Fare le pulizie all’obitorio non è poi male. Tolta la levataccia, perché prendo servizio alle quattro del mattino, d’estate fa fresco e la compagnia non mi obbliga alla conversazione. Gli ospiti stanno zitti zitti dentro ai loro cassetti e di solito non li incontro mai, a parte i nuovi arrivati, ancora sui tavoli delle autopsie quando i dottori non finiscono il lavoro in giornata. I primi tempi qualche infermiere ha cercato di fare lo spiritoso, si nascondeva sotto a un lenzuolo e si alzava all’improvviso per chiedermi un bicchier d’acqua, ma dopo che uno di loro è rimasto chiuso “per sbaglio” dentro a una cella frigorifera fino all’arrivo del primo turno di medici, le velleità scherzose sono passate. Spero che abbiano compreso il mio desiderio di riservatezza; la sveglia alle tre del mattino e la paga di quattrocento euro al mese non predispongono al buon umore, e poi ci tengo a tenere ben distinto il lavoro dalla vita privata. Insomma, come si suol dire, “non mi porto il lavoro a casa”, anche perché vivo in un sottoscala e non ho nemmeno il frigorifero.
La scala è del mio amico Virgilio, un ragazzo fortunato che ha vinto la lotteria dei settant’anni e prende l’ambita pensione minima, quattrocento euro al mese senza fare un cazzo dalla mattina alla sera. Invece io sono ancora una ragazzina, ho solo sessant’anni, e devo lavorare. Una volta guadagnavo di più, ma i tecnici al governo hanno detto che tra i cinquanta e i settanta si è troppo giovani per la pensione ma troppo vecchi per essere produttivi, così ci hanno cacciato tutti fuori e sbattuto a fare i lavori “socialmente utili”, pagati una miseria, e nemmeno in soldi. Ci danno i mini assegni, come gli spiccioli degli anni Settanta. Li chiamano pomposamente “voucher” ma quando andiamo all’ufficio postale a cambiarli, il fisco ne incamera un quarto come nostro contributo ai “servizi” che ci vengono generosamente erogati. Quali servizi non si sa, perché il governo ha deciso che non ci possiamo più permettere una sanità pubblica, ma noi non ci possiamo permettere quella privata, e qualche volta i borseggiatori, invece di derubarci, ci fanno la carità.
Col mio amico Virgilio abbiamo messo insieme una società di mutuo soccorso. Lui ha venduto la nuda proprietà della sua casa a una giovane coppia che aspetta con ansia di vederlo crepare per sposarsi, ma i magri risparmi e la pensione minima non bastano nemmeno per la luce e il gas. Col mio piccolo contributo paghiamo le bollette e le tasse sulla casa, e per mangiare ci arrangiamo. Peschiamo nel fiume, dicono che il pesce fa bene per il colesterolo, anche se quello che prendiamo noi ha un colorino blu cobalto che fa passare un po’ l’appetito. Coltiviamo un argine di terra vicino alla ferrovia, ci facciamo la birra in casa, e per i nostri animali catturiamo i topi e prepariamo dei deliziosi rat burger. Se c’è una cosa che prospera, di questi tempi, sono proprio i ratti: belli grassi, e grandi come cani di media taglia. Per ammazzarli ci vuole il fucile da caccia, ma per fortuna le armi adesso si vendono al supermercato e non costano niente.
Un’altra merce che va molto sono le droghe, di tutti i tipi, e Virgilio, che da giovane ha studiato chimica e ha fatto il professore in un liceo, distilla delle sostanze micidiali dai funghi che andiamo a raccogliere nei canali di scarico. Ogni fine settimana ci improvvisiamo cacciatori e raccoglitori, andiamo nelle fogne e facciamo il pieno di ratti e funghi. Come mezza città, del resto: bisogna stare attenti perché il sabato e la domenica, là sotto, siamo così in tanti che capita di spararsi addosso a vicenda. E all’uscita dei tunnel ci sono pure i ladruncoli che vogliono scipparci le prede, ma noi non ci muoviamo mai senza i nostri fedeli amici, due lupi che abbiamo trovato da cuccioli nella Foresta della Lama. Li abbiamo allevati con amore e adesso sono la nostra ombra. Si chiamano Euridice Smith e Orfeo Wesson.
