Caro John, io a casa non sto affatto bene

 

Nel giorno dedicato al patrono degli innamorati e degli epilettici (fonte Wikipedia), durante una pausa-studio, mentre scorrevo tra i vari post, cuoricini e selfie che intasavano la mia bacheca di Faccia-libro, ho letto questo: «John Elkann: “Molti giovani non trovano lavoro perché stanno bene a casa”». 

“Aridaje! Eccone un altro”, ho pensato. Curiosa di conoscere il quando, dove e perché della situazione, ho letto quell’articolo e altri che riportavano la stessa notizia. Il giovin signore, presidente della nota “Fabbrica Italiana Automobilistica Torinese” (il cui acronimo sul diario delle elementari era, in maniera goliardica, “Fermati Imbecille Abbiamo Tamponato”), si trovava a Sondrio, in qualità di vicepresidente della Fondazione Giovanni Agnelli, per un incontro-confronto con alcuni studenti sul tema “Cosa, dove e perché studiare”.

Durante il suddetto incontro, il rampollo di casa Agnelli ha esposto, diciamo così, il suo punto di vista sulla disoccupazione giovanile che nel Bel Paese, se non erro, dovrebbe al momento aggirarsi intorno al 42%.
Cito testualmente quanto del suo discorso hanno riportato le varie testate: “Molti giovani non colgono le tante possibilità di lavoro che ci sono o perché stanno bene a casa o perché non hanno ambizione”; “I giovani devono essere più determinati nel trovare lavoro perché ci sono molte opportunità, spesso colte da altri, proprio perché loro non hanno voglia di coglierle. Questo, legato al fatto che o non ne hanno bisogno o non c’è la condizione di fare certe cose”; “Ci sono tantissimi lavori da fare, c’è tantissima domanda di lavoro, ma manca proprio l’offerta. Certo io sono stato fortunato ad avere molte opportunità (per questo avresti dovuto pensare prima di vomitare i tuoi nobili pensieri, n.d.r.), ma quando le ho viste ho saputo anche coglierle”; “È meglio essere ottimisti e guardare avanti in maniera reale, le opportunità esistono più oggi che una volta e sono enormi. Una risposta alla disoccupazione giovanile, ad esempio, può essere quella di creare delle attività in proprio (salvo poi essere colpiti dalle varie forme di tassazione che, come dardi, piovono sulle teste di chi si è messo in gioco, è onesto e a fatica riesce a pagare chi lavora per lui, n.d.r.)”; a uno studente che ha chiesto perché, nonostante la sua posizione, continui a lavorare ha risposto: “Lavoro perché ho un grande desiderio di fare, di partecipare. Questa è la motivazione principale che mi permette anche di fare una vita interessante. Sicuramente è più interessante essere impegnato, fare delle cose che vivere in vacanza tutto il tempo”; ha poi aggiunto “Lapo, Ginevra e io siamo sempre stati stimolati dalla nostra famiglia a fare le cose dando sempre il meglio. Stare sempre in vacanza diventa estremamente noioso”.

Premesso che non conosco l’intero contenuto del dibattito (magari avrà anche detto, spero per lui, qualcosa di più sensato), leggendo l’ennesima sprezzante opinione sulla “nullafacenza” dei giovani, l’unica sensazione che ho provato è stata tanta rabbia. Rabbia perché né io, né tanti nella mia stessa situazione, si rispecchiano in quel profilo.

Caro John, anch’io ho la fortuna di vivere in una famiglia che mi ha sempre stimolata a dare il meglio di me e mi ha sempre sostenuto nelle mie scelte (giuste o sbagliate che fossero). Una famiglia che mi ha insegnato quanto sia importante l’indipendenza economica per poter vivere dignitosamente, quanto si debba “faticare” per raggiungere un obiettivo, quanto i traguardi più belli siano quelli che costano più fatica.
La mia storia non ha niente di speciale, è una storia “comune”: una laurea (in materie affini alla “necrofilia” e che, nonostante la loro età, hanno ancora tanto da insegnare), qualche mese all’estero per perfezionare l’inglese, lavori vari ed eventuali (alcuni dei quali non retribuiti), un master da terminare e tanti momenti di sconforto per le porte sbattute in faccia, per quelle occasioni che ho colto al volo ma che non hanno portato a nulla di concreto. 
Che cosa ti fa minimamente pensare che un giovane non voglia trovare lavoro perché sta bene a casa o perché non ha ambizioni? Che cosa ne sai della frustrazione che si prova alla soglia dei 30 anni a restare ancora a casa e dipendere economicamente dai propri genitori perché non si guadagna abbastanza facendo lavori saltuari per pagare affitto e bollette?
Dici che “stare in vacanza è noioso”, ma quella “vacanza” a cui tu alludi è, per me come per tanti altri, una vacanza “forzata” fatta di ricerche, di auto-formazione, di curricula e lettere di presentazione inviati per quelle posizioni che meglio rispecchiano un determinato percorso o profilo lavorativo; è una vacanza fatta anche di studio, perché, nonostante tutto, io mi sento un’eterna studentessa, perché la materia di studio sarebbe infinita e soprattutto perché so di non sapere niente.
Tu sei stato fortunato, caro John, ma non invidio la tua vita. Chiedo solo a te e a quelli che la pensano come te di farlo ogni tanto un tuffo nella vita reale, quella vera, e di non generalizzare su argomenti così delicati.

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