciata andare, se Ivano il pomposo e il prestigiatore Ottilio non avessero subito dichiarato di volerla seguire, facendogli paventare un disastro. Infatti sarebbe stato impossibile sostituire su due piedi tre reticolanti tanto bravi! Rudlo cercò di fermarli con promesse e promesse, ma furono irremovibili: sarebbero rimasti a patto che Doronia riprendesse il suo posto. Così l’uomo, messo alle strette, dovette sacrificare la sua innamorata.
Rolla capì che non c’era più posto ora per lei e tornò a casa, ma ritrovare un modo per andarsene fu ancora il suo unico pensiero. A una festa d’estate conobbe Asàr, che amabilmente la corteggiò. Era assai più grande di lei, ma le offriva protezione e un tetto sicuro. Le bastava, e accettò di sposarlo.
Asàr poteva dirsi un ottimo partito: carattere solido e affidabile, possedeva una bella fattoria e non gl’importava che Rolla fosse senza dote: gli bastava la bella gioventù della ragazza e la sua buona salute. E del suo passato ribelle, non ne avrebbero parlato più. Rolla come al suo solito fece un po’ la preziosa, ma non vedeva l’ora di diventare la signora fattoressa. Alla fine disse sì e si sposarono.
Asàr, paziente, le perdonava ogni capriccio. Specialmente dopo la nascita di Desolina, avvenimento che completò la sua felicità. Invece Rolla fu proprio da quel giorno che cominciò a cambiare. S’insinuò in lei una crescente insofferenza per le aumentate responsabilità e per il poco tempo che aveva da dedicare a sé. Impetuosa, le tornò la voglia di evasione. Ma amava Desolina e fu la figlioletta a farla rimanere. In questo altalenante stato d’animo visse ancora tre anni.
… Finché nella piazza di Monticchio tornò a esibirsi la Compagnia del Reticolo e nel rivedere i vecchi compagni il passato riemerse. Asàr s’accorse dello sguardo mutato della moglie e sentì una spina conficcarglisi nel cuore. Per il pover’uomo fu come il risveglio da un bel sogno durato troppo a lungo e capì che Rolla l’avrebbe abbandonato.
Infatti la donna se ne andò due giorni dopo, di notte, quasi furtiva, senza svegliare Desolina che dormiva. La sfiorò con un bacio, poi uscì di corsa dileguandosi nell’ombra. La bimba, nel sonno, si passò la manina sulla guancia e con quel gesto ignaro s’asciugò una lacrima.
I giorni seguenti Asàr fu un pupazzo senza carica, un automa, un sonnambulo, un corpo misero senza più volontà. Non s’occupava della fattoria, trascurando l’andamento dei campi e dei raccolti, ma quando un uragano danneggiò i frutteti i lavoranti reclamarono la sua presenza, si scosse dal suo stato apatico e con mano ferma tornò a fare il suo dovere.
Malvina, sorella nubile di Asàr, mossa a compassione venne alfine in suo aiuto prendendo in mano le redini di casa. Desolina domandava spesso della madre, ma poiché riceveva risposte vaghe e sfuggenti preferì non chiedere più nulla. Però ad Asàr non sfuggiva lo sguardo della bambina quando guardava il ritratto di Rolla, condividendo entrambi il medesimo strazio.
***
È passato un anno da quando Rolla se n’è andata, la Compagnia del Reticolo torna a esibirsi a Monticchio per la festa dell’Uva. Asàr se ne guarda bene dall’andare in piazza e si tappa in casa fingendo d’ignorare gli strombazzi che giungono dal paese, ma quella notte non riesce a dormire.
Un toc toc alla porta lo fa a un tratto sobbalzare. S’infila una vestaglia e scende al pianterreno facendo a due a due gli scalini, apre la porta e… appare lei, Rolla. Dopo un attimo di smarrimento l’uomo le tende le mani, amoroso, ma lei evita il suo sguardo ed entra in casa.
