– racconto e illustrazioni di Mauro Cristofani –
Anch’io avevo l’onore e il piacere di partecipare alle riunioni nel salotto di via dei Colli. Sugli eleganti divani tappezzati di blu-verde si adagiavano comodamente i più bei nomi della Torino colta del tempo, dai poeti Vallini e Giannelli ai letterati Calcaterra e Pastonchi, fino a giornalisti rinomati come Bassi e Vugliano. Su tutti, presiedeva la bella e affascinante padrona di casa, la poetessa Amalia Guglielminetti.
Nell’aprile del 1907, Amalia pubblicò Le vergini folli, una raccolta di versi che le diede la notorietà e la gloria; in quello stesso mese, uscì La via del rifugio, con le poesie di Guido Gozzano, che ebbe un successo anche maggiore e portò alla ribalta il giovane poeta torinese. Amalia e Guido si scambiarono i due libri pubblicati, e fu così che nacque la loro turbinosa vicenda.
“Ho ritrovato fra le pagine del suo libro un poco di quella fraternità spirituale che la Sua offerta mi rivela…” scrive Amalia al giovane biondo ed elegante, dal viso reso pallido dalla tisi che proprio in quell’anno gli s’era manifestata. E lui: “La degna ghirlanda di sonetti che Ella ha saputo foggiare Le dà il primissimo posto fra gli ingegni di più belle speranze. Cara Signorina, la Sua è un’opera che conduce il lettore attraverso i gironi di quell’inferno luminoso che si chiama verginità…”.
Essendo il confidente preferito di Amalia, di questo amore potei seguirne gli stordimenti e le numerose ambasce che ne fecero una delle vicende più appassionanti dell’epoca.
– Egli sta poco bene, ha sintomi d’un male grave – un giorno la mia amica m’annuncia tristemente.
– Mi spiace, mia cara – mormoro io accorato, stringendo affettuosamente la sua mano. – Un tenero sentimento sta per nascere fra di voi e una nuvola nera già lo insidia.
Amalia cerca di distrarsi da quell’amore che la fa soffrire. Fa lunghe passeggiate al Valentino, accetta inviti a riunioni conviviali, passa i pomeriggi alle corse… Si annoia mortalmente; il suo spirito assetato d’amore e di romanticismo ha bisogno della parola dell’affascinante giovane biondo.
Finalmente, alla fine dell’estate, Amalia e Guido s’incontrano ad Agliè, nella villa del poeta.
– Mi troverete ben poco seducente – dice Amalia civettuola. – Ma non c’è niente che imbruttisca una donna quanto un viaggio in ferrovia, anche breve.
– La vostra bellezza! Sapete, la temevo molto…
Si perdono l’uno negli occhi dell’altra, intrecciano le mani nelle mani restando silenziosi. Poi, seduti su una panchina del Meleto, iniziano le confidenze.
– Mio dolce amico, in fondo non sono mai stata amata, sapete! Desiderata sì, qualche volta, destando anche ardori d’impura sensualità…
Sospirando, passa sugli occhi una delle sue belle mani. Sono vicinissimi, tanto che potrebbero sfiorarsi. È un momento interminabile in cui sono travolti da un sogno carico d’intensissime emozioni.
– Amalia, mia cara Amalia – dice infine Guido con voce spezzata, – sono solo, e l’unico superstite qui al Meleto. Mio fratello è in collegio e mia madre è via da più settimane, io sono qui con l’ultime foglie. Le voglio vedere cader tutte prima di “inurbarmi”: e ce ne sono ancora tante nel frutteto!
– L’autunno è bello anche a Torino e in certi viali gialli rossi e verdi – replica lei con sorriso mesto. – Io passeggio sulle foglie secche e fruscianti e penso talvolta a un compagno ideale, come voi, col quale scambiare qualche parola tra i passi lenti…
Amalia vorrebbe incontrarlo ancora, ma il poeta sfugge ai suoi richiami ed ella si dispera. Un giorno la trovo piangente, un pianto lungo e sconsolato che pare senza fine. Quando prendo le sue mani fra le mie, ella d’improvviso mi guarda come non aveva fatto mai, porgendomi la bocca.
Sono da sempre innamorato di lei, un amore che so senza speranza, e il bacio inatteso mi coglie impreparato e col cuore in tumulto. Un bacio casto ma lunghissimo, con le labbra premute sulle labbra, i visi confusi fra le lacrime. Ma il suo non è un bacio d’amore, so bene che in me bacia l’altro lontano, l’altro che le appare quasi irraggiungibile.
Quando si ritrae, il suo sguardo è sperduto, gli occhi asciutti, la bella bocca sfregiata da una piega amara.