Purtroppo con le droghe non si guadagna più come una volta, c’è crisi, e ogni ragazzino un minimo sveglio si è fatto il laboratorio di metanfetamine in casa. Così l’estate scorsa, per differenziare l’offerta, ci siamo lanciati nella piccola ristorazione. Al mercato di piazza delle Erbe abbiamo aperto una bancarella di spiedini: scarafaggi caramellati e insetti misti. Insieme ai topi, sono la specie più prospera e numerosa, e cosparsi di cristalli di crack andavano a ruba. Il successo è stato strabiliante: i tossici facevano la fila per il crack, lo scarafaggio manco lo vedevano, invece i cinesi impazzivano per il gusto dell’insetto che dalle loro parti si cucina in varie forme ed è considerato uno spuntino delizioso e nutriente.
La comunità cinese ha gradito così tanto l’iniziativa che la signora Ling, regina indiscussa della gestione delle risorse umane, ci ha offerto un business collaterale, l’affitto dei cassetti dell’obitorio. Avete mai visto un funerale di cinesi? No? Per forza, dovete andare in Cina per vederlo. Quando qualcuno viene a mancare, lo congelano e lo spediscono in patria nei container che arrivano pieni dei loro prodotti e farebbero il viaggio di ritorno a vuoto. I documenti si riciclano, tanto si sa che noi occidentali non sappiamo distinguere un cinese dall’altro, nel villaggio natio si porgono le adeguate onoranze al defunto, e tutti sono contenti.
Secondo me gli affari andavano abbastanza bene così, ma Virgilio è un ragazzo irrequieto e sempre dietro a rincorrere idee nuove. Per forza, non ha niente da fare tutto il giorno, è un baby pensionato… Una mattina mi aspettava fuori dall’obitorio con un sacco della spazzatura in mano, di quelli grandi. Ha detto che il macellaio del mercato gli aveva ordinato una partita di rat burger e doveva tenerli al fresco fino al momento della consegna. Di per sé la richiesta non aveva nulla di strano, possedere un congelatore di questi tempi è una stravaganza, più che un lusso, però mi ha insospettito la faccina furtiva del mio amico. Ho fatto finta di niente e gli ho permesso di custodire il sacco nel cassetto che tengo per la signora Ling, con la promessa di liberarlo all’arrivo del prossimo cinese da spedire in patria.
Finito il turno di lavoro mi sono fermata al bar, da Domenico, per il solito caffè di cicoria, e sfogliando il giornale mi è saltata all’occhio una strana notizia. “Misteriosa scomparsa di magnate internazionale”. Pare che uno dei cento uomini più ricchi del mondo, uno svedese diventato plurimiliardario coi mobili smontati e fatti di cartoncino poco buono, sia sparito durante la visita al nuovo punto vendita appena aperto in città. Dicono che costui, per “motivare” i dipendenti, ovviamente schiavi precari pagati una miseria, ogni tanto si evoca in un punto vendita, scortato da uno stormo di elicotteri che nemmeno in Apocalypse Now, e sacrifica una vergine sull’altare di Odino. Il difficile è trovare la vergine, ma la cerimonia è trasmessa in 3D sulle TV di tutto il mondo. Sembra che questo signore sia scomparso durante il giro d’onore dell’immenso magazzino, in barba alla numerosa scorta, armata fino ai denti. Si sospetta un rapimento e si attendono le richieste di riscatto.
Dopo questo inquietante episodio, la nostra piccola città sta vivendo un piccolo boom economico: siamo talmente pieni di poliziotti, carabinieri, legionari, caschi blu, uomini dei servizi segreti e contractor vari, che si vende di tutto. Io e Virgilio lavoriamo giorno e notte ma non riusciamo a fabbricare abbastanza droghe per soddisfare la domanda, e vanno a ruba anche gli scarafaggi caramellati. L’unica persona preoccupata è la signora Ling, che teme intralci nel suo traffico di risorse umane, però dopo qualche giorno si è rassicurata. Anche col coprifuoco e lo stato di emergenza, nessuno distingue un cinese dall’altro, né da morto né da vivo. E poi tutta questa gente sta cercando uno svedese. Manco li vede, i cinesi.
