Vi ricordate come erano lunghe le vacanze estive negli anni Sessanta? La scuola chiudeva all’inizio di giugno e riapriva il primo di ottobre, la televisione aveva solo un canale in bianco e nero e i bambini erano liberi, non crescevano in cattività come quelli di adesso, costretti tra nonni e centri estivi. Nelle piccole città le porte si chiudevano solo di notte, in casa c’era sempre qualcuno e un angolo di cortile ce l’avevano tutti, anche i più poveri. Il mio momento preferito era il primo pomeriggio, babbo andava a lavorare, mamma e nonna facevano un sonnellino ed io riuscivo a sgattaiolare fino al mio rifugio preferito, il cimitero. Non avevo un orologio ma in qualche misteriosa maniera sapevo sempre quando era ora di rievocarmi nel cortile di casa. Tagliavo per i campi, passavo da un buco nella recinzione, correvo dai miei amici, i gatti randagi che allora popolavano il vecchio cimitero e portavo loro in omaggio quello che a pranzo riuscivo a nascondere nel tovagliolo. Trascorrevo con loro i miei momenti più belli, finché il “quinto senso e mezzo” non mi avvertiva che era ora di correre a casa e far finta di giocare con le bambole.
Un pomeriggio non riuscii a trovare i gatti e mi spinsi a cercarli oltre la recinzione del cimitero, in quel pezzo di terra sconsacrata in cui un tempo seppellivano i suicidi. Si diceva che tra quelle tombe vagavano i fantasmi delle anime in pena, ma la logica dell’infanzia è molto rigorosa. Avevamo paura di tutte le classiche cose che spaventano i bambini, spettri, mostri, streghe e compagnia varia, ma solo col buio. Ci avevano insegnato che di giorno non c’era niente da temere, con la luce quelle creature scomparivano, quindi dov’era il problema se andavo nella “Fossa dei Perduti” a cercare i miei amici gatti? Era giorno…
In effetti li trovai tutti là, intorno a una cripta diroccata a caccia di lucertole. Avete mai visto un bambino che trova una cripta e non la va a esplorare? Ero piccola e timida, ma più curiosa di un gatto, le lucertole non mi interessavano e non potevo resistere alla tentazione. L’interno era buio e fresco e l’esplosione di caldo del primo pomeriggio estivo mi attirò verso la pietra levigata e insolitamente gelida. Onestamente non so se mi sono assopita e ho sognato, ma ricordo di essere balzata in piedi come un grillo al tocco di una mano ossuta. In quegli anni non avevamo paura dei maniaci, esistevano però non se ne poteva parlare, ma delle streghe sì, e quella mano apparteneva proprio a una signora di quella specie.
Sembrava una vecchietta innocua che va a portare i fiori sulla tomba del marito, ma aveva neri artigli ricurvi e denti aguzzi come un lupo, insomma, una strega modello classico, tipo quella che secondo mia nonna viveva nel pozzo e rapiva i bambini che si sporgevano troppo. Cercai aiuto da parte dei miei amici gatti ma erano già spariti e mi trovai da sola di fronte a quell’essere spaventoso, che diventava sempre più grande e mi teneva tra le grinfie. Scoppiai a piangere come ci si aspetta da un bambino, ma la signora mi fece presente che era inutile frignare, io ero entrata in casa sua e adesso lei si sarebbe presa la mia vita, me l’avrebbe succhiata dalle orecchie. E non scherzava, i suoi canini si stavano avvicinando pericolosamente alla mia faccia. La paura mi fece ritrovare lo spirito e mi misi a parlare a mille all’ora. “La prego signora Strega per favore sono una bambina ho solo otto anni a casa ho due bellissimi libri nuovi che non ho ancora letto ho Ivanhoe e Robinson Crusoe se vuole dopo glieli presto e poi tra poco è agosto e quest’anno mi mandano al mare con le zie la prego signora strega mi lasci vivere fino a settembre poi tornerò qui da lei lo prometto lo prometto lo prometto…” strillai senza nemmeno tirare il fiato.
La strega mi fece l’occhiolino e disse “Va bene, sei una bambina e posso lasciarti vivere fino a settembre, però ricordati la promessa”. E mi lasciò andare. Corsi a casa veloce come una lepre, ma avevo fatto tardi e la sgridata che ne seguì, unita ai due libri nuovi e alle vacanze al mare con le zie, cancellarono il ricordo dalla mia testolina.
