Anni Sessanta, la cucina di una famiglia operaia. L’unica stanza riscaldata della casa, dove si cena alle sei e mezza perché il babbo esce dalla fabbrica alle sei. Una bambina malinconica e magra come un chiodo, che quando sente sbattere la porta prova una stretta alla bocca dello stomaco. La sera è il momento più brutto della giornata. Peggio della mattina, con la mappazza di pane e latte da ingollare prima di andare a scuola, peggio della scuola, con la maestra che scorre i nomi sul registro prima di chiamare alla lavagna, peggio del pranzo, perché almeno, quando la scuola finisce, c’è solo la mamma a sbraitare, peggio del pomeriggio a fare i compiti in quell’unica stanza riscaldata, con le poesie da mandare a memoria in mezzo alle donne che cuciono e fanno le gare di disgrazie.
La cena è il top del peggio. Il babbo arriva a casa coi nervi maciullati da una giornata in quella che lui chiama galera, è stanco e incazzato, non vuol sentire rumore ma nemmeno vedere i musi lunghi, e basta una smorfia per guadagnarsi un calcio ben assestato sul sedere. A tavola la conversazione rimbalza tra i soldi che non bastano, i conti da pagare e le angherie di capi e capetti, con quell’intercalare rivolto proprio alla bambina. “Mangia il pane”. “Bisogna comprare il carbone – mangia il pane – sono finite le mele – mangia il pane – mia sorella mi ha dato un paio di scarpe ancora buone – mangia il pane – stai dritta con la schiena e mangia il pane”. Nel piatto c’è la Suola da Scarpe, altrimenti detta fettina, da mangiare tutta perché costa tanto e la compriamo solo per te. La bambina lo sa già come va a finire, sono dieci minuti che mastica quel bolo stopposo e quando la forzano a cacciare in bocca anche un pezzo di pane, non ce la fa più e vomita. Come tutte le sere.
E come tutte le mattine a colazione, del resto, e anche a pranzo. Ma la mattina e a mezzogiorno c’è solo la mamma, che le allunga uno dei suoi ceffoni secchi, con quelle dita scheletriche e ossute, che lasciano tre segni sulla guancia. La sera invece il babbo molla certi tozzoni sulla nuca che sembra di sentire le ultime vertebre uscire sparate fuori dalla gola insieme al vomito. Ma il calvario è quasi finito, per punizione la mandano a letto subito, prima di Carosello, così ha la scusa per sparire. Sparire è il suo sogno segreto. Diventare invisibile, scappare dalla vita degli adulti e vivere come un piccolo clandestino tra il solaio, le cantine, le cucce dei cani e il pollaio della nonna. Andare a letto è la cosa che ci somiglia di più, e la sera non vede l’ora di rannicchiarsi sotto alle coperte e inventare mondi fantastici.
La mamma la mette a letto tra le solite rampogne. Tutte le sere la stessa storia, questa è la riconoscenza per tutto quello che facciamo per te, io alla tua età lavoravo già in campagna, guarda che se poi non mangi ti porto dal dottore che ti dà le punture. Va bene mamma, basta che spegni la luce e te ne vai, così nella testa ricomincia il suo film, la vita parallela che si inventa in attesa di crescere. Quella sera dalle storie al sonno è un attimo, e quando la bambina si sveglia non capisce. Si trova nella cucina di Nonna Mu. Come ha fatto? Le due case sono attaccate, ma non ci sono porte di comunicazione… Adesso ha capito, sta sognando. La televisione è accesa e intorno alla tavola, con la nonna, ci sono gli zii e le zie più giovani, e le cugine. Aspettano che il nonno vada a ubriacarsi all’osteria e poi tirano fuori gli effetti speciali. Nonna Mu ha arrostito le castagne e le tiene in un grosso fagotto nel suo ampio grembo, le sbuccia e le appoggia sul tavolo, da dove i ragazzi le raccolgono al volo. Ci bevono dietro la cagnina, un vino rosso e dolcissimo che piace anche ai bambini, e ridono alle barzellette che racconta lo zio Vanni.
Vanni è lo zio preferito, è ancora un ragazzino e fa giocare i nipoti, compra il gelato e i fumetti e con lui si fa sempre qualcosa che fa arrabbiare le mamme. Alcune barzellette non le capisce, ma devono essere veramente uno spasso se le zie rischiano di soffocare ogni volta che mettono in bocca una castagna, e dopo ci devono bere sopra un sorso di Cagnina. Siccome è un sogno nessuno la vede, così divora tutte le castagne su cui riesce a mettere le mani e beve anche dai loro bicchieri, e la nonna dice “Oh burdèl, stasira ai’avì propi fam…” ma le castagne sembrano sgorgare inesauribili dal suo grembo caldo e immenso. Quando comincia il film stanno tutti zitti, la romantica storia dell’infelice principessa Anastasija li incolla al minuscolo schermo in bianco e nero, e tutti insieme danno fondo alle castagne e al vino e si commuovono per la misteriosa vicenda della giovane smemorata fuggita dal manicomio. Però non possono vedere la fine: nonna Mu e gli zii sentono il nonno che rientra e in un lampo sparecchiano la tavola, spengono il televisore e si precipitano a letto per non incontrarlo. Nonna Mu farà finta di dormire, come sempre, anche se ormai non ce n’è più bisogno, lui arriva a casa talmente ubriaco che a fatica trova il letto, ma dopo che le ha fatto fare sette figli, anche lei vorrebbe sparire.
