Il mio nome è Odisseo.
Questo nome, Odisseo, non ha un preciso significato nella lingua della mia terra ma nella Caria, la regione molto lontana a oriente, da cui si narra che giunsero i miei antenati in tempi remoti, può significare sia colui che odia, sia colui che è odiato.
Il primo dei significati è lontano dalla mia indole. Conosco bene l’odio ma non sono particolarmente incline a odiare. In quanto a essere odiato, non spetta a me parlarne. Grazie a un mio piano, una fiorente e splendida civiltà è perita nel fuoco e certamente questa distruzione non mi pone tra quelli che hanno fatto il bene dell’umanità.
Non so se questo destino che mi aspettava abbia influenzato, per volere degli dei, mio padre Laerte e mia madre Anticlea, quando scelsero il nome che mi avrebbe accompagnato nella mia vita.
Mio padre Laerte fu uno degli Argonauti, seguì Giasone in Colchide alla conquista del vello d’oro.
A proposito dell’odio debbo ripetere che non sono incline a odiare, attitudine che mi dovrebbe rendere meritevole agli occhi degli dei, se non fosse che questa mia indole presenta un’altra faccia: non sono nemmeno molto incline ad amare.
Naturalmente pure io possiedo nella mia anima i sentimenti di odio e di amore ma sono parco nel concedermeli. E ho sempre osservato, con stupore e diffidenza, gli altri uomini accendersi di grandi rabbie improvvise e di passioni struggenti che a me erano negate. E questo mi ha reso, a volte, inviso ai miei stessi compagni, che sospettavano di questa mia freddezza che loro giudicavano così poco umana.
Di certo si sarebbero sentiti rassicurati se io fossi stato più incline alle loro stesse debolezze.
Davanti a qualsiasi situazione io ho sempre anteposto la ragione al cuore. Prima di avvamparmi di ira o di sgomentarmi, davanti a un avvenimento non previsto e non gradito, io, Odisseo, ho sempre istintivamente cercato di capire come fosse possibile che questo avvenimento si fosse verificato e come potevo risolvere tutto col minor danno possibile.
La fama che mi ha sempre accompagnato, la convinzione negli altri che io fossi una persona particolarmente astuta, quando magari ero solo una persona che rifletteva di più… e spesso nelle loro menti era sottile il confine tra astuzia e slealtà… ha creato di me un’immagine che io non ho mai cercato di correggere, che non mi importava di correggere.
Io ero, per i miei compagni, una persona da rispettare e temere, ma non l’uomo giusto da invitare a ubriacarsi intorno al fuoco, bevendo misto ad acqua fredda o tiepida – solo i barbari lo bevono puro – il vino di Chio o di Thasio o di Lesbo o il più buono di tutti, il nettare prodotto a Nasso.
Io sono nato e vivo ancora oggi in una verde isola chiamata Itaca di cui sono il re. Una piccola isola con poche spiagge e monti che cominciano dal mare.
La mia isola si estende in lunghezza e si restringe nella parte centrale e in quel punto basta poco tempo per passare da una spiaggia a quella sul lato opposto. Ho vissuto in quest’isola fino ai miei 25 anni, poi mi sono allontanato seguendo, con i miei uomini, il grande esercito acheo che andava a combattere proprio nella terra da cui erano giunti i miei avi.
Andavamo a combattere una grande città di nome Troia, per riprenderci una donna di nome Elena.
Un lungo viaggio causato da sentimenti che, debbo ammetterlo, mi incuriosivano ma che non riuscivo a immaginarmi legati alla mia persona.
La passione che aveva spinto Paride a rapire Elena e la rabbia rancorosa che aveva soffiato così forte nelle vele di Agamennone e Menelao, da indurli a sconvolgere il mondo per la donna che aveva deciso di abbandonare Sparta per seguire il suo amore.
La guerra contro Troia fu una combinazione di due sentimenti, l’ira che alimentava il desiderio di rivalsa, che in realtà non condividevo… che senso ha andare a riprendersi una donna che ti ha volutamente abbandonato… e poi averla davanti, una volta ripresa, a ricordarti ogni giorno il suo abbandono per un altro uomo… e il senso dell’onore offeso, un sentimento che potevo capire e accettare ma davanti al quale se l’offesa fosse stata recata a me, avrei, come al mio solito, riflettuto a lungo invece di chiamare subito a raccolta i popoli fratelli e cominciare una guerra così grande.
Ma nonostante le mie convinzioni, partii lo stesso per Troia perché così il mio onore esigeva e senza l’onore, soprattutto agli occhi di noi stessi, noi uomini saremmo poca cosa.
Come ho detto la mia è una piccola isola, così già mi appariva negli anni della mia giovinezza e ancora più piccola mi appare oggi che ho tanto viaggiato e conosciuto terre molto più grandi e molto lontane.
Spesso, al calare del carro del dio Sole, scendo da solo su una spiaggia che si apre sul mare sconfinato, la spiaggia a occidente dove non è possibile vedere le isole vicine e considero la possibilità di riprendere la mia rotta verso luoghi ancora sconosciuti.
Probabilmente questo è il mio destino e dovrò decidere prima di essere troppo vecchio per affrontare il viaggio.
Ma per piccola che sia, Itaca è sempre stata nel mio cuore. Ho sempre amato i suoi boschi, pieni di ruscelli dalla dolce musica e gli struggenti tramonti che la mia isola offre. Mille piccoli luoghi in questa mia terra mi ricordano mille momenti della mia vita. Sì, io amo Itaca, anche se forse la lascerò di nuovo.
Ma quel mattino di tanti anni fa, quando con le mie quindici navi l’abbandonavo, non sentivo melanconia nel mio animo. Non bramavo particolarmente la gloria in guerra ma ero eccitato dal pensiero dei luoghi sconosciuti che avrei visto, dalle nuove persone che avrei incontrato, ero lieto di partire perché partire voleva dire conoscere e la conoscenza veniva in quel momento – ma così sarebbe stato per tutta la mia vita – prima di tutto. Anche prima della mia sposa Penelope e di mio figlio Telemaco, che lasciavo ancora bambino. E di Laerte e Anticlea che mi avevano dato la vita e mi avevano benedetto quando ero salito sulla mia nave.
E poi non pensavo che sarei stato lontano per tanti anni come poi avvenne.
Da IL MIO NOME È ODISSEO inedito.
Si ringrazia per l’editing Benedetta Volonté
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