– racconto di Mauro Cristofani –
-La mia faccia ha forma di spavento.
-Maestro, ma tu sei creatore di bellezza e un mito senza eguali!
-Sono solo un pover’uomo, e come un qualsiasi uomo ho problemi, inibizioni, desideri repressi e inconfessati.
È smarrito e devastato dalla solitudine, da un’infelicità senza fine. Un artista che ha ottenuto la massima gloria, ma vivendo nella condizione esistenziale più triste e disperata.
Assetato d’amore e affamato di bellezza, come un recluso vive col fedele Baccino che s’aggira come un’ombra in queste stanze oscure di Macel de’ Corvi.
-La mia infanzia è stata molto triste…
Il maestro ora ha voglia di aprirsi, e lo fa guardandomi finalmente con benevolenza.
-Mia madre morì quando avevo sei anni, di lei non ricordo quasi niente. Mio padre… Mio padre Lodovico era un piccolo uomo insignificante e meschino, abbrutito dall’avarizia e dalla sete di denaro. Ho cercato sempre di rispettarlo, tuttavia. E gli altri componenti della mia famiglia, del resto, erano tutti poco dignitosi, interessati solo al possesso della “roba”.
-Tanti sono coloro che ti amano, che possono riempire questi tuoi vuoti affettivi.
-Mi stanno appresso per loro tornaconto, o si contentano di vivere nel mio riflesso…
Pronuncia queste parole a voce bassa, per non farsi sentire da Baccino.
-Anche Tommaso de’ Cavalieri?
Nei suoi occhi saetta un lampo improvviso, il suo viso s’illumina.
-L’ho conosciuto durante i lavori per la Sistina, grazie a un mio aiutante che me lo ha presentato come artista… Mi apparve come un angelo salvatore, una luce per il nostro secolo, e io vecchio e brutto ne fui tutto illuminato.
-Ho avuto la fortuna di conoscerlo, è un giovane nobile e bello, e mi dicono di eccellente ingegno.
-Ha soli diciotto anni, io malinconico vecchio di sessanta… Sono per lui il maestro che lo avvia al disegno, e io lo amo come un ideale di bellezza.
-I disegni che gli hai donato hanno suscitato grande meraviglia in chi come me ha potuto ammirarli. Il mio preferito è quello in cui appare la cascata del carro del Sole con Fetonte nel Po, ma sono bellissimi anche quello con Ganimede rapito in cielo dall’uccello di Giove e quello con un Tizio con l’avvoltoio che gli mangia il cuore. E poi quel cartone grande in cui hai ritratto Tommaso al naturale, l’unico in cui hai curato la precisa somiglianza…
-Ho sempre aborrito il fare somigliare il vivo, se non era d’infinita bellezza.
Michelangelo sa che io sono amico di Tommaso, ma non sa che Tommaso m’ha mostrato le sue lettere. “Non credo che voi crediate che io abbia dimenticato o possa dimenticare il cibo di che io vivo, che non è altro che il nome vostro”, gli scrive. Concetto ribadito così in un’altra lettera: “Chi ama ha grandissima memoria, e può tanto dimenticare le cose che nervosamente ama, quant’uno affamato il cibo di che egli vive”. Quando a Tommaso si rivolge come ad “unica luce al mondo che non ha pari né simile a sé”, allora Michelangelo sembra perdere il senso della misura.
Il nome evocatore di Tommaso pervade di turbamento il viso del Maestro, stravolto da pensieri e sensazioni.
-Sì… Tommaso rappresenta il mio ideale di bellezza e io l’ho posto sull’altare della poesia.
-Ma non puoi stringerlo a te, baciargli le labbra…
Ha un sussulto improvviso, come fosse stato colpito al cuore da una freccia scagliata a bruciapelo.
-Quando scolpisco il viso di una statua, anche se meraviglioso non lo bacio mai.
La frase è pronunciata come fosse un epitaffio, una verità che non ammette repliche.
Lascio la casa di Macel de’ Corvi, percorro i Fori Imperiali e ancora una volta mi fermo ad ammirare la colonna di Traiano, pensando a Michelangelo chiuso in quelle stanze e nella sua solitudine.
(Michelangelo: Ritratto di Tommaso de’ Cavalieri)
Si ringrazia Micaela Lazzari per l’editing.
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