di Endriu
Permettetemi una piccola divagazione: mi hanno dato della razzista e non posso stare zitta! Praticamente ho pubblicato una piccola riflessione sulla mia esperienza in Italia, molto simile al primo racconto pubblicato su LetterMagazine (Dal diario di un’olandese volante n.1 – Dalla padella alla brace), su una piccola rivista di contro-informazione fiorentina. Dei compagni, pensavo, ma ho scoperto che sono le ennesime emanazioni della sinistra italiana pseudo-democratica e perbenista. Ecco cosa hanno scritto sul mio articolo, nell’editoriale:
“Nel parlare con gli intervistati e gli articolisti di questo numero ci siamo imbattuti in un universo variegatissimo: gente soddisfatta del proprio approdo in un altro paese, presso un’altra cultura, oppure nostalgica di ciò che si è lasciata alle spalle e, in un caso, un’esperienza amareggiante che addirittura ha portato chi scriveva [cioè io] a far affiorare stereotipi razzisti che ci hanno lasciato l’amaro in bocca vista la giovane età di chi li ha pensati, ma che del resto sono serviti a farci documentare anche il pensiero di chi, nel cercare un’indipendenza dal proprio background d’origine lanciandosi alla scoperta di un nuovo paese, è rimasto profondamente deluso nelle proprie aspettative e decide di dirlo in modo molto poco politically correct”.
Allego qua sotto la risposta – con qualche modifica – che ho scritto alla redazione. Giudicatemi pure.
Cara redazione,
sono Andrea Hajek e vi scrivo perché sono molto perplessa, per non dire offesa e indignata, dai commenti di redazione che hanno accompagnato il mio racconto (“Pubblichiamo questo articolo giunto in redazione pur non condividendone i toni discriminatori e stereotipati”). Innanzitutto vi spiego una regola editoriale: se non condividete ciò che viene espresso in un articolo, semplicemente NON LO PUBBLICATE. O perlomeno, abbiate l’educazione di chiedere all’autore spiegazioni, e di avvisarlo della vostra intenzione di metterlo in piazza, come avete fatto soprattutto nel vostro editoriale.
Ma vediamo quali sarebbero i “toni discriminatori e stereotipati”. Chiaramente non avete colto l’ironia e la satira, e questo è problematico per una redazione (seria). Vi riferite forse al paragrafo sulla mia esperienza lavorativa al mercato, “tra i cinesi e i pakistani”? Guardate che quella è la realtà. Ma forse voi state fuori dalla realtà. O forse semplicemente non frequentate i mercatini. Perché la maggioranza dei venditori ambulanti (a Bologna) sono cinesi e pakistani che vendono merce sottocosto, il che significa che coloro che producono queste merci sono sfruttati e sottopagati. Inoltre, dove lavoravo io, i venditori cinesi non solo prendevano a lavorare unicamente ragazzi cinesi (un fatto in sé che potremmo definire discriminatorio), ma li sfruttavano anche, pagandoli ben 25 euro al giorno! Ma forse questo non si può dire nell’area della sinistra italiana perbene, di cui voi chiaramente siete degli esponenti. Forse vedete le cose troppo in bianco e nero: immigrati poveri e bravi, sfruttati dai bianchi, versus italiani cattivi e razzisti che sfruttano gli immigrati. Purtroppo per voi la realtà è più complessa, e vi invito a lasciare ogni tanto la vostra scrivania per andare a conoscerla meglio, prima di fare delle accuse come quelle rivolte a me.
Ma immagino che ciò che vi ha dato più fastidio sia stato il passaggio sulle badanti slave. Anche qui, purtroppo, devo rispondere che questa situazione rispecchia molto la realtà dell’Italia razzista di oggi. E anche se volessimo chiamarlo uno stereotipo, NON L’HO INVENTATO IO. Quindi non prendetevela con me se descrivo una realtà che fa schifo, e che i vari governi DS, PDS e PD non sono riusciti, fino ad oggi, a combattere. In altre parole, non sono io a parlare male delle donne slave: io critico un sistema in cui gli immigrati, soprattutto le donne, sono obbligati a farsi sfruttare; un paese in cui le coppie di fatto non esistono per la legge; una nazione che fa parte dell’EU ma che tratta i cittadini EU in maniera vergognosa; una società in cui non esiste l’assistenza agli anziani e che crea dunque questa situazione di sfruttamento dei più poveri, gli immigrati appunto. Anzi, sento una certa identificazione con loro, avendo – appunto – radici slave, ed essendo a volte esposta ad atteggiamenti discriminatori da parte degli italiani, tipo quando sono andata in Comune per prendere la residenza, come ho descritto nel racconto che chiaramente avete letto solo superficialmente.