Nel vedere quel regno di cui un tempo fu sovrana il cuore le trema, ma solo per un attimo. “Dorme?…” domanda. “Non la svegliare” dice Asàr in un soffio. Non la sveglia, la guarda in silenzio. Malvina sopraggiunge, si stringe al fratello come a infondergli conforto. Rolla fa un’ultima carezza alla bambina, poi di scatto raggiunge l’uscita a passi rapidi evitando lo sguardo dei presenti, poi sparisce nell’ombra. Asàr si meraviglia di non provar dolore, è come se nel petto non avesse più nulla.
A sette anni Desolina è allegra e gioiosa. Ma mutevole, e in certi giorni la limpidezza del suo sguardo s’oscura, e il suo fare diventa capriccioso e insofferente. Sono i giorni in cui la spina nascosta fra le pieghe del suo cuoricino le fa più male, ma è ancora troppo piccola per capire. Tuttavia l’affetto del padre e di Malvina danno il calore necessario alla sua giovane vita, facendo sì che quei momenti siano sempre più fugaci.
I lavoranti della fattoria sono incantati dall’amabilità della bambina, dal dolce garbo con cui ella si rivolge a loro quando s’incontrano sull’aia, sempre pronta a spargere un soffio delicato sulla loro rudezza. Per tutti ha una mossa civettuola, un sorriso birichino, una parolina ricercata, è la reginetta della fattoria e si bea di esserlo.
Gli animali sono i suoi compagni di gioco preferiti: il cane Alonso, guardiano in carica sempre all’erta, che fiuta l’avvicinarsi d’un ospite indesiderato lontano un miglio; il gatto Nerone e la micia Cleofina, sempre intenti a scodellar nidiate di cuccioli miagolanti; l’oca Genì, capitana d’una squadra d’anatre zampettanti; la famiglia delle tartarughe, trincerata fra le verdure succose; i conigli grigi, eternamente ruminanti nei gabbioni; i coloratissimi uccelli esotici, roteanti nella voliera; i pesci dorati, che sguazzano nella vasca in fondo al cortile; la comitiva dei tacchini, coi magnifici bargigli rosso fuoco; le galline faraone, sempre beccheggianti; la chioccia Armida, adagiata nella cova; la pavoncella Didì…Tutti, tutti gli animali della fattoria sono amici della piccola, ognuno di essi la segue ovunque, ansioso di ricevere da lei un buffetto affettuoso, un bacio fuggevole, un sorriso. Soltanto i due superbi pavoni Mingo e Padù, statuari nella loro alterigia, se ne stanno in disparte; a causa delle lunghe code si spostano lentamente e spesso s’appartano, desolati per non avere una compagna.
Fra i lavoranti della fattoria, i fratelli Paccio e Burrino si fanno notare per star sempre l’uno appresso all’altro. Muovendosi in sintonia e parlando all’unisono creano davvero un effetto bizzarro fra gli astanti. Fisicamente però sono diversi: Paccio ha un viso cavallino perforato da occhietti spiritati, gambe e braccia sproporzionate al corpo breve e una testona un po’ sgraziata; Burrino, invece, è ben fatto e ha un viso che ispira simpatia e buonumore.
Poi c’è un altro giovane capitato lì a mendicare e assunto da Asàr su due piedi per averne ricevuto un’ottima impressione. È un ragazzo bellino sui tredici anni, fisico asciutto e viso arguto in cui spiccano gli occhi, d’una strana trasparenza d’azzurro. Per i suoi capelli irti e giallini come steli di grano maturo qualcuno l’ha chiamato Paglia, e Paglia gli è rimasto. Desolina è subito pazza di lui e i due ragazzi diventano inseparabili.
Il fattore ne è contento, da quando c’è Paglia la figlioletta appare davvero spensierata. Dal canto suo, dà fiducia al ragazzo e gli affida compiti in cui necessitano inventiva e destrezza.
