I favolosi anni Settanta

 
1974

Va bene, ho deciso di fare teatro a Messina, la città del vento, e so che ci proverò seriamente, io sono un messinese atipico.
I messinesi sono detti buddaci, dal nome di un pesce dalla grande bocca, perché hanno la fama di parlare tanto e concludere poco. Io raramente mi proponevo qualcosa di decisivo, sono sempre stato piuttosto pigro. Ma se decidevo…
Nove anni prima avevo deciso di vivere a Londra, mi ero trovato un lavoro in un’agenzia marittima, avevo messo da parte un po’ di soldi e poi ero partito in autostop; e a Londra ci ero arrivato e arrangiandomi con tanti lavoretti ci ero rimasto per parecchio tempo senza mai ricevere un soldo da casa.
Poi a casa ci ero sciaguratamente ritornato – doveva essere un ritorno solo per un mese o poco più – una decisione improvvisa dopo un masochistico giro nei palazzi deserti di notte della zonalondra industriale che costeggiava il Tamigi, quasi volessi, riempiendomi di tristezza, giustificarmi per la mia fuga.
Avevo attraversato in treno l’Italia alluvionata del novembre del 1966 ed ero sceso dal treno alla stazione di Messina, con i capelli lunghi e indossando una giubba blu con i bottoni dorati da ufficiale di artiglieria dell’esercito di Sua Maestà Britannica. I miei non mi avevano riconosciuto.
Comincio a pensare al testo da mettere in scena. Naturalmente la scelta cade presto sul mio adorato Shakespeare. E altrettanto naturalmente sull’Amleto. Ma non mi sogno, e neppure voglio, metterlo in scena come è scritto. Uno spettacolo di un’ora è sufficiente, qualcosa di più agile dell’Amleto originario e più adatto ai miei gusti e alle possibilità che credo di poter avere.
Ora devo trovare gli attori. Ne parlo in giro, io conosco tanta gente e ancora di più è la gente che mi conosce, i primi di quelli che vogliono essere gli attori arrivano. Tanti ragazzi e ragazze che non ho mai visto e solo un paio che conosco già. Ognuno interessato al progetto ha qualcun altro da proporre.
Sono tutti molto più giovani di me, io ho 32 anni, e questo mi va bene. Secondo me è più facile lavorare con i ragazzi, non hanno i vizi di alcuni attori di mestiere. Del resto anche nella vita frequento gente un po’ più giovane di me. I miei coetanei a casa con le loro mogli a fare i primi o i secondi figli. Io dopo la separazione con mia moglie non ho legami stabili in quella città, Carla vive a Bologna, e quindi non faccio parte del clan delle coppie, pur frequentando a volte gli amici di un tempo.
Con i ragazzi cominciamo a ritrovarci il pomeriggio a casa mia per leggere il testo. È la fine di novembre. Quelle poche battute di Shakespeare assemblate rappresentano il mio ritorno alla creazione sulla carta. Durante il mio breve matrimonio ho smesso di scrivere, io che avevo sempre scritto durante tutta mia la vita, ma smettere di scrivere per qualche tempo è stata un’esperienza positiva perché in quegli anni la vita l’ho finalmente vissuta invece di fantasticarci sopra scrivendo. Adesso è normale scrivere e vivere nello stesso tempo.
Oltre agli aspiranti attori impegnati con l’aspirante regista, il pomeriggio passano da casa pure i visitatori per vedere gli aspiranti attori impegnati con l’aspirante regista. A quei tempi casa mia è un irripetibile porto di mare. Alla fine del pomeriggio buttiamo fuori gli estranei rimasti e non apriamo più la porta a quelli che arrivavano. E cominciamo a leggere il testo e a discutere sulle azioni.
Risale a quel periodo uno dei miei pochi tentativi di smettere di fumare. A quei tempi non c’erano prevenzioni contro il fumo. Ma io, che avevo cominciato a fumare solo a 18 anni quando preparavo gli esami di stato, decido di smettere. Probabilmente anche per risparmiare. Dopo una settimana di mio completo mutismo, durante le riunioni del pomeriggio, una delegazione dei miei ragazzi viene a no smokingchiedermi di riprendere a fumare. Li accontento e subito riacquisto la parola.
Il 1974 sta per finire, in novembre era nato il quarto governo Moro, in aprile in Portogallo c’era stata la rivoluzione dei garofani, il 12 maggio aveva vinto il no al referendum per l’abrogazione della legge sul divorzio col 59% e io e Margherita, la mia quasi ex moglie, ci eravamo visti per brindare, il 28 maggio c’era stata la strage in Piazza della Loggia a Brescia, a luglio in Grecia era finalmente finito il regime dei colonnelli e ad agosto Nixon si era levato dalle palle, mentre in Italia c’era stata una nuova strage, quella dell’Italicus, a settembre erano stati presi Renato Curcio e Alberto Franceschini.
Erano gli anni di piombo, anche se nessuno ancora li chiamava così, il film di Margarethe Von Trotta uscì nel 1981.
Al cinema vedevamo, in rigoroso ordine alfabetico, Allonsanfan, C’eravamo tanto amati, Chinatown, Cognome e nome: Lacombe Lucien, L’enigma di Kaspar Hauser, Il fantasma del palcoscenico, quello di Brian De Palma, Il portiere di notte, Frankenstein Junior – per un periodo fu tutto un lupo ululà, castello ululìNon toccare la donna bianca, e naturalmente non ci sognavamo di vedere Il colonnello Buttiglione diventa generale.