Così, non appena la signora Ling mi ha affidato un nonnino da custodire in attesa della partenza del container per Shangai, ho chiesto a Virgilio di liberarmi il cassetto, ma lui, con un sorriso a tutta dentiera, mi ha risposto di avere già provveduto. Cristo, ogni tanto quel ragazzo si prende un po’ troppa libertà. Va bene, gli ho dato le chiavi dell’obitorio per sostituirmi una volta che avevo la febbre alta e non potevo andare a fare le pulizie, però farsene una copia senza dirmi niente è stato un po’ scorretto, non vi pare? Comunque era tutto a posto, avevo il cassetto libero per la signora Ling, e quando gli ho chiesto che fine aveva fatto il sacco coi rat burger, mi ha risposto con un laconico “consegnato”. Per questo, quando l’ho visto arrivare con un altro sacco nero da mettere in frigo, mi sono fidata della sua leggendaria efficienza.
La mattina dopo in tutta la regione era scattato un altro allarme multicolore. Durante la visita a uno dei suoi punti vendita nel nostro capoluogo, era sparito uno spagnolo, il padrone di una catena mondiale di grandi magazzini di abbigliamento a poco prezzo e a qualità ancora più scarsa. Anche in questo caso il plurimiliardario era arrivato con uno stormo di elicotteri ed era svanito sotto gli occhi della scorta, composta da miliziani di provata specializzazione, che si erano fatti le ossa nella ex Yugoslavia e in Cecenia e presentavano un curriculum di tutto rispetto. E questa volta sono venuti a perquisire anche l’obitorio. Quando li ho visti aprire il “mio” cassetto ho quasi avuto un malore, lo avevamo riempito proprio la sera prima, però miracolosamente era vuoto. Non avevamo cinesi in deposito, e la polizia ha trovato solo i morti nostrani.
Il malore lo ha avuto Virgilio, quando sono tornata a casa dopo la fine del mio turno. Non era stato lui a portare via il sacco nero. Qualcuno ci aveva salvato la vita, ma questo qualcuno, adesso, aveva in mano una prova scottante. Perché alla fine me lo ha confessato, quel vecchio birbante. Nei sacchi neri c’era quello che avevo capito anche da sola, i cadaveri dei plurimiliardari, rapiti con una tecnica da commando di cui non mi ha voluto parlare, perché secondo lui meno ne so e meglio è. Il mio socio, col cuore a rischio di infarto, è uscito per mettersi in contatto con l’Unità di Resistenza che gli portava i sacchi da nascondere, e io sono rimasta in casa a sentire il giornale radio. La notizia che mi ha fatto drizzare i capelli è stata trasmessa subito in apertura. “Agghiacciante traffico di carne umana scoperto in un ingrosso di carni. Infermieri dell’obitorio sorpresi a vendere cadaveri allo stabilimento “Un maiale è per sempre” dove la carne umana veniva insaccata e venduta sotto forma di salsicce. La macabra scoperta è partita dal ritrovamento di una scatola di denti umani in un negozio di bigiotteria in città”. Come è noto, del maiale non si butta via niente.
I carabinieri mi hanno interrogato, ma da una vecchia che fa le pulizie coi lavori socialmente utili non ci si aspetta molta lucidità mentale. Li ho accolti col mio consueto sorriso da paresi facciale e ho ripetuto ossessivamente “Lo so… Lo so…” finché non sono andati a parlare col direttore, che non sa neppure come mi chiamo. Per il momento la signora Ling si è trovata un altro deposito, più sicuro, e il suo fiuto da donna d’affari le ha suggerito di diventare socia anche in questo nuovo business, la pulizia etnica. I commando delle Unità di Resistenza ripuliscono l’ambiente da qualche parassita e la perfetta organizzazione cinese produce i rat burger più gustosi e saporiti del mondo. D’altra parte quelli sono maiali che mangiano bene, e il gusto di ostriche e champagne, dicono, si sente anche dopo la cottura. A noi lasciano le frattaglie per i cani e io, a scanso di equivoci, sono diventata vegetariana.
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