di Maria Cristina Impagnatiello
Questa pagina bianca, immacolata, quasi mi spaventa.
È vuota, distesa, liscia, odora di carta appena stampata; è fresca, senza una piega, o macchia, o peccato.
Mi alzo lentamente dallo scrittoio e mi dirigo nella mia camera da letto. Fuori c’è il sole, e l’aria di Settembre è pungente, ma non troppo. Apro il cassetto della biancheria, e tiro fuori lenzuola bianche, immacolate. Si gonfiano d’aria mentre le adagio sul letto, ad avvolgerlo. È un lenzuolo vuoto, disteso, liscio, fresco, non ha una piega, o macchia, o peccato.
Non mi sono mai sentita così sola. Osservo dalla finestra il cielo che si apre, le nuvole che si ammucchiano e creano montagne di panna morbida. È mattino presto, e non c’è un suono, o un soffio di vento.
Se chiudo gli occhi tutto diventa irreale, potrei essere ovunque, perché nessun rumore interverrebbe a smentire la legittimità del luogo in cui si trova la mia mente. Mi stacco dalla finestra; solo i miei piedi mantengono il contatto con la realtà. Sono nei corridoi di una scuola elementare prima del suono della campanella, quando le urla dei bambini sono ancora fuori, racchiuse dai cancelli. Sono nella toilette di una casa lussuosa, ad una serata di gala, con una mano mi scosto una ciocca di capelli dal viso, e allo specchio ammiro la mia scollatura, e quello che lascia intravedere. Sono nei camerini di un teatro, prima dello spettacolo, fra poco verranno a chiamarmi. Sono ovunque, e in nessun luogo, sono nel nulla, ma il nulla non è nullo. Il nulla si porta dietro uno strascico di cose non dette, non fatte, ha una consistenza, ovattata, il nulla non può esistere ora, intorno a me, perché intorno a me non c’è niente.
Poi suonano alla porta, e all’improvviso apro gli occhi; il sole si è fatto più alto, per un momento la luce mi acceca e devo voltarle le spalle per non perdere l’equilibrio. Corro ad aprire e, sinceramente, non mi aspettavo di vederti, non ora, non a casa mia. Ho addosso dei jeans troppo larghi, e una maglietta blu sdrucita. Indietreggio inconsapevolmente, non voglio che tu mi veda così.
“Tutto bene?”, mi chiedi, come se non fossero passati due mesi dall’ultima volta.
Cerchi la mia mano, e la stringi, e ti sento subito dentro, come un pugnale. Chiudo ancora gli occhi, e non posso essere in nessun altro luogo se non qui, circondata dalla tua pelle e dal tuo odore. Chiudi la porta e mi spingi piano verso il letto appena fatto; vorrei mangiarti come un pezzo di cioccolato fondente, e non lasciarne nemmeno una briciola. “Non c’è fretta” dici assaporandomi lentamente, un orecchio, il collo, un lato del naso, le mie labbra, che non chiedono altro, niente che non appartenga a te. Sento il tuo pene duro contro la mia gamba, trattenuto da pantaloni a quadri che apro e ti sfilo. La tua mano percorre la mia schiena liscia, quasi riesce ad inglobarla, mi sento così piccola. Sono bagnata, vorrei averti subito, ma aspetto e rimando il momento in cui mi prenderai per i fianchi e mi penetrerai. I nostri vestiti sono sul pavimento, mucchi informi di stoffa.
Stanotte ti ho sognato. Ho sognato che eravamo nudi nel mare, e nuotavamo nell’acqua fresca e pungente come l’aria di Settembre. Eravamo così liberi. Mi allarghi le gambe ed entri dentro di me, con lentezza mi baci assaggiandomi, come se fossi un gelato che si scioglie al sole.
Vorrei allontanarti da me ma non posso, la mia razionalità è annullata, ho il cervello pieno di desiderio, so che fra poco potrebbe esplodere; sento energia che dall’interno del mio corpo preme, e con violenza vorrebbe uscire e invadere la stanza, e tutto ciò che essa contiene; se la mia energia fosse luce, ti accecherebbe. E invece ti inondo, come acqua impetuosa che distrugge una diga, e tu spingi più forte, come a dilaniarmi, spingi più forte, ed esplodi anche tu. I nostri mari diventano un unico mare, e il respiro si fa più lento, il cuore meno assordante. Lentamente ci separiamo, distesi, accarezzati dall’aria.
Rivolgo lo sguardo al soffitto; una parte dell’intonaco si stacca a pezzi, indecisa se cascarmi addosso o rimanere incollata all’ultimo istante di vita. Il tuo respiro ormai regolare sembra appartenere ad un altro mondo, non il mio, non in questo momento. Il bianco sporco di queste pareti comincia ad ossessionarmi, assordante. Voglio coprire questa luce; il nero dei tuoi occhi cola e macchia le tue guance, piangi lacrime d’onice, scie che scivolano giù dal letto, si riversano come fiumi sul pavimento e sulle pareti e si arrampicano fino al soffitto; sono circondata da rami e foglie scuri come il buio di una notte inquinata. Fuori, oltre la finestra aperta, aleggia un suono, finalmente. È una cantilena, oscilla come un pendolo dimenticato in soffitta; è una musica oltre il muro, mi alzo e osservo quel suono; le tue lacrime nere continuano a colare, ma i tuoi occhi sono chiusi, addormentati. La finestra di fronte incornicia una donna che balla una canzone mai udita; i suoi capelli ricci e scuri ondeggiano incostanti; ha addosso una maglietta bianca, quasi trasparente, riesco ad intravedere i suoi capezzoli inturgiditi. Allungo una mano ad accarezzarle la fronte imperlata dal sudore, e la guancia, e le labbra, piccoli rubini luccicanti. Non sembra stupita di vedermi. Mi sorride, mi avvicina, e continua a ballare, attaccata a me. Sento il suo seno pieno contro il mio, e il suo respiro profumato, il suo odore caldo e morbido; con una mano le avvolgo il collo e mangio quei rubini, divoro quei rubini. E la spingo piano, sul letto, e assaggio le sue labbra, e il suo fiume, e i suoi gemiti avvolgono la musica e la riscrivono. Affondo in quel piacere, e mi sento potente fra le sue gambe. Sento caldo, e fuoco, che brucia e mi incendia; fiamme rosse ci circondano e bruciano i suoi capelli, e i miei, e i nostri corpi, consumati e avvinghiati, acqua e fuoco si alimentano fino ad esaurirsi.
I tuoi occhi sono aperti ora, mi osservano dalla finestra, e tutto è bianco, nero e rosso. Le due stanze diventano un’unica stanza, i nostri tre corpi un unico corpo. Apro gli occhi. Il lenzuolo bianco appena steso è accecante nel suo candore; il sole si è fatto più alto e, in lontananza, suonano alla porta.
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