Malvina, in principio, non aveva visto di buon occhio quell’amicizia. Paglia era tanto più grande di Desolina e poi era pur sempre un sottoposto! Ma ha dovuto presto arrendersi alla simpatia e al fascino misterioso che emana il ragazzo e così finisce proprio lei a organizzare ogni pomeriggio merende per lui e la nipote. E finisce che il fattore non lo manda più a lavorare nei campi, trattando Paglia come uno di famiglia.
Desolina è felice della considerazione che la zia e il padre hanno per lui, e Asàr vuol farla ancora più contenta alloggiando il ragazzo stabilmente in casa, proprio nella camera sopra quella di lei. L’eccesso di entusiasmo e l’emozione ricevuta da questa novità provoca nella bambina una febbre improvvisa che la confina a letto per un’intera settimana. Ogni sera prima d’addormentarsi, Paglia con un’asticella picchietta il pavimento: è l’ultimo saluto della giornata che dà all’amica della camera sottostante, a cui ella risponde dando due colpetti alla parete.
L’estate esulta, è nel suo massimo fulgore. Ora Paglia si assenta sempre più spesso e a lungo dalla fattoria, passando fuori molto del suo tempo libero. Desolina vorrebbe sapere dove va e un giorno lui le racconta con sguardo trasognato: “Ho scoperto un posto molto bello dove si respira un’aria magica, un prato circolare sorvolato da farfalle d’ogni specie e con erbe e fiori dai colori che non ho visto mai!…”.
La bambina corre dal padre e gli riferisce tutto quanto, chiedendogli il permesso di poter andare l’indomani con Paglia al prato delle farfalle. Asàr acconsente, ma fa promettere al ragazzo di ritornare prima del calar del sole.
Ora i due amici camminano fianco a fianco per stradine e viottoli, attraverso campi e frutteti, su sponde di ruscelli e lungo filari d’uva, canticchiando all’unisono un ritornello in voga…
Fioredigiglio
Quando ti guardo tu ti fai vermiglio
Allora un’altra strada io mi piglio
Fiore di giglio…
Continuando poi con Fiore di rosa, di margherita, di tulipano e chi più ne ha più ne metta, ogni fiore con la rima adatta alle varie occasioni amorose.
Camminano camminano finché vedono spalancarsi davanti a loro un magnifico tappeto erboso circolare sparso di fiori e arbusti, ondulato da una brezza lieve nella cui scìa svolazzano miriadi di farfalle. Allora si sdraiano nell’erba, rapiti da un istante incantato.
In lontananza, una casina pare appoggiarsi al leccio che la sovrasta come a chiedere sostegno. Desolina sta per fare domande, ma mentre Paglia apre bocca per rispondere sopraggiunge uno sciame di farfalle che comincia a roteare intorno, festoso. Alcune portano sul dorso macchie vellutate d’un nero profondo, altre sono sparse d’acidi verdi, di rossi vermigli e di bianchi smaglianti, o hanno toraci fiammeggianti giallo oro simili a mappe. Voli innumerevoli giungono da ogni dove, a poco a poco infittendosi e ostruendo ogni visibilità. La bambina è impaurita ma Paglia la stringe a sé rassicurandola; finché le farfalle, stanche della loro esibizione, si dileguano nell’aria.
Dopo un po’, l’attenzione di Desolina torna alla casupola. “Andiamo a vederla!” esclama impaziente e curiosa. “Ricordati della promessa che abbiamo fatto a tuo padre” replica Paglia. “Fra poco sarà notte, dobbiamo ritornare”. Infatti le ombre s’allungano e spira il venticello frizzante del crepuscolo.
A cena, Desolina racconta entusiasta l’avventura, talvolta esagerando gli avvenimenti, e Asàr ascolta divertito e incredulo. “Non conosco questo prato delle farfalle” esclama, “eppure confina coi nostri poderi!”. Quella stessa notte, mentre insonne si rigira nel letto, il fattore ripensa a quel prato e soprattutto alla casupola del leccio, provando un’inquietudine che non sa spiegarsi.