Gaber ci comunicava che Anche per oggi non si vola, mentre Francesco De Gregori ci diceva di stare tranquilli che Non c’è niente da capire, Fabrizio De André scopriva che non era il caso di Morire per delle idee, come gli aveva fatto sapere Brassens, i Genesis ci regalavano un doppio The Lamb Lies Down on Broadway, ci svegliavamo con Black Magic Woman di Carlos Santana, finalmente Paolo Conte cominciava a cantare personalmente le sue musiche e Francesco Guccini ci dava Storie di vita quotidiana, ma Guccini era soprattutto una storia mia e di Carla, come del resto i Peanuts.
Ma Carla stava a Bologna e in attesa di andarla a trovare a Natale, passo le serate, ma sarebbe più giusto dire le nottate, con i miei amici, Michele soprattutto e poi anche Mimmino, che in realtà si chiamava Cesare e Cesare avrebbe voluto essere chiamato, ma nessuno lo chiamava così – riacquistò il suo vero nome solo anni dopo quando si trasferì a Milano dove Mimmino non era tra i nomi da cristiani – Franco, Roberto, Cesare, quello vero, Giacomo e pochi altri. Stiamo ad ascoltare musica e a discutere a casa mia e poi usciamo a farci lunghi giri nella notte, fino ai laghi di Ganzirri sotto la pioggia di routine di quella stagione, con la 500 di Mimmino, continuando a parlare e facendoci le canne.
È un bel periodo della mia vita, se solo avessi un po’ più di soldi… Vado dietro a quello che mi piace fare in quel momento, domani è un altro giorno come dicevano, più o meno, in quel polpettone di Via col vento. Non solo non ho più moglie, ma come vi ho detto il mio matrimonio finché è durato è stato divertente, ma soprattutto non vivo più da tanti anni con la mia, per me solo per me, orrenda famiglia, padre, madre e fratello, tutti compresi nella parola orrenda.
Quanta roba buona girava a quel tempo, il Libanese se volevi meditare, l’olio di hashish se ti andava qualcosa di più forte, il Marocco se volevi farti quattro risate sul nulla, l’Acapulco Golden che eracasa fumeria quasi un acido e ti faceva sentire il tuo sangue che scorreva e se non ci stavi attento ti trasportava fino al soffitto a guardare tutti gli altri dall’alto e magari ci restavi per ore o per quei minuti che ti sembravano ore…
Ho passato pure un pomeriggio fumando oppio con Lea, una mia amica.
Poi arrivò l’eroina, che non ci interessava, a prezzi stracciati e il fumo letteralmente sparì per mesi.
Nella nostre gite notturne siamo spesso in quattro nella 500 più Ulisse, il mio amato cane nero con il pelo a coprirgli gli occhi, che veniva sempre con me. Quando scendiamo il più stonato è Ulisse e cammina ondeggiando più di noi, anche se ha due zampe in più.
Ulisse era venuto a stare con me quando ero ancora sposato, era già adulto aveva due anni, ce l’avevano prima di noi due gay a Catania, ma a quanto sembra non era accettato dagli altri condomini. Probabilmente erano i due gay a non essere accettati. Quando con mia moglie ci separammo ci sembrò giusto stabilire che Ulisse, praticamente nostro figlio, avrebbe vissuto un mese con me e un mese con lei. Una volta, anni dopo, quando toccava a me, andai a prenderlo da mia cognata dove Margherita lo aveva lasciato. Suonai e dissi di mandarmelo giù, come al solito, per le scale. Dopo cinque minuti mi comunicarono che Ulisse non si trovava, era scappato. Era quasi l’ora di pranzo e prima di cominciare le ricerche decisi di telefonare ai miei, dove andavo sempre a pranzo, per dire che non potevo andare, dovevo cercare Ulisse.
Ulisse era arrivato da loro un’ora prima. Da via Industriale si era fatto tutta via Tommaso Cannizzaro, circa 3 chilometri, per arrivare infine all’inizio di Gravitelli dove abitavano i miei. Per entrare in casa era riuscito a farsi aprire un cancello, un portone e la porta di casa. Non so se avesse preso pure l’ascensore, i miei abitavano al terzo piano. Tutta una strada che mai prima aveva fatto con le sue zampe. Non era venuto a casa mia, come ci si poteva aspettare, sapeva bene che all’ora di pranzo io mangiavo dai miei.

Dormo molto poco, prima di addormentarmi come al solito leggo, anche se è molto tardi, anche se so di dovermi svegliare prima delle sette per andare a lavorare a 50 chilometri da Messina. In quel periodo leggo Teresa Battista stanca di guerra di Jorge Amado, Il castello dei destini incrociati di Italo Calvino e rileggo naturalmente Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez e tanto teatro. Non leggo l’infinità di saggi politici e antropologici dell’Einaudi che ho sciaguratamente comprato e che pago a rate.

 

 

Questo brano non ha una vita autonoma. Sono frammenti provvisori assemblati del libro che sto scrivendo Da Amleto a Riccardoamleto
Auguratemi buona fortuna.

 

  

 


Editing by Benedetta Volontè e G.M.

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