Un dandy nel fango

 

racconto e illustrazioni di Mauro Cristofani

 

-Amico mio, sapessi che gioia ritrovarmi a Parigi!

Mi chiama amico e ci conosciamo solo da un’ora. Ho sentito tanto parlare di lui, chi non ne ha sentito parlare negli ultimi tempi. Ora è nei guai ma è stato un famoso poeta e narratore, invidiato e ammirato. Anche a me piace scrivere, se avessi avuto un po’ di soldi mi sarei comprato tanti libri li avrei letti tutti e poi ne avrei scritti altrettanti, invece di buttarmi per qualche spicciolo sui boulevards.

Angelo caduto-Quanto tempo sei stato in gattabuia?

-Mon beau garçon… parliamo d’altro.

-Scommetto che il soggiorno lì t’ha fatto passare la voglia di scopare coi ragazzi!

-Mon cher i patrioti incarcerati perché amavano la patria amano la patria, i poeti incarcerati perché amavano i ragazzi amano i ragazzi. Modificare la mia vita sarebbe equivalso ad ammettere che l’amore uraniano è ignobile. Per me è nobile, più nobile di altre forme d’amore.

Caspita che parole! Quest’omaccione m’aveva infastidito colle sue moine ma ora mi sta diventando simpatico.

-Bravo, la penso anch’io così. Io mi chiamo Maurice, Maurice Gilbert. Anche mio padre è inglese come te. Mia madre invece è francese, ma non la vedo mai.

-Hai dei beaux yeux dear boy, perciò il tuo animo dev’esser buono.

 

Ci rivediamo la stessa sera al Chameleon, una bettola dove ci si può sbronzare per pochi franchi e dove tutti si professano tuoi amici. Però guai a non rispettare certe regole, c’è il rischio di trovarsi una lama puntata alla gola.

-Andiamo a giocare a biglie?

-Ma no, sono troppo vecchio per questi giochi.

-Io sono troppo giovane per cominciare!

-La tua giovinezza è splendida.

-Facciamo una partita a bezique… A meno che non vuoi tornare all’Hotel de Nice per scrivere!

-No, la gioia di vivere se n’è andata e quella, con la forza di volontà, è la base dell’arte. Ora io sono soltanto un qualsiasi Monsieur Melmoth, abito in una sporca lurida stanza d’albergo con una carta da parati disgustosa. Ogni sera prima d’addormentarmi la guardo con orrore e penso che uno di noi due dovrebbe scomparire.

 

Due giorni dopo ricevo da lui questo biglietto: “Ho avuto un orrido incidente in un fiacre e mi sono fatto un terribile taglio alla bocca. Puoi venire a trovarmi oggi pomeriggio? Mi sono trasferito all’Hotel d’Alsace, stessa strada ma è molto più pulito”.

scanner184Ci vado, e porto con me Edmond, l’elegantone del nostro gruppo che dirige con gran successo una piccola banda di briganti. Anche lui ha ambizioni letterarie e ha cominciato a scrivere un libro che s’intitola Les Chevaliers du Boulevard.

Appena lo sa, l’inglese si spertica a complimentarlo e lo esorta a finirlo di scrivere.

-Eh, se non ci fosse Florifer! Quello lì non lo lascia mai in pace – dico io.

Edmond annuisce con una smorfia strana di ostentato fastidio, ma più di compiacimento.

-Chi è questo Florifer?

-È un piccolo delinquente di quattordic’anni che vende mazzi di viole davanti al Café de la Paix, ogni volta che va a casa con lui cerca di ricattarlo! Mantiene a sua volta un ragazzino di dodici anni, ha sempre bisogno di soldi e commetterebbe qualunque bassezza per procurarseli.

-Questo naturalmente aumenterà il suo terribile fascino.

-A me non interessa, sai quanti ce ne sono meglio di lui – fa Edmond aggiustandosi il ciuffo ricciuto. – Ma che ci posso fare se lui è pazzo di me?

Quella sortita mi irrita, provo una stizzosa gelosia e l’inglese se ne accorge.

-Maurice mon petit, non adirarti! Questa piega amara distorce la tua bocca fatta per i baci. Il tuo labbro superiore è più simile a una foglia di rosa di qualunque foglia di rosa io abbia mai visto.

 

Io e l’inglese frequentiamo caffè di battuage come Pousset, dove incontriamo artisti sconosciuti scribacchini falliti e le solite marchette in cerca d’un pollo da spennare, intrecciamo discorsi senza senso e inutili parole sulla vita. Pranziamo in ristoranti modesti come Corolle per due o tre franchi, che ci riempiono lo stomaco ma che ci procurano spesso mal di pancia. A volte ci aggiriamo per il Quatiere Latino sotto l’ala d’un poeta, parliamo d’arte e il mio amico s’anima e declama versi incurante della derisione dei passanti.

-Amico mio, non la felicità ma il piacere! – ama ripetere. – Il piacere è la sola cosa per cui si dovrebbe vivere, e niente fa invecchiare più della felicità.

Un giorno mi trascina al Salon e poiché l’arte moderna ha un effetto mortificante su di me e mi fa diventare triste, mi prendo la rivincita e lo porto al Fore aux Invalides, dove vinco un bellissimo coltello. Hurrà lo agito in aria poi mi diverto a farglielo roteare intorno al viso finché lui esasperato si mette a piagnucolare implorandomi di smetterla, poveraccio quand’è così fa davvero pena.