Come vi permettete di dare della razzista a me? Perché non ve la prendete con quelli di Casapound che stanno sbarcando nella vostra città, o con il fantastico sindaco Renzi (fantastico in senso ironico, ovviamente, per chi non l’avesse capito)? Perché non ve la prendete con i fiorentini che fanno le ronde anti-degrado, per mandare via gli extracomunitari dal loro quartiere? Perché non ve la prendete con Marchionne, con Monti, con la Fornero…? Invece no. Preferite attaccare la gente comune, quella che vive veramente la realtà e tutte le contraddizioni della società italiana, solo perché dice come stanno le cose. Ecco, forse è stato quello che vi ha irritato così tanto: ho toccato dei problemi che la sinistra italiana ha paura di sollevare, che preferisce ignorare perché sono verità scomode. O perché toccherebbe a lei di affrontarli e invece non lo fa. Quindi si accanisce sulle parole di uno qualsiasi, che inoltre non è capace di interpretare, gridando ‘razzista! razzista!’. Ma lo sappiamo tutti che è più facile attaccare i deboli.
Un’altra presa per il culo da parte della redazione – quella che ha curato questa edizione – è stato il titolo del racconto, che non era quello originale ma che è stato, appunto, scelto da voi: ‘Dai mulini a vento agli Appennini’. Mi accusate di usare toni stereotipati, ma i mulini a vento sono tra gli stereotipi più banali del mondo. Mi viene quasi da pensare che l’abbiate scelto apposta, per rafforzare la vostra accusa di scrittura stereotipata che in realtà non c’è.
Ma la cosa che mi ha fatto veramente rabbia è stato l’editoriale. Sembra che la redazione abbia proprio voluto dare una lettura diversa (e manipolata) del mio racconto, per poterci mettere sopra un’etichetta e contrastarlo con altri articoli della rivista: c’è chi è partita dalle ‘piramidi’ (altro stereotipo) per venire a vivere in Italia, e che è contenta di questa scelta; c’è chi ha nostalgia per ciò che ha lasciato alle spalle; poi ci sarebbe l’olandese xenofoba e la sua esperienza “amareggiante” che l’avrebbe portata ad “affiorare stereotipi razzisti che ci hanno lasciato l’amaro in bocca vista la giovane età di chi li ha pensati”… Non so da dove cominciare! Innanzitutto, sarà stato il vino rosso a lasciarvi l’amaro in bocca, mentre scrivevate l’editoriale. Poi, io non ho avuto un’esperienza amareggiante, ne sono rimasta delusa. Ancora una volta, mi sembra proprio che non abbiate capito nulla. O forse vi ho sopravvalutato… Ripeto, è la realtà che io ho vissuto. Mi dispiace, ma voi italiani non siete tutti aperti e calorosi e fiduciosi e simpatici, etc etc. E io non sono l’unica ad avere avuto questa esperienza, quindi non puntatemi il dito contro. Poi gli stereotipi razzisti, ripeto, non sono una mia invenzione: ho solo rapportato la realtà italiana, ma si vede che preferite chiudere gli occhi e guardare nell’altra direzione.
E cosa vuol dire “nonostante la giovane età”, tra parentesi…? I fascisti di Casapound non sono mica dei vecchietti, eh! Un altro stereotipo, insomma.
Concludo perché ormai sta venendo l’amaro in bocca anche a me. Amaro perché trovo proprio triste che gente come voi si accanisca sui deboli nella società, su quelli che vivono lo sfruttamento e lo denunciano, su quelli che stanno dalla vostra parte, o almeno così pensavo. Ma ora ho capito. Ho capito che state dalla parte del PD, quella parte della sinistra italiana che è preoccupata per il politically correct, che ha paura di affrontare le verità scomode, e di DIRLE, soprattutto. Per forza abbiamo avuto vent’anni di Berlusconi! E c’è un’altra cosa, l’ultima: mi sembra che gli italiani, di sinistra o di destra che siano, non sopportino proprio che uno straniero critichi il loro paese.
