di Margherita Merone
È il titolo di un libro di Giovanni Paolo II che ho trovato molto interessante. Non ho intenzione di fare un riassunto del testo, avrebbe più senso leggerlo; vorrei solo mettere in luce alcune cose fondamentali contenute nel libro, che riguardano la consacrazione episcopale. Generalmente si parla dei sacerdoti, poco dei diaconi, quasi mai dei vescovi. Giovanni Paolo nel libro ricorda con emozione la sua ordinazione episcopale, offrendomi lo spunto per parlare appunto della figura del vescovo.
Nelle pagine iniziali si legge che la prima cosa da seguire è la vocazione. Dice Gesù: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Gv 5,16); Gesù sceglie ed è questo il fondamento dell’efficacia della missione pastorale del vescovo.
Nel giorno dell’ordinazione, questo vale anche per il diacono e il sacerdote, l’eletto si prostra a terra, come segno del dono totale di sé a Cristo, mentre tutti i presenti pregano. Subito dopo il consacrando si alza e si avvicina al celebrante che gli impone le mani, un gesto che risale al periodo apostolico e che sta a significare la trasmissione dello Spirito Santo. Segue la preghiera di ordinazione, momento culmine della consacrazione episcopale. Nella Costituzione dogmatica sulla chiesa, Lumen Gentium, al numero 21 si legge quanto segue: «Per compiere così grandi uffici gli apostoli furono riempiti da Cristo con una speciale effusione dello Spirito Santo disceso su loro, ed essi stessi con l’imposizione delle mani diedero questo dono spirituale ai loro collaboratori, dono che è stato trasmesso fino a noi nella consacrazione episcopale […] dall’imposizione delle mani e dalle parole della consacrazione, la grazia dello Spirito Santo è così conferita, e così è impresso il sacro carattere, che i vescovi in modo eminente e visibile sostengono le parti dello stesso Cristo Maestro, Pastore e Pontefice e agiscono in sua vece».
Il nuovo vescovo sa di avere una grande responsabilità: per prima cosa deve essere fedele alla chiesa e a tutti i suoi membri con i quali Cristo si identifica; come segno di questa fedeltà, fino alla morte, gli viene posto al dito un anello. È un simbolo nuziale, la chiesa è la sua sposa. Giovanni Paolo facendo memoria di quel momento afferma: «l’anello mi ricorda anche la necessità di essere una robusta “maglia” nella catena della successione che mi unisce agli apostoli»; desiderava essere un anello forte, per donarsi totalmente alla sua sposa.
Un altro gesto liturgico significativo è la consegna del libro dei Vangeli, per indicare che il vescovo deve annunciare sempre e a tutti il vangelo. È lui il segno della presenza di Cristo che insegna nella chiesa. Come Gesù Maestro, anche lui deve insegnare, predicare, annunciare, spiegare la Parola – ciò appartiene all’essenza della sua vocazione – e ha il dovere di custodire il deposito della fede. Il vescovo non è padrone della Parola, ma servitore della Parola.
Giovanni Paolo II sapeva bene che si sono aperte ai vescovi, in quanto maestri, nuove esigenze, ma è anche vero che oggi sono più numerosi i mezzi con l’aiuto dei quali poter annunciare. Rispetto al passato, inoltre, è molto più facile spostarsi. Questo dà certamente a un vescovo la possibilità di visitare spesso le chiese della propria diocesi. I vescovi non sono soli, ad aiutarli nella loro missione ci sono i sacerdoti, i catechisti, i teologi e non mancano laici molto preparati che si mettono a disposizione della comunità. Il vescovo deve vigilare affinché «di fronte all’attuale diluvio di parole, di immagini e di suoni […] non si lasci frastornare. Egli deve porsi in ascolto di Dio e dei suoi interlocutori, nella convinzione che tutti siamo uniti nello stesso mistero della Parola di Dio sulla salvezza».
L’autore ha parole decise su un punto fondamentale. Il vescovo sbaglia se cerca solo l’onore per sé – se agisse così non potrebbe mai compiere nel modo migliore la missione episcopale. Ha una grande responsabilità connessa con il suo ministero. Tutto quello che fa – il modo in cui vive, quello che dice, il suo comportamento – è sotto gli occhi della comunità, spetta a lui essere modello, degno pastore che guida il suo gregge. In tale prospettiva, durante il rituale di ordinazione, fondamentale è l’imposizione della mitra (detta anche mitria), copricapo usato durante le celebrazioni solenni, che il vescovo riceve come monito a impegnarsi sempre nel cammino di santità personale; solo così può veder crescere la santità nella comunità che gli viene affidata.
Segue la consegna del pastorale, quale segno dell’autorità del vescovo ad adempiere al dovere di prendersi cura del suo gregge, come Gesù con le sue pecore. Egli deve vigilare sulla comunità come è scritto nel vangelo: «Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come vescovi a pascere la chiesa di Dio» (At 20,28), per portare frutto e soprattutto far sì che rimanga nel tempo.
Il vescovo però non deve solo proteggere i fedeli, se necessario deve ammonirli. Tutto dipende dal modo in cui esercita la sua autorità. Non deve farne un uso eccessivo – farebbe pensare che voglia solo comandare – né mostrarsi troppo debole o accondiscendente. Occorre il giusto equilibrio.
Un vescovo, sottolinea Giovanni Paolo, deve essere cosciente che il suo compito è quello di scoprire e far emergere nella chiesa ogni vocazione, «ogni elezione dell’uomo da parte di Cristo, anche la più piccola. È per questo che il vescovo, come Cristo, chiama, raduna, insegna intorno alla mensa del Corpo e del Sangue del Signore».
Avvicinandosi alla conclusione, Giovanni Paolo scrive che quando giunse la sua “ora” Gesù si trovava nell’orto del Getsemani insieme ai suoi discepoli, Pietro, Giovanni e Giacomo. Lì Gesù disse: “Alzatevi, andiamo!” (Mc 14,42), però, «non era Lui solo a dover andare verso l’adempimento della volontà del Padre, ma anch’essi con Lui».
L’invito che Gesù in quel contesto ha rivolto ai suoi discepoli dura per sempre e non è rivolto solo ai vescovi. Ogni giorno Gesù dice a coloro che credono in Lui di alzarsi e andare, di superare le prove della vita senza farsi prendere dalla paura, di essere suoi testimoni fedeli e coraggiosi, perché è sempre con noi e non ci lascia mai soli. Tenendoci per mano ci accompagna nel cammino per raggiungere quella meta ultima a cui aneliamo e che solo Lui conosce. Alziamoci e andiamo, fidandoci dell’amore di Cristo.
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