Nella mia vita futura, quel bacio non l’avrei mai più dimenticato. In futuro avrebbe condizionato per sempre la mia vita amorosa rendendomi insensibile e frigido con tutte le altre donne.
“Non mi sfuggite, Guido, venite da me senza indugio” scrive Amalia al poeta chiedendogli un appuntamento. Ma invano l’attende.
– Il foglietto che mi portava le sue scuse non ha potuto consolarmi! – mi dice poi sfogando la sua amarezza. – Ho errato nei viali per quasi un’ora, provando una pietà ironica e aspra per me stessa, per il mio orgoglio, per questo inatteso colpo che si aggiunge a tutti quelli grandi e piccoli che nella vita ho ricevuto nel silenzio.
– Ed è ancora il silenzio che devi scegliere, amica mia – replico io con slancio. – Non devi amareggiarlo con la tua amarezza!
– Ma non è possibile che mi sfugga così, senza poterci guardare negli occhi per spiegarci, chiarire…
Amalia è desolata ma soprattutto umiliata, sa che sta mostrando la sua vulnerabilità ed orgogliosa cerca di nascondere il viso per sfuggire al mio sguardo.
“Venite! Lasceremo solo le nostre anime un poco vicine e le nostre mani un poco congiunte prima di lasciarci. Ci guarderemo muti, Voi poserete la testa sulla mia spalla e resteremo a lungo così, prima di dirci addio”.
Ma questa lettera di Amalia giunse al poeta quand’egli si trovava già in una località della marina ligure, nel tentativo di trovare sollievo al mal sottile che lo stava consumando.
“Povera Amica” le risponde, “ ho il mare dinnanzi e Voi non ci siete più. Ho racchiuso fra le pagine del libro che sto leggendo la vostra effige pensosa. Voglio guarire! La vita è ancora bella, per chi ha la scaltrezza di non prendervi parte, di salvarsi in tempo. Per questo io benedico il mio male, che mi impone questo esilio della persona e dell’anima. Sotto questo cielo aperto, dinnanzi a questo mare senza confini… sono felice!”.
Amalia è adesso una donna disperata.
– Siamo lontani d’anima e di corpo – mi dice un giorno, con un’espressione dura e gli occhi asciutti. – Sento che mi sta dimenticando.
Nel marzo successivo Guido è nuovamente a Torino. Le scrive: “È necessario non rivederci più. Addio mia buona amica, da un legame come il nostro deve balzare qualche cosa di più degno che non la sentimentalità meschina di piccoli amanti”.
– Perché, perché si diverte a farmi disperare – si sfoga Amalia, – perché mi fa rimpiangere quel poco che gli ho dato di me?
Ma non ha più lacrime, e le scopro un’espressione dura che non le conoscevo.
– Non vuoi vedere l’amara verità, egli non t’ama! – dico stringendo il pugno, impotente. Non so che farei per distoglierla dai suoi pensieri laceranti e autodistruttivi.
– E dobbiamo seguirci così, da lontano come due estranei – singulta lei con gli occhi asciutti, – e magari ritrovarci quando i nostri capelli non saranno più tanto bruni e le nostre bocche saranno riarse da amori spenti? Dimmi, dimmi, mi dovrei rassegnare a tutto questo?…
È inconsolabile, e io che non posso avere alcun diritto su di lei devo reprimere l’istinto di stringerla a me, per trasmetterle tutto il mio calore. La mia passione troppo a lungo soffocata potrebbe investirla come un’onda così calda che le farebbe dimenticare l’infelice amore e abbandonarsi a me…
Ma resto a guardarla torcersi e dilaniarsi, e soffro in silenzio.
Poi una lettera di Guido, parole definitive e necessarie.
“Quanti sogni! Io li ho sognati tutti. Ma resterò lontano, solo, con la mia ambizione taciturna: una compagna ben più crudele della tua malinconia… Perdonami. Ragiono, perché non amo: questa è la grande verità. Io non t’ho amata mai. Addio, mia buona amica”.
I due amanti si incontreranno un’ultima volta a Castellamonte. Un incontro forse più immaginario che reale e un bacio forse solo sognato. Nella poesia Il gioco del silenzio, Gozzano stesso si domanderà
Non so se veramente fu vissuto
quel giorno della prima primavera…
Giocosa amica, il tempo vola, invola
ogni promessa. Dissipò coi baci
le tue parole tenere fugaci…
Non quel silenzio. Nel ricordo, sola
restò la bocca che non diè parola,
la bocca che tacendo disse: Taci!…
Si ringrazia Micaela Lazzari per l’editing
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Grazie, Mauro, finalmente ci ha di nuovo regalato uno scritto emozionante ed efficacemente evocativo di questi due importanti personaggi. Mentre si legge veniamo coinvolti da questa storia bella e triste nello stesso tempo, dal loro incontro…….grazie Piergiorgio