Alla fattoria, pochi giorni dopo accade un fatto nuovo: dalla stanza delle provviste stanno sparendo i cibi. Tutti i visi si fanno scuri e preoccupati, ma non quello di Paglia: sereno e sorridente come sempre, pare ascoltare un fatto risaputo, previsto da un disegno segreto che solo lui conosce.
Asàr e Malvina pensano che i responsabili siano i topi. “Si sapeva che son furbi” brontola Malvina, “ma non avrei mai creduto che potessero fare questo bel lavoretto, e senza lasciare nemmeno una briciola sul pavimento”. “Devono essere topacci belli grossi” rincara Asàr, “per potersi caricare in groppa tanto ben di dio”. “Una masnada di saccheggiatori, giuro che avranno quello che si meritano!” incalza Malvina. Ma al momento questa è solo una speranza, perché i due fratelli non saprebbero proprio come affrontare un’orda così affamata. Desolina ascolta un po’ impaurita quei discorsi, mentre Paglia sorride vagamente.
Quando i due amici tornano al prato delle farfalle, trovano una nuvola immensa d’ali variopinte che si sposta compatta sopra il verde e fra gli arbusti, così fitta da oscurare il sole. Certi insetti si distaccano dal nugolo più denso esibendosi in evoluzioni a raggiera, a spirale, planando poi sull’erba per risollevarsi all’improvviso.
Paglia fa notare all’amica i voli più bizzarri e singolari, e la furbizia che ha una farfalla nel difendersi: è un esemplare bellissimo che, per sfuggire a un uccello predatore, con mossa scaltra alza le ali mostrando solo la parte inferiore bruno-opaca del suo corpo confondendolo con la vegetazione circostante; e un’altra che, per salvarsi da un rigogolo ghiottone scende in picchiata verso il suolo cambiando direzione all’improvviso e confondendo astutamente il proprio corpo con l’ombra, rendendosi così imprendibile.
Il ragazzo conosce a menadito le abitudini delle farfalle di quel prato, le ha imparate durante le lunghe ore passate disteso sull’erba osservando la vita pulsargli intorno. Ed è stato proprio quando era perso nelle sue fantasie che ha percepito un segnale, un’eco misteriosa che lo nominava il tramite d’un incontro, il messaggero d’una felicità perduta e ritrovata. Ma di questo non parla a Desolina.
“Andiamo alla casina del leccio!” grida la bambina eccitata scuotendolo dai suoi pensieri. Il prato è tornato silenzioso, le farfalle sparite. “S’è fatto tardi, ci andremo la prossima volta”. “Giura!”. “Giuro”. E nello sguardo dell’amico Desolina legge qualcosa di più d’una semplice promessa.
All’alba del giorno dopo la gente della fattoria viene svegliata di buon’ora da un fragore di grancassa e di tamburi, di gente che canta a squarciagola. Asàr balza giù dal letto, presagendo l’avvenimento che di lì a poco sentirà annunciare. Si celebra la vendemmia, l’ultima occasione per la gioventù d’innamorarsi, e in piazza si fa festa con la Compagnia del Reticolo. Rolla, ancora lei a Monticchio!
L’uomo s’abbandona allo sconforto e piange. L’antica ferita, mai rimarginata, stilla gocce amare di rimpianto. Eppure, anche se assai timidamente, alla fine gli si riapre il cuore alla speranza e decide d’incontrare la moglie quella sera stessa, e di dirle che l’avrebbe perdonata se fosse tornata con la sua famiglia.
Così Asàr lascia liberi i lavoranti e l’invita ad andare a divertirsi. Paccio e Burrino sono fidanzati di fresco e quella è l’occasione per mostrare a tutti le loro belle. A vederli andare verso lo stradone che porta al paese, così vestiti di scuro, sembrano due becchini in libertà.