Otto anni dopo ero una ragazzina sedicenne carina e innamorata. Avevo conosciuto un ragazzo e lo amavo con la furia e l’incoscienza che, purtroppo o per fortuna, si provano solo a quell’età. I gatti c’erano ancora, io continuavo ad andarli a trovare per fare due chiacchiere e portare loro qualche preda rubata alla cucina di mia madre, ma in quel periodo il cimitero serviva anche come rifugio per i baci e le carezze. Un pomeriggio d’inverno io e il mio ragazzo ci spingemmo oltre la recinzione, per essere al sicuro da ogni sguardo, e trovammo rifugio in quella stessa cripta. Nessuno di noi due aveva mai fatto l’amore, avevamo quasi paura a sfiorarci, ed eravamo talmente presi dalle nostre emozioni che non ci accorgemmo della mano. Il mio braccio fu afferrato da un artiglio e il mio eroico fidanzatino scappò nella nebbia e non si fece vedere mai più. La strega sogghignava e mi prendeva in giro. “Che eroe! Facevi meglio a darmi la tua vita otto anni fa, io mi sarei trovata un paladino più affidabile… Ma sei tornata, questo è l’importante. Con otto anni di ritardo, ma adesso la tua vita me la prendo io”. Ritrovai la parlantina di quella lontana estate e la pregai di nuovo di risparmiarmi e di concedermi un altro po’ di tempo, non avevo ancora visto niente, volevo conoscere il sesso, viaggiare, andare all’università… Quella volta le promisi solennemente che sarei tornata da lei una volta diventata adulta. E la strega mi lasciò andare di nuovo. Corsi a casa e mi rituffai nella mia vita, avevo tanto futuro davanti che il ricordo evaporò in una notte.
Da allora sono passati tanti anni, troppi. Il futuro è arrivato ed è passato. La giovinezza, anche. Il sesso, pure. Sono diventata adulta, poi vecchia, non posso più guardarmi allo specchio perché non riconosco quella donna spenta e triste che mi guarda, non sono io, è impossibile. Sono incatenata in un eterno presente fatto di un lavoro che detesto ma che è il mio unico mezzo di sostentamento, tra persone a cui darei fuoco col lanciafiamme, e non ho un futuro se non di povertà e di malattia. Guardandomi allo specchio mi è tornata in mente la vecchia strega del cimitero, sono diventata uguale a lei, e ho cominciato a riflettere sull’interessante offerta che mi aveva fatto per ben due volte. Chissà, e se fosse stata ancora interessata all’articolo? Da tempo non andavo più al cimitero, i gatti erano scomparsi e l’edificio era stato ristrutturato, però la “Fossa dei perduti”, il terreno sconsacrato e la vecchia cripta erano ancora lì. Mentre mi avvicinavo il cuore mi scoppiava in gola, ricordavo l’estate di quando ero una bambina, l’inverno di quando ero una bella adolescente innamorata, e mi pentivo di non aver mantenuto la mia promessa. Nemmeno la vecchia strega sarebbe più stata lì ad aspettarmi, che cosa se ne poteva fare di una vita come la mia?
“Esatto cara, è così”. L’ho sentita arrivare come un soffio gelido e l’ho rivista sempre uguale a sé stessa, e ora anche a me. “Vedi? Non hai voluto darmi la tua vita quando valeva qualcosa, e pretendi che io l’accetti adesso? Quando non è più vita ma morte lenta? No grazie, sto bene così” e mi ha sbattuto la porta della cripta in faccia. Lo sapevo, era troppo tardi, una vita non è più appetibile nemmeno per una vecchia strega se non ha futuro né speranza. Mi sono raggomitolata davanti alla cripta e ho aspettato la notte, faceva freddo, pioveva, ma non ce la facevo a tornare al mio orrore quotidiano. Preferivo il cimitero. Credo di essermi assopita, finché nel buio ho sentito una mano gelida che mi sfiorava. “Dai stupida, vieni dentro”.
Da allora vivo lì, con la vecchia strega. Siamo diventate amiche, la cripta è abbastanza comoda e ogni tanto qualche gatto del vicinato mi viene a trovare e facciamo due chiacchiere. La strega è simpatica e dopo quello che le ho raccontato non ha più nessuna voglia di rubare la vita agli umani. Stiamo pensando che tutto sommato in questo cimitero non ci manca niente.
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