Apocalisse

 

di Margherita Merone

 

 Apocalisse bozzetto

 

Quando si sente questa parola si pensa subito a sciagure, catastrofi, distruzioni, morte. Il libro dell’Apocalisse di Giovanni è l’ultimo del Nuovo Testamento. La parola “apocalisse” è la trascrizione di una parola greca che significa “rivelazione”, la rivelazione di Dio agli uomini in una situazione particolare. Sicuramente non è un testo facile da interpretare, considerando il genere letterario apocalittico che ne sta alla base e tante sono le citazioni dei libri dell’Antico Testamento che lo hanno influenzato, passando dal profeta Daniele a Ezechiele, Zaccaria, Isaia, l’Esodo e alcuni salmi. Mentre i profeti antichi trasmettevano oralmente le rivelazioni divine, nell’Apocalisse le rivelazioni hanno forma di visioni e sono cariche di simbolismi, tanto le cose quanto i personaggi.

L’autore dell’Apocalisse ci viene rivelato da lui stesso: “Io, Giovanni, vostro fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e nella perseveranza in Gesù, mi trovavo nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù” (Ap 1,9). Patmos è un’isola greca distante alcuni chilometri da Efeso. Si identifica Giovanni con l’apostolo autore del Quarto Vangelo. C’è da dire però che lo stile è nettamente differente dagli altri scritti giovannei, sia per il linguaggio che per la prospettiva teologica. Abbiamo a che fare con un espediente letterario che va sotto il nome di pseudoepigrafia, ossia l’autore nasconde il suo vero nome dietro quello di un personaggio noto del passato che aveva autorità, carisma, che era seguito come modello da una comunità, per conservarne il pensiero dopo la morte. Parliamo quindi di una “tradizione paolina” che non toglie nulla all’ispirazione, rimane Parola di Dio anche se scritta San Giovannida una comunità che seguiva l’insegnamento dell’apostolo.

Se poi andiamo a considerare quando è stata scritta, possiamo affermare anche senza parere unanime che è stata composta nel periodo in cui regnava Domiziano, intorno al 95 d. C. ma c’è chi pensa ad una redazione sotto il regno di Nerone, quindi prima del 70. Da questo è piuttosto facile capire il contesto nel quale ci muoviamo, le orrende persecuzioni alla chiesa da parte dello stato romano. Correvano grande pericolo tutti i cristiani che rifiutavano “il segno della bestia sulla fronte e sulla mano” con riferimento al culto imperiale romano: Domiziano pretendeva gli stessi onori che si tributavano a Dio, al punto che aveva fatto costruire un tempio appositamente per questo.

Una grande visione mostra la maestà di Dio, padrone dei destini degli uomini, che consegna un libro all’Agnello, simbolo con cui viene presentato Gesù Cristo immolato, che pur avendo visibili i segni del supplizio, è in piedi, è colui che ha vinto la morte. È in posizione centrale “in mezzo al trono” ad indicare che è Dio. “E vidi nella mano destra di Colui che sedeva sul trono, un libro scritto sul lato interno e su quello esterno, sigillato con sette sigilli” (Ap, 5,1). Il libro che gli è stato consegnato contiene il decreto per sterminare chi perseguita la chiesa, tutto ciò che riguarda gli avvenimenti degli ultimi tempi. I sigilli saranno spezzati uno a uno e così i segreti rivelati. Si parla poi di guerre, carestie, ma chi è fedele a Dio sarà preservato, dovrà solo attendere di godersi in cielo il trionfo. Dio vuole salvare tutti e prima di procedere alla distruzione dei peccatori manderà degli avvertimenti, una serie di flagelli come era accaduto al tempo in cui il faraone egiziano non voleva lasciare andare gli israeliti nel deserto guidati da Mosè. Non saranno spaventati dai vari segni e alla fine Dio attuerà il suo disegno contro chi aveva cercato in tutti i modi di corrompere le persone portandole ad adorare Satana, alludendo al culto dell’imperatore. Segue un lamento su Babilonia distrutta, simbolo di Roma, e canti in cielo di gioia per la vittoria. Una nuova visione riprende il tema della distruzione della “bestia”, ossia il potere di Roma che perseguita i cristiani, operata da Cristo glorioso. La chiesa può così vivere un momento di tranquillità ma nonostante tutto non sarà ancora la fine della sofferenza, ci sarà un altro assalto e questa volta il nemico sarà nuovamente distrutto; seguiranno la risurrezione dei morti, il giudizio, l’instaurazione del regno di Dio; la morte sarà totalmente annientata. È tempo della nuova Gerusalemme, la città degli eletti: “E vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più. E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo” (Ap 21,1-2). Il mare, simbolo del male, scomparirà per sempre, Dio abiterà con gli uomini e sarà il loro Dio, “asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate” (Ap 21, 4).

Noi aspettiamo cieli nuovi e una terra nuova, il novum ultimum di Dio. Questa verità legata alla fine dei tempi non si afferma negando lo stato attuale di vita sulla terra: ci sarà una trasfigurazione, o meglio una trasformazione di essa. La fine non è la distruzione ma la nuova Gerusalemme. Certamente il bene e il male si affrontano in un duello grandioso ma il mondo e la storia sono irrevocabilmente segnati dalla vittoria dell’Agnello immolato.

Il libro dell’Apocalisse non ha niente a che fare con la fine del mondo, il messaggio teologico trascende la banalità dell’interpretazione contemporanea. Dio è sempre con noi fino alla fine dei tempi, questa è la forza, questa la promessa, pertanto i cristiani non hanno nulla da temere; anche se soffrono e sono soggetti a persecuzioni violente per rimanere fedeli a Cristo, alla fine saranno come Lui vincitori. È un canto di speranza per i cristiani che non devono dubitare della fedeltà di Dio perché il sacrificio dell’Agnello ha raggiunto la vittoria definitiva.

L’Apocalisse è un testo pieno di simboli che custodiscono più significati, leggerlo è interessante, non solo una volta, e per capirlo almeno in parte bisogna entrare nel contesto e interpretare con pazienza tutti i simboli proposti. È un compito impegnativo ma non lascia senza soddisfazione. Personalmente questo libro mi ha sempre affascinato, amo le cose che mi impegnano e se mi venisse chiesto qual è la cosa che mi ha colpito di più, sicuramente i tre versetti che fanno ben comprendere come non deve essere un cristiano: “Così parla l’Amen, il Testimone degno di fede e veritiero, il Principe della creazione di Dio. Conosco le tue opere, tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca” (Ap 3,15-16).

 

 

(In copertina: bozzetto per il ciclo pittorico “L’Apocalisse di S. Giovanni” nella chiesa di San Martino a Ferno, Varese)

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