Malvina rispolvera l’abito migliore, Desolina il vestitino più sgargiante e Paglia indossa il suo bel completo blu che lo fa apparire un figurino. Asàr s’acconcia come si conviene a un uomo d’età, con la sola nota sfiziosa d’un bastone da passeggio terminante con puntale di rame, il suo metallo portafortuna. E lui sa che di fortuna, quella sera, ne avrà molto bisogno.
Salgono tutti sul calesse, e al primo schiocco della frusta il cavallino Elmo parte con trotto sostenuto. La falce lunare s’accende, nella campagna circostante è tutto un chiamare e rispondersi degli animali che si cercano, s’inseguono si trovano nell’ànsimo dei desideri. E nell’aria s’avverte il pulsare d’un fremito, un sentore carico d’attesa.
Quando arrivano in piazza, la festa è al suo culmine e lo spettacolo dei reticolanti sta per cominciare. Sistemati cavallo e calesse, ora bisogna farsi largo fra la folla e trovare un posto dove ci sia una buona visuale.
I trombettieri danno inizio allo spettacolo, fra un boato d’evviva. Avanza Angone il capocomico, che dà il benvenuto agli astanti. Sopraggiungono i buffoni e tutti ridono ai loro sciocchi lazzi; seguono un moro tatuato tutto muscoli che s’infila in gola la spada suscitando un ooooh! di raccapriccio; poi: Birù il domatore di pulci, una moffetta ballerina che volteggia e piroetta e i fratelli Andalusi che s’intrecciano fra loro in una pantomima di mosse eleganti. Chiudono la parata tre nani saltatori che si esibiscono in un siparietto umoristico.
L’entusiasmo degli spettatori è al culmine. Due reticolanti iniziano a stendere la fune per il numero finale, quello dei funamboli, il più atteso. Cresce l’ansia in Asàr, è il numero di Rolla e il cuor gli trema. Malvina avvertendo la sua emozione gli stringe forte la mano.
Angone annuncia il nome dei due acrobati… Marius e Marikopa! E appaiono una donna bionda e un uomo giovane e aitante… E Rolla? Asàr guarda Malvina, allibito e incredulo. La sorella, più stupefatta di lui, è senza parole.
Un pensiero terribile attraversa la mente di entrambi. Asàr cerca di riprendersi dallo smarrimento e facendosi largo tra la folla raggiunge Angone. “Dov’è Rolla? chiede concitato prendendolo per il bavero della giacca. “Dov’è mia moglie?”. Angone lo allontana, gli fa cenno di calmarsi commiserandolo con lo sguardo. “Non è più con noi…” E aggiunge in fretta: “Era troppo ambiziosa, voleva primeggiare ad ogni costo, osava sempre di più, sempre di più… Fu pazza a tentare l’esercizio del pendìo, non c’era mai riuscito nessuno!”. “Noooo!” grida Asàr disperato. “No non è morta, però s’è rotta una gamba” replica pronto Angone. “Poi è sparita, chissà dov’è andata!”. Quindi si sottrae da quel colloquio angoscioso e scappa verso il centro della piazza dove lo spettacolo sta per terminare.
Asàr rimane in un angolo accasciato su se stesso, lamentoso come una bestia ferita, mentre la piazza si svuota a poco a poco. Quando la sorella e Desolina lo ritrovano, il pover’uomo cerca di risollevarsi per non impressionarle, ripromettendosi di dire tutto a Malvina quando saranno da soli.
Ma le sorprese non sono finite, perché il destino bizzarro e capriccioso seguita a ricamare la tela divertendosi a comporre intrecci strampalati. Di ritorno alla fattoria, infatti, vedono un’ombra furtiva sgattaiolare fra i cespugli: è un ometto buffo e filiforme che porta un sacco pieno sulle spalle. Asàr fa per inseguirlo, ma quello sparisce nell’oscurità. “Ecco il birbante ladro che ruba i cibi!” grida Malvina con gesto rabbioso. “Altro che topi!”. “Se l’acchiappo lo faccio a pezzi!” gli fa eco il fratello.