Adesso la bambina deve ritornare nella casa dei suoi genitori, ma forse è facile, in sogno uno può fare quello che vuole, e lei prova ad appoggiare le mani sul muro di confine. In un attimo è già di là, e siccome sta sognando ed è invisibile, sgattaiola nella cucina dei suoi e riesce a vedere la fine del film, così domani la racconterà a Nonna Mu. Però la mattina dopo, quando la mamma la sveglia, lei ha sonno, la sera prima ha bevuto troppa cagnina e non riesce ad alzarsi. Così sogna di rimanere a letto e di far alzare soltanto il suo corpo. E ci riesce. Con immenso stupore, vede se stessa che si alza, si lava, si veste, fa colazione e vomita come tutte le mattine.
La bambina del sogno si sveglia che è quasi mezzogiorno e riprova il trucco del muro. Lo oltrepassa come se fosse una tenda e si raggomitola vicino alla nonna che sta facendo la piadina, e che dà la colpa ai figli se appena tolta dalla teglia, le sparisce. Con la piadina si fa fuori anche la mortadella, poi una mezza ciambella, e va a digerire nel letto della nonna, con i gatti che le dormono addosso e che sembrano gli unici in grado di vederla. Il pomeriggio trascorre pigro finché non sente che è ora di far merenda, così ruba un altro po’ di biscotti a Nonna Mu e fa un salto a casa dei suoi genitori per vedere come butta.
Niente di nuovo. Il suo corpo visibile sta facendo i compiti nella cucina piena di donne che cuciono con la mamma e raccontano dell’ennesima scarica di botte prese dal marito. La bambina del sogno scappa, ogni volta che ascolta queste storie le passa la voglia di crescere e si rifugia di nuovo a casa di Nonna Mu; però stavolta il nonno è in casa, non ci sono gli zii per difenderla, e deve assistere a una di quelle scene che la terrorizzano, il viso dolce e tenero della nonna ferito da un pugno. Meglio andare di sotto, nelle cucce dei cani, e aspettare che, come la sera prima, si faccia l’ora dell’osteria e la nonna con gli zii possano godere del loro momento di pace.
Le giornate passano così, tra il solaio, la cantina, la cuccia dei cani e la sera nella cucina di Nonna Mu. Ogni tanto va a vedere come sta il suo corpo visibile e lo vede ridotto sempre peggio; è magro come uno scheletro, vomita tutto quello che mangia, e deperisce, mentre lei si abbuffa coi dolci e le sfoglie di Nonna Mu e si fa coccolare dagli animali. Quando arriva l’estate, a casa dei suoi non ci va più. Di giorno è bello dormire al fresco della cantina e leggere i fumetti che porta a casa lo zio, e la sera, quando il nonno va all’osteria, in cortile si aprono le sedie a sdraio, si gioca a carte e si ride a quelle barzellette che ormai capisce anche lei. E poi arriva sempre qualcuno col gelato. Della casa dei suoi genitori, anche se è confinante, non vede mai nessuno.
Ha sentito dire che il suo corpo visibile è all’ospedale. Si sente un po’ in colpa, perché non le ha mai fatto nemmeno un po’ di compagnia, e le viene il sospetto che sia deperita anche perché lei le ha portato via i sogni. L’ha divisa in due: si è tenuta la fantasia, le storie, i film girati nella testa, e all’altra ha lasciato la fettina, la tristezza dei pasti, le rampogne dei genitori e le poesie da imparare a memoria. Si ripromette di rimediare, quando tornerà a casa dall’ospedale, ma ogni giorno si sveglia sempre un po’ più sbiadita. Si guarda le mani e le vede impallidire, passa davanti agli specchi e fa fatica a individuare la propria immagine riflessa, che pure, fino a quel momento, lei e lei sola era in grado di vedere. E ha freddo, anche se è luglio. Poi un giorno Nonna Mu e gli zii si vestono di nero e vanno in chiesa, c’è un funerale. Piangono per la nipote morta, ma la bambina del sogno non ha capito chi è morto e va con loro, anche perché le fa tristezza rimanere in casa da sola, col nonno ubriaco.
Quando entra in chiesa, stretta a Nonna Mu, vede i suoi genitori chini accanto a una bara bianca, di quelle dove di solito si seppelliscono i bambini. Si fa coraggio e si avvicina, vuole vedere chi è morto, anche se ormai lo ha capito. E infatti, quando si sporge sul feretro, la vede: è lei, il corpo visibile che ha abbandonato. E che non l’ha perdonata: gli occhi chiusi si spalancano e il corpicino esanime, vestito con l’abito della prima comunione, solleva una mano, la afferra per un polso e la tira dentro alla bara. Si sente risucchiare nel corpo morto e freddo e capisce che entrambe hanno cominciato a morire nel momento in cui lo squallore e la tristezza della vita quotidiana sono state private della linfa del sogno. Come una pianta che muore senza l’acqua e la luce. La bambina del sogno adesso sa che, dopo il suo corpo esteriore, sta sparendo anche ciò che lei chiamava “io”, e dopo che questo “io” sarà completamente scomparso, non rimarrà nulla se non il freddo e il vuoto della solitudine e dell’abbandono.
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