Beh, se questo è il vostro politically correct, io sono fiera di essere politicamente scorretta.
(editing by Beatrice Nefertiti)
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Non ho letto l’articolo originale da cui viene questa polemica. Ma ho letto diversi scritti e ormai conosco lo stile di Endriu. Era ora che qualcuno la cantasse chiara a certi pseudo-comunisti da scrivania. Forse sono troppo impegnati ad ideologizzare ed il problema e’ che si prendono troppo sul serio, senza capire che il nodo della questione sta proprio nello scendere dal piedistallo in cui sono saliti dal 1944 in poi (anzi, diamogli due anni in piu’, diciamo dall’amnistia!), guardare alla gente comune e cercare di risolvere i problemi reali di un paese sempre piu’ economicamente depresso e culturalmente chiuso. Ma no, come reagiscono loro allo sfacelo culturale di vent’anni di Berlusconismo? Aggrappandosi ai loro ideologismi. Ma questo fa comodo, perche’ cosi’ si evita di affrontare i problemi reali (e magari anche di scoprire tante magagne da scrivania che ci hanno portato dove siamo arrivati ora!). Ecco perche’ non possono avere e capire che cos’e’ l’ironia…
Nel frattempo è arrivato una risposta…Hanno piegato un po’ la testa, ma ribadiscono comunque – sempre con una certa arroganza – che non si capiva per niente l’ironia:
“sembri veramente arrabbiata di essere finita in questo Paese al punto che la nota ironica non si è sentita ma solo la delusione di essere finita qua espressa al punto che pareva che lavorare fra cinesi e pachistani o essere assimilati alle badanti fosse una abbassamento di livello per un evoluto olandese”
Il fatto è che – e questo non si può dire nella sinistra italiana – dover lavorare al mercato ‘tra cinesi e pachistani’, oppure fare la badante, è veramente un abbassamento di livello, per QUALSIASI persona che ha studiato, che ha una certa cultura. Se sono poi i cinesi, pachistani o albanesi a fare quei lavori, è perché sono lavori degradanti e schiavisti che ormai solo gli immigrati sono disposti a fare. Quindi se mi lamento perché mi trovo a lavorare tra gli immigrati, non è perché mi puzzano o chissa che cosa: perché vuol dire che anche chi ha una laurea e chi ha una certa cultura (a prescindere dalla nazionalità) deve farsi sfruttare come quelli che non ce l’hanno (o che non possono farsela valere in questo bel paese), e che devono prendere qualsiasi lavoro che gli capita. Non so se mi spiego?
C’è poi da dire che anche gli immigrati non sono proprio dei modelli da seguire: l’altro giorno ho comprato una bottiglia di birra fresca, per il mio compagno che stava fumando una sigaretta, da un pakistano, in uno dei tanti mini market a Bologna. Neanche una volta mi ha riposto, non ha detto ‘grazie, ciao’, nemmeno la minima cosa. Mi veniva una sensazione di disprezzo, da parte sua, forse perché nel suo paese le donne devono stare coperte (era caldo, avevo una magliettina un po’ scoperta), e sicuramente non devono andare fuori a comprare birra! Oppure il 2 agosto, l’anniversario della strage di Bologna: abbiamo preso 1 caffé in un bar, e la barista slava quasi quasi mi mandava fuori perché io non ho preso il caffé. E IO sarei quella cattiva?!
Infine, il senso di offesa che leggo nel condizionale nella frase “mentre noi saremmo un paese dove gli uomini guardano solo tette e culi” mi conferma quanto gli italiani non sopportino proprio che uno stranieri giudichi il loro paese. Mi dispiace, ma l’Italia è MOLTO tette e culi, anche senza Silvio. Chi guarda Veline oppure ha visto – ieri su La7 – Videocracy non può negarlo.
Cara Olandese Volante, sono d’accordo con Te. A mio parere il “politically correct” è la peste che affligge la comunicazione dei nostri tempi, perchè è la maschera dietro la quale si nasconde l’ipocrisia di chi non vuole riconoscere i problemi per quello che sono veramente, ma cerca di salvarsi l’anima (ammesso che ci creda) con l’uso di belle parole. Questo atteggiamento non può che portare al disastro.
Bravo, Adriano, è proprio così: ipocrisia e tentativi di salvarsi l’anima. la cultura cattolica è veramente dapertutto!