Più tardi, dopo aver messo a letto Desolina, Asàr rivela alla sorella il tremendo incidente capitato a Rolla. La donna cerca di consolarlo come meglio può e gran parte della notte passa in quel modo.
In quanto al ladruncolo, si capirà poi che, minuto com’era, riusciva benissimo a passare dalla finestrella che arieggiava la dispensa. I giorni seguenti lo cercheranno in lungo e largo, ma inutilmente.
Un giorno Asàr sente uno strano tuffo al cuore e spinto da uno slancio misterioso segue i due ragazzi verso il famoso prato. È un pomeriggio tiepido e chiaro, seppur di malavoglia l’estate muore lasciando dietro sé cieli stellati e sere sull’aia, giorni oramai perduti.
Arrivano al prato circolare e Asàr subito avverte l’aria speciale che vi si respira, le vibrazioni quasi magiche… I gridolini gioiosi di Desolina lo scuotono dall’incanto: “Guardate guardate arrivano le farfalle!”. Infatti uno stuolo d’insetti colorati sopraggiunge sopra le loro teste come a dare il benvenuto. “Ecco la farfalla più grande del mondo” dice Paglia indicando un esemplare magnifico dalle ali orlate di nero e cosparse di ocelli dorati. Poi ne indica un’altra: “Quella è la farfalla più piccola”. D’un blu finissimo e fosforescente, è così minuscola che a stento si può scorgere. Quelle che divertono di più Desolina sono certe farfalline che le volteggiano fra i capelli, capricciose e inafferrabili. Hanno colori singolari: acri gialli, aureole blu e celesti e rossi fiammanti che sotto i raggi del sole irradiano bagliori d’incantevole soavità. Pare che tutti gli sciami di farfalle si siano dati convegno nel prato e che vogliano festeggiare questo giorno.
“Guardate laggiù!” è ancora la voce di Desolina che rompe l’estatica ammirazione. Poco lontano, appare il filiforme ladruncolo della fattoria che trotterella con un sacco sulle spalle verso la casa del leccio. Subito Asàr gli corre dietro seguìto dai ragazzi, ma quello non sembra impaurito e si volta a guardarli sorridendo, e invitante.
Arrivato alla casa del leccio, l’ometto entra lasciando l’uscio aperto. I tre inseguitori s’arrestano un po’ incerti, poi Asàr entra deciso. I due ragazzi odono un grido, e un nome… Rolla! Poi un altro grido soffocato… Asàr! e i loro cuori capiscono ancor prima di veder la scena.
Rolla è seduta in un angolo e guarda tutti con tristezza infinita. Ha le mani abbandonate sul grembo, il volto pallido percorso da pieghe fitte e sottili. Un sorriso infinitamente amaro le increspa le labbra. E gli occhi, un tempo luminosi e vivi, son ora due stelle spente, disseccate dal pianto. Dall’orlo della sottana spuntano i piedi inerti, come due alucce ferite… Alle sue spalle, l’ometto guarda gli astanti immobile e severo e loro capiscono che lui rubava il cibo per lei, procurando sostentamento alla povera donna sola e inferma.
Asàr si china e abbraccia la moglie, ritrovata dopo tanto patire. La stringe forte a sé senza nulla chiedere, in silenzio, baciando le sue lacrime con gesto di pace e di perdono. Desolina si rifugia in quell’abbraccio pronunciando la parola dolcissima e mai dimenticata “Mamma… mamma…”, ripetendola mille volte, senza stancarsi mai. E fra gioia e smarrimento trascorrono così un tempo indefinito, lontanissimi dal mondo…
Quando vi ritornarono, Paglia non c’è più, e l’ometto è sparito.
In lontananza, s’ode una voce amica che canta
Fioredigiglio
Quando ti guardo tu ti fai vermiglio
Fiore di giglio…
Ma quei tre, ora, non possono pensare ad altro che alla loro felicità.
Si ringrazia Micaela Lazzari per l’editing.
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Bellissima… Bellissima la favola e le illustrazioni. Se avessi ancora le lacrime, piangerei