di Margherita Merone
In principio Dio creò il cielo e la terra, gli animali, le piante, ogni cosa. Creò l’essere umano ponendolo al di sopra di ogni creatura. Dio è il creatore di tutto, è onnipotente, onnisciente, trascendente, oltre lo spazio e il tempo, è eterno, mentre l’uomo è una creatura che ha un suo tempo, è un essere finito, limitato, transeunte. Questa è la verità in cui il fedele cristiano crede. In cosa o in chi crede un induista?
Il punto fermo a cui si fa principalmente riferimento nell’induismo è che la realtà è una. Tutte le cose che sono state, che sono e che saranno e così il mondo, gli dei e l’uomo, tutto questo è un’unica realtà: “Tutto è Brahman”. L’io profondo dell’uomo è l’Atman, ed è identico al Brahman. Nei testi religiosi si legge: “Questo Atman dentro il mio cuore è il Brahman stesso”, per questo una persona può dire: “Io sono Brahman”. Pertanto, il Brahman-Atman è l’unico Assoluto, il fondamento di tutto, è colui che sostiene ogni cosa.
Il mondo non è che la manifestazione dell’Eterno esistente, del Brahman, dunque, creazione e distruzione non sono che processi ciclici di uscita e rientro delle cose nella loro origine eterna. L’uomo che viene al mondo emerge dal seno del Brahman ed entra nella storia, ma era in cammino per quel momento fin dall’eternità e questa è il resto del cammino da percorrere. L’uomo continuerà a fluttuare tra le onde dell’oceano cosmico se la grazia della “Liberazione” (Moksha) non lo riporterà di nuovo in seno al Brahman. Dal momento che questi è tutta la realtà, rientrare nel Brahman vuol dire essere in seno all’origine di tutte le cose; dunque, chi ha realizzato questo è tutte le cose.
L’uomo è legato a un ciclo di rinascite (Samsara). Ciò avviene per via dell’azione (Karma) intesa come desiderio (Kama) dei suoi frutti. Ciò significa che l’azione umana, piuttosto che essere via di liberazione, è la causa che vincola l’uomo a un ciclo continuo di rinascite. Se l’uomo segue scrupolosamente la legge, l’equilibrio dell’universo, ottiene una rinascita nobile, ma non la liberazione, perché questa è il congiungimento perfetto con l’origine di tutto.
L’induista sa qual è la via per la liberazione: lo yoga, che significa “unione” e al tempo stesso connota gli strumenti per realizzarla. Lo yoga classico comprende tecniche psichiche e fisiche che hanno come scopo il raccoglimento in sé, entrare in unione col proprio Atman. La triplice via di liberazione, come scritto nel testo sacro Gita è: Karma Yoga che è la via dell’azione, intesa come la via di colui che sapendo che è Dio che agisce in ogni cosa, affida tutte le sue azioni a lui, compiendole senza alcun attaccamento ai frutti; Jnâna yoga intesa come la via della conoscenza, che tutto cioè è Brahman, che ogni cosa ha origine da lui; e ultima, la via del Bhakti ossia la via della devozione. È quest’ultima via che l’induismo vede come necessaria per la reale liberazione.
Nell’induismo sono presenti figure di dei molto venerati, come Vishnu, Shiva, le Shakti e tanti altri, sapendo bene che questi non sono altro che aspetti manifestativi dell’unico Dio. Tre sono le grandi correnti religiose: Shaktismo, Shivaismo, Vishnuismo. Il primo culto rappresenta l’aspetto materno del divino, inteso come l’energia eterna divina che crea, conserva e vivifica ogni cosa. Nel secondo, Shiva è inteso quale aspetto paterno del divino. Viene considerato “il distruttore”, nel senso di colui che porta a compimento una fase e ha già pronta la successiva, per cui mentre da una parte è distruttore, dall’altra ricrea incessantemente le cose. Vishnu è l’immagine del divino più sentita, che ha maggior culto. Questi è legato a continue incarnazioni (Avatara) alcune delle quali sono popolari, quali Krishna e Rasma; è colui che è provvidente, che non abbandona l’uomo, lo sostiene, lo difende e tutte le volte che c’è bisogno di lui discende sulla terra. Viene considerato “il conservatore”, non vuole che nessuno vada perduto, per questo interviene prontamente per portare la salvezza. La Trimurti (Brahma il creatore, Shiva il distruttore e Vishnu il conservatore) nota a molti, non è che una elaborazione teologica posteriore; non esiste, infatti, una particolare devozione a loro rivolta.
I testi sacri dell’induismo sono tantissimi: tra i più importanti ci sono i Veda (libri della Conoscenza), le Upanishad e la Gitâ. L’uomo induista prega secondo una forma precisa. La preghiera (Japa) consiste nella recitazione e ripetizione di mantra, ossia parole o formule sacre. Il più importante mantra è Om o Aum, sillaba sacra che indica il Brahman, dunque, il passato, il presente, il futuro, tutto l’universo.
Se si osserva con attenzione la storia dell’induismo, tanto sul piano etico che dottrinale, si nota una grande elasticità. Questo perché col passare del tempo, nella sua lunga tradizione, non basandosi su una rivelazione di un fondatore storico, ha assimilato dottrine diverse con grande tolleranza lasciando che si sviluppassero nel corso dei secoli. Non a caso l’induismo viene definito “la religione delle molte vie”.
Gli ideali di vita dell’indiano sono quattro: il piacere (Kama), la rettitudine (Dharma), il benessere (Artha) e la liberazione (Moksha). Il sistema in caste rappresenta una caratteristica rilevante e sono sempre quattro: la casta sacerdotale; la classe del potere politico e amministrativo (un tempo i guerrieri); la classe del potere economico e, infine, la classe del proletariato.
Le persone che vogliono praticare delle discipline spirituali si mettono sotto la guida di un maestro di vita (Guru), il quale è seguito con grande rispetto dai suoi discepoli. Gli Ashrama sono gli stadi della vita dell’uomo e anche questi sono quattro: lo studentato è il momento in cui un giovane si ritira nella foresta e si impegna ai voti di castità, povertà, obbedienza e studio; c’è poi lo stadio in cui rientra nella vita normale assumendo i doveri sociali e familiari; lo stadio successivo in cui si ritira nuovamente nella foresta e si dedica allo studio e alla vita spirituale; l’ultimo stadio è quando abbandona ogni cosa, qualsiasi rapporto e diventa monaco peregrinante.
Questo breve panorama della religione induista non intende minimizzare la certezza nella Parola di Dio, tuttavia è anche giusto guardare con grande rispetto le religioni non cristiane, sia quelle monoteiste che quelle che hanno conservato le loro tradizioni così come in principio. Tutti siamo, in un modo o nell’altro, uomini religiosi e confrontare le proprie esperienze è un fatto altamente positivo, se non necessario per una maturità anche in senso spirituale. Essere informati vicendevolmente delle proprie fedi è un passo verso quell’unità di tutto il genere umano, che è nel cuore degli uomini che perseguono ovunque nel mondo la via del bene.
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