I rari giorni in cui non riceviamo i soliti attacchi d’indigenza ci concediamo il lusso d’un pranzetto al Café des Étrangères. Poi a notte fonda il mio amico mi fa entrare di soppiatto in camera sua e mentre facciamo sesso ànsima su di me e ridiventa poeta, sussurrando frasi dolci e ricercate.

-Il tuo aspetto è simile a un narciso, il narciso più odoroso di un giardino… I petali di rosa rossa che sono le tue labbra sono fatti per la follia dei baci in cui mi piace perdermi… Sei una creatura di grazia e beltà e averti fra le mie braccia è il sogno che ho sognato.

Mi riprometto sempre di scriverle per poterle utilizzare quando diventerò anch’io letterato, ma poi il mattino dopo penso solo a mangiare e dimentico di farlo.

 

Sto diventando geloso.

-Ti sei messo in testa di prendere stanze non ammobiliate per poter ricevere i ragazzi.

-Non essere ingiusto e scortese, Maurice. Non le prendo allo scopo di darmi ai bagordi, ma perché non voglio essere disturbato. Se Edmond viene a trovarmi all’ora del tè non voglio che il proprietario mi interroghi sulle sue condizioni sociali!

-Edmond e tutti gli altri…

-Mon cher, i ragazzi si possono avere dappertutto. La difficoltà in cui mi trovo è il mio nome, la mia personalità. Dalle stanze ammobiliate potrebbero praticamente scacciarmi con un attimo di preavviso, mentre nel non ammobiliato sono padrone di me stesso!

 

scanner166Certi pomeriggi li passiamo alle corse suburbane e lui mi dice che vinco sempre perché sono un figlio del Sole.

-Malgrado le scommesse e il tuo fiutare il vincente le curve della tua bocca sono più meravigliose che mai. La tua bocca ha le curve dell’arte greca e dei fiori inglesi.

-Ma perché non le scrivi, queste cose? Starebbero bene in un libro…

-Credo che non scriverò mai più. Qualcosa in me è stato ucciso. Non provo alcun desiderio di scrivere. Non mi sento nessuna facoltà creativa dentro. Il mio primo anno di carcere mi ha distrutto corpo e anima.

-È il disprezzo della gente che ti fa male, lo so. Lo vedo quanto soffri se incontri un conoscente che se ti vede cambia strada.

-Ho visto Cossie Lennox e Harry Melville l’altra sera. Il loro grande successo l’hanno avuto recitando nella mia commedia Un marito ideale, eppure hanno evitato di salutarmi. Mi sono sentito come se mi avessero evitato due marchette di Piccadilly.

 

Malgrado le sue promesse, il mio amico continua a imbarcarsi in situazioni pericolose. Ha vissuto un romance con un assurdo ragazzo di boulevard che naturalmente lo ha imbrogliato e maltrattato. Lo rimprovero, ma lui sa come farsi perdonare.

-Mon petit Maurice, io non ho futuro. L’amore, ovvero la passione con la maschera dell’amore, è la mia sola consolazione.

-E io, allora?

-Tu sei un bel ragazzo dal cattivo carattere, ma je t’aime perché hai l’animo d’un poeta. Sei simile ad Antinoo, bruno e bronzeo con naso e bocca splendidamente cesellati. Le tende della mezzanotte sono calate nei tuoi occhi e le lune si nascondono nelle loro cortine… Inoltre, non leggi nient’altro che i miei libri e dici che il tuo unico desiderio è di seguire le mie orme pur sapendo che conducono in posti orribili. È la più grande prova d’amore che io abbia mai ricevuto, e questo non lo dimenticherò mai.

-Ma io soffro a vederti con certa gente che ti vuole solo sfruttare!

-È malvagio comprare l’amore… Eppure quali ore purpuree si possono carpire a quella cosa grigia e lenta che chiamiamo tempo. La mia bocca è contorta di baci, e mi nutro di febbri. Il chiostro o il caffè, lì è il mio futuro. Ho provato il focolare, ma è stato un fallimento.

 

Ha conosciuto Didaco, un giovane bello di origine italiana. Passa con lui tre giorni, e lo ama selvaggiamente. Poi è la volta di Henri, che gli scodinzola dietro tutto il giorno riservandogli i sorrisi più dolci e compromettenti, specialmente quando si trova con amici. Finché un principio di avvelenamento causato da una mangiata di cozze lo costringe a letto.

-Quando faccio il bagno sembro un leopardo! La mia gola è un forno di calce, il mio cervello una fornace e i miei nervi un groviglio di vipere inferocite.

Ma una malattia ben più grave lo costringe a farsi operare e durante la sua convalescenza passo nella sua camera all’Hotel d’Alsace quasi tutti i pomeriggi. È sempre loquacissimo, capace di scherzare perfino sul proprio stato.

-Mon cher ami, sto facendo una morte superiore alle mie possibilità.

-Starai ancora bene, e insieme ci divertiremo.

-No, gli inglesi non mi perdonerebbero mai di superare il secolo.

 

Muore alle 5,30 del 30 novembre 1900. Alla cerimonia funebre sono presenti cinquantasei persone, in tutto ci sono ventiquattro corone di fiori, alcune anonime.

Al termine del funerale, Robert Ross il grande amico che sempre lo sostenne e suo esecutore testamentario, mi si avvicina e mi dice:

-Grazie per essergli stato vicino. Sarà sempre motivo di conforto sapere che abbia avuto accanto qualcuno come te nei suoi ultimi giorni, quando era maggiormente sensibile alla gentilezza e alle attenzioni.

In capo alla bara è stata messa una corona d’alloro con la scritta: “Tributo a Oscar Wilde per i suoi meriti letterari”.

 

Si ringrazia Micaela Lazzari per l’editing.

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