di Margherita Merone
Ho sempre ammirato questa figura di donna e santa che aveva un profondo desiderio di Dio, sorrideva a Cristo anche nei momenti di sconforto e sapeva esprimergli l’amore, non si perdeva d’animo di fronte a una difficoltà ma lottava con la forza di un leone sapendo di non essere sola in ogni sua battaglia.
Caterina Benincasa nacque a Siena nel 1347. Non aveva neanche quindici anni quando i genitori cominciarono ad organizzarle il matrimonio anche se la giovane aveva apertamente dichiarato di non volerne sapere perché decisa a votarsi completamente a Cristo. Da principio la famiglia non accettò quel diniego ma poi si ricredette: i suoi compresero che l’amore per il Signore era più forte, che quella era la sua via e non posero più ostacoli al suo desiderio. Voleva entrare nell’ordine delle terziarie domenicane che a Siena erano chiamate Mantellate per via del mantello nero che ricopriva la loro veste bianca. Caterina, considerata troppo giovane avendo solo sedici anni, fu rifiutata. Si ammalò gravemente, la febbre alta e le pustole sul viso non spensero in lei il desiderio dell’abito domenicano e dopo tanti patimenti fu ammessa. All’inizio la vita comunitaria non fu né facile né felice: non sapeva leggere, scrivere, cercò aiuto nelle consorelle ma finì per isolarsi.
Qualche anno dopo iniziò a prendersi cura degli ammalati, soprattutto quelli colpiti da malattie contagiose; all’epoca le epidemie non erano infrequenti e presto non fu sola, le altre suore la imitarono. Col tempo iniziò un fitto lavoro di corrispondenza con tutti quelli che glielo chiedevano, era solita dettare le sue lettere che avevano per tema la vita sociale, quella religiosa, ma anche questioni politiche e morali che riguardavano la chiesa e l’impero. Tra i destinatari non mancavano personaggi importanti, punti di riferimento del suo tempo, ai quali esprimeva spesso giudizi critici e disappunto sulle tematiche che le venivano presentate. Per questo motivo fu considerata una donna malata di protagonismo, una suora fuori dagli schemi, una donna ignorante che non poteva né doveva permettersi un simile comportamento. È facile intuire che dopo essere stata convocata a Firenze e ripresa a dovere dal Capitolo generale dell’ordine domenicano, le fosse assegnato un padre spirituale personale per riportarla sulla giusta via. Questa chiamata a Firenze rappresentò la svolta nella vita di Caterina: cominciò a viaggiare, si interessò di politica, senza trascurare l’apostolato.
La sua fama correva veloce, tutti volevano conoscerla. Fu invitata a Pisa e si racconta che proprio lì in una chiesa, mentre pregava, ricevette le stimmate che però rimasero invisibili.
Intorno ai trent’anni cominciò la corrispondenza con il papa Gregorio XI. Nelle sue lettere toccava punti delicati che riguardavano la riforma della chiesa e non nascondeva il desiderio che il pontefice da Avignone tornasse a Roma, perché quella era la sua propria sede. Fu quando si trovò a dover fare da mediatrice di pace nella questione che vedeva la repubblica di Firenze in conflitto con la Santa Sede – dal momento che era stata interdetta per aver portato avanti una politica antipapale in un momento peraltro di grandi difficoltà economiche – che affrontò il viaggio verso la Francia. Non bastarono infatti alcune lettere per risolvere la questione, così Caterina con coraggio e intraprendenza – era l’anno 1376 – si diresse ad Avignone per incontrare il papa. Questo avvenimento è considerato il più significativo e controverso della sua vita: una donna che si occupasse di politica era fuori discussione.
Nonostante il massimo impegno, la trattativa non ebbe buon esito e ciò non dipese certo da Caterina che ferma nei suoi propositi aveva in mente di riportare il papa a Roma; per quanto lui stesso non ne fosse convinto, seppe però rassicurarlo.
Problemi sorsero per l’elezione del successore di Gregorio XI, Urbano VI, ma la santa si schierò a suo favore.
Caterina trascorse gli ultimi due anni di vita dedicandosi quasi esclusivamente all’attività epistolare, volta alla propaganda in favore del papa e della riforma della Chiesa. Morì a Roma nel 1380; fu canonizzata nel 1461 dal papa Pio II e dichiarata Dottore della Chiesa nel 1970 da Paolo VI.
Ho appreso da questa santa cosa significa non porre limiti nell’amare e darsi all’impegno per Cristo fino a soffrirne, non scoraggiandosi quando le cose si complicano e le circostanze sembrano essere avverse. È stato l’amore che ha messo in ogni azione – chiamata da Dio a cambiare qualche struttura nella società, servendo Cristo con l’aiuto dello Spirito Santo, e amandolo fino all’ultimo istante di vita – a farle raggiungere la santità.
Si legge in una sua lettera: “Non cerchiamo la gioia se non in Gesù, e fuggiamo ogni gloria che non sia quella della croce. Abbraccia, dunque, Gesù crocifisso, elevando a lui lo sguardo del tuo desiderio! Considera l’infuocato amore per te, che ha portato Gesù a versare sangue da ogni parte del suo corpo! Abbraccia Gesù crocifisso, amante ed amato, e in lui troverai la vita vera, perché è Dio che si è fatto uomo. Arda il tuo cuore e l’anima tua per il fuoco d’amore attinto a Gesù confitto in croce!”.
Fin da bambina l’ho sempre immaginata una donna speciale e meravigliosa che sapeva legare momenti di sofferenza, di gioia, di contemplazione, di estasi, una santa coraggiosa e sempre sorridente. Ed è sorridendo gli uni agli altri che si cresce nell’amore e lo si dona!
In copertina: Marcello Fantoni, Santa Caterina
Qui accanto, opera di Silvia Salvadori
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