Poche volte mi sono cimentato con le favole, questa è una di quelle. Spero che il lettore non commenti con un laconico: “ed era meglio che continuavi a non cimentarti!”. Ritengo che la favola sia un mondo letterario molto più difficile di quello che normalmente si pensa, forse per questo sono sempre le stesse che da centinaia di anni raccontiamo ai nostri figli. Buona lettura.
C’era tanto tempo fa, ma nemmeno tanto tempo fa, un pappagallo variopinto e vivace dal nome esotico di Papagì.
Papagì era la compagnia preferita, anche perché unica, di Chiarastella, una piccola e fragile bambina che viveva in un grande e nobile casale nella Terra-Di-Lontano-Da-Tutti.
Chiarastella portava sempre un cappello che le copriva perfino le orecchie e guai a levarselo! Purgone, il medico di famiglia, le aveva detto che doveva sempre indossarlo se non voleva rischiare di ammalarsi ancora di più.
A memoria di chi lavorava in quella casa, mai Chiarastella era stata vista senza quel copricapo, tanto che i più ignoravano totalmente il colore dei suoi capelli.
Un giorno Papagì, appollaiato sul trespolo, guardava fuori dalla finestra, anche Chiarastella osservava il cielo e le praterie lontane. Ne venivano i versi degli altri uccelli: i pettirossi, i chiurli, i passeri, le allodole tra gli alberi, qualche merlo fischiettante dai campi di grano, le oche nel giardino e, da lontano, un’aquila.
“Siamo due prigionieri” disse Chiarastella tra sé, poi osservò la piccola catena che teneva il pappagallo al sostegno e disse: “Se ti libero, rimarrai con me?”
Papagì non rispose, ma inclinò il capo una volta a destra e una volta a sinistra, guardandola con i suoi occhietti vivaci.
Cosicché Papagì iniziò a volare in tondo nella stanza e a ogni giro la bambina rideva contenta, applaudendo le divertenti evoluzioni del suo amico pennuto, finché, il pappagallo, prese la via della porta e lasciò la stanza.
Chiarastella si precipitò fuori, ma era troppo lenta per stargli dietro, l’uccello attraversò il lungo corridoio ed entrò nella cucina, dove vide un’enorme pentola sul fuoco dalla quale, tra fumi e vapori, ne veniva un profumo invitante di cose succulenti.
La grossa cuoca provò a scacciarlo con un mestolo, ma Papagì le girava intorno evitando tutti i fendenti e costringendo la pingue donna a roteare su se stessa, fin quando, PATAPUNF! la povera cuciniera non si ritrovò col corpulento sedere sulle mattonelle fredde della cucina.
Nell’istante in cui sopraggiunse Chiarastella, il pappagallo si appoggiò sul bordo della pentola e guardò dentro. I vapori ed il calore punirono la sua curiosità provocandogli un capogiro, così Papagì, con le ali mezze spiegate, cadde nella zuppa bollente!
Chiarastella urlò talmente forte che tutto il mondo della Terra-Di-Lontano-Da-Tutti si fermò: il vento smise di soffiare, le nuvole di spostarsi nel cielo, i pettirossi finirono di chioccolare, i chiurli di chiurlare, i passeri di cinguettare, le allodole tra gli alberi terminarono di trillare, i merli, dai campi di grano, smisero di fischiare, le oche di starnazzare e perfino l’aquila strozzò il grido.
La grossa cuoca dondolava goffamente nel tentativo di rialzarsi e non riuscì a impedire alla piccola bambina di correre in soccorso del povero pappagallo bollito. Chiarastella si sfilò il cappello, che mai avrebbe dovuto togliersi, mettendo in luce onde di capelli dorati. Senza pensarci due volte, con quello stesso cappello, raccolse il pennuto dalla zuppa e lo adagiò sul tavolo.
Il pappagallo era immobile tra pieghe di lana bagnata del cappello. “È morto” sentenziò la cuoca, che nel frattempo era riuscita a tirarsi su.
Chiarastella provò, con quei modi sognanti che solo i bambini conoscono, a rianimarlo, ma non ebbe successo.
“Non puoi farci nulla, bambina, è morto” insistette la cuoca.
“È tutta colpa mia”, e dopo un istante aggiunse: “Non tutti sono pronti a essere liberi”.
Così, sentendosi in colpa e col dolore nel cuore, iniziò a piangere. Desiderava con tutta se stessa che il pappagallo tornasse in vita, lo desiderava con ogni parte del suo corpo, della sua anima, con ogni goccia del suo pianto.
Il dolore, così intenso e profondo, esplose come un tuono in tutta la Terra-Di-Lontano-Da-Tutti, tanto che i contadini smisero di zappare e alzarono lo sguardo al cielo. In quell’istante il fuoco sotto la pentola si spense per il pentimento, gli uccelli si accalcarono silenziosi alla finestra della cucina, il vento perse una raffica che si diresse fino al cielo che divenne cupo e freddo come l’inverno, così la vecchia quercia lasciò cadere di colpo tutte le foglie e la pingue cuoca, assistendo a tutto ciò, rimase talmente sorpresa da non riuscire più a parlare.
L’Angelo della Morte, che ancora non aveva lasciato quella stanza, si fermò e voltandosi guardò il fuoco spento, poi gli uccelli silenziosi, il vento immobile, la quercia spoglia e la bambina triste. In migliaia di anni, mai aveva assistito a una scenda del genere, così ebbe un moto di ripensamento: “Solo per questa volta”.
Nello stesso istante il pappagallo, avvolto nel cappello, aprì gli occhietti vivaci. Sul volto di Chiarastella si dipinse una O gigante e negli occhi si accese la felicità. Tutti gli uccelli, ognuno a suo modo, iniziarono a cantare, il vento riprese a soffiare portando con sé, in una danza di colori, le foglie della vecchia quercia. La tonda cuoca accennò un passo di danza spostando il goffo sederone a destra e a sinistra.
Il pappagallo lasciò il cappello e volò sulla spalla della bambina che rideva felice.
“Resterai sempre con me?” chiese Chiarastella.
“Sempre con me!” rispose il pennuto.
Da allora il pappagallo continuò a essere libero, ma non si avventurò più incautamente per luoghi a lui sconosciuti. Chiarastella non fu più costretta a tenere tutti i giorni quel copricapo di lana, e acquistò nuova fiducia in se stessa, forse proprio grazie a quell’eccesso di magia in cui tutto il mondo si era fermato.
Per anni, e fino ai giorni nostri, si continuò a raccontare del miracolo del pappagallo, laggiù nella Terra-Di-Lontano-Da-Tutti.
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