Era noto come Digger-bye, ma il suo vero nome era Al Digger, o più semplicemente Digger.
Nessun altro nome sarebbe mai stato più appropriato, considerato il suo generoso contributo alla soluzione del problema della sovrappopolazione in quella grande concentrazione urbana.
Si poteva coglierne il ghigno soffocato quando al suo passaggio, dopo un rapido saluto, la gente si affrettava ad affondare le mani nelle tasche, per i debiti scongiuri.
Solo Francis non temeva d’incrociare il suo sguardo scuro, perché forse senza saperlo era l’unica a recepirvi un fondo di bontà (ma proprio un fondo) e Digger, che non era stupido, ogni tanto manifestava il suo debole per le bionde con qualche furtiva occhiata maliziosa in direzione del delicato visino (e del prorompente posteriore) della graziosa aspirante cantante.
Francis faceva la cassiera (suo malgrado) in un supermercato della zona alta dei bassifondi newyorkesi ed era costretta a sopportare per molte ore al giorno il lascivo sbavare del porcino ed occhialuto gestore, che lei chiamava “palla di lardo da 10 cent al chilo” per distinguerlo da altre palle di lardo che proprio prima della chiusura settimanale, quando si regolavano i conti, le facevano perdere la bussola per un sudicio etto di formaggio.
Da questa feccia Francis non era toccata, Digger ne era più che sicuro. Lei leggeva molti libri “illustrati” ed era quindi “istruita”, pensava Digger fra sé e sé, e Digger non era scemo.
Un giorno arrivò perfino a farle una proposta seria e tuttavia rideva, e rideva come uno sciocco (e avrebbe voluto morire per questo…); così Francis, con un rapido giro di tacchi lo lasciò bell’e fesso per la strada con un braccio ancora alto per aria, forse nell’atto di “mollarle” una carezza (e Dio solo sa che altro…).
Ma Digger non disperava: sarebbe arrivato, prima o poi, il suo momento, e questo lo sosteneva per intere settimane, quando spariva per eseguire qualche innocente lavoretto per il suo capo, roba di poco conto in cui ormai era noto per la sua maestria, come far sparire un cadavere di troppo o far saltare le vetrine immacolate di un emporio, quanto bastava per ricordare all’impaurito negoziante che “i debiti si pagano coi soldi o con la vita”.
E che vita era la sua!… Quasi ogni mattina al risveglio era di pessimo umore e andava pesante con l’alcool, soprattutto quando FRANCIS GOWLAND, anziché essere stesa accanto a lui, lo tormentava nei sogni sottraendosi sempre alla sua vogliosa bocca, concedendogli solo un casto bacio sulla guancia. Digger ne era furibondo e tirava fuori certi pugni, che mai sia trovarsi là; ma poi tutto passava. Non voleva vendicarsi di quella maledetta esile bionda fasciata in aderente raso nero, che tra fumi d’alcool e di pipa scatenava gli appetiti sopiti di mercanti d’ogni genere, stretti a cerchio intorno a lei nelle interminabili notti del sabato al saloon, mentre lei, schiudendo la sua docile boccuccia trasformava in un canto d’usignolo le note rimbombanti di un ignobile pianista.
Paola Cimmino, Digger, 1989, in Racconti (1